Vogel conta i back-door che gli sono costati una partita…

Continuiamo la nostra carrellata sotto il segno dell’ultimo minuto, ripercorrendo giocate da alcuni dei “crunch time” succedutisi nel calendario Nba.

In questo episodio, constateremo l’importanza del decision-making, sia in termini di scelte offensive che di reattività difensiva, ovvero: a volte, il tentativo di un singolo di cercare di “pensare un fotogramma avanti”, può avere conseguenze nefaste per il rendimento dell’intera squadra.

WAS@BOS (07-11-12)

 

Pura “trance agonistica” di Rondo, in tre atti consecutivi:

– nonostante una probabile uscita dal blocco di Terry sul suo lato sinistro e forse un flare screen per Pierce sul lato destro, Rondo opta per il jumper istintivo… lasciando quasi 27 secondi sul cronometro, Rajon ha comunque garantito ai suoi l’ultimo tiro del quarto (tuttavia, sarebbe stato meno rischioso delegare rapidamente ad un tiratore più accurato).

Singleton assiste al balzo di Rondo per una finta che forse Chris aveva solo pensato di fare e che comunque non avrebbe dovuto spaventare molto (l’anno scorso Chris tirò con il 34,6% da tre), trovando così sguarnita (in 5 vs 4) una rampa di lancio per affondare d’autorità due punti pesanti…

– Rondo, nel possesso decisivo, ignora prima il ghiotto post up di Pierce (6-7) contro Pargo (6-1), in una zona in cui il capitano è pressoché automatico nello step back, poi l’uscita dal blocco (oggettivamente tardiva) di Terry, fa solo da contorno coreografico alla tripla tentata da Rajon (notoriamente, non proprio una garanzia da oltre l’arco…). Nell’overtime i Celtics riusciranno poi a conquistare la vittoria.

 IND@ATL (07-11-12)

 

Coach Vogel, sul meno uno a 18,3 secondi al termine, sceglie di non pressare il rimettitore, ma di usare il suo difensore per aiutare la difesa a compromettere la ricezione; a mio avviso, scelta rischiosa: sia perché, con così tanti secondi, il rimettitore può tagliare al ferro e ricevere un passaggio di ritorno, senza che la difesa recuperi in tempo, sia perché, com’è capitato, un difensore in più può talvolta creare confusione negli abbinamenti e, aspetto da non sottovalutare, ostacolare il passaggio dei compagni sui blocchi.

In questo contesto, dopo il collasso troppo preventivo su Korver, la “chiave di volta” della difesa Pacers sarebbe dovuto essere Stephenson sul lato debole, responsabile della copertura dei tagli al ferro che, secondo un consolidato assioma difensivo, in caso di rimessa laterale dovrebbero sempre essere “sterilizzati” dalla copertura protezionistica della difesa (esclusi lob al ferro).

Purtroppo per Indiana, anche per colpa di una “custodia” di Teague troppo ravvicinata, Stephenson ha invece perso l’attimo per chiudere in tempo su Williams, impeccabile nel non sprecare palleggi e nello scegliere la “consegna” più sicura: a due mani fino al ferro.

In generale, l’impiego del difensore dell’inbounder come copertura aggiuntiva sulla ricezione, si vede spesso attuata mettendolo di spalle alla rimessa, così da vigilare su eventuali lacune della difesa ed intervenire in aiuto sui ricevitori smarcati; soluzione funzionale se non c’è tempo per un passaggio di ritorno al rimettitore o se è probabile che l’attacco tenterà una tripla (ad esempio: meno di tre secondi al termine e schiera di tiratori in campo con il punteggio in deficit di tre).

Resta il fatto che non disturbare l’esecuzione della rimessa, consente all’inbouder di eseguire passaggi precisi e senza pressione addosso, mentre in molti casi è proprio il disturbo sul rimettitore a forzare palle perse, deviazioni e passaggi imprecisi, sfocianti in tiri fallimentari. Questione di filosofie difensive…

IND@MIN (09-11-12)

 

George Hill cercando, come si diceva nel prologo, di prevedere gli eventi, scatta sul proprio uomo, precedentemente abbandonato sul perimetro per esigenze di (buona) rotazione, dando per scontato che sarebbe partito il passaggio verso l’arco, volto a tentare la tripla del perentorio +6 con Budinger (buon tiratore, 40,2% l’anno scorso). Trovandosi comunque sotto di 3, lasciare un Pekovic da solo nella restricted area, con la palla nelle mani di un volitivo (e vicinissimo) passatore come Kirilenko, è una scelta decisamente da riponderare.

Tuttavia, gli dei del basket graziano i Pacers e Pekovic non riesce nel facile appoggio, eseguito rischiosamente con la mano “interna”: che abbia avuto timore dei 220 cm di Hibbert? Un motivo in più per rimpiangere di non aver usato la mano “esterna” (per la serie: i fondamentali fanno spesso la differenza…) oppure, essendo un roccioso 6-11, di non aver affondato la “bimane”.

Dopo che Hill si riscatta egregiamente con cross over e tripla in step back, i Wolves hanno in mano la palla per rompere la parità e conquistare il match:

 

Budinger legge alla perfezione i movimenti della testa di Green e gli sparisce dalla visuale in back-door, senza nemmeno dare il tempo a Hill, sul lato debole, di chiudergli la strada; Kirilenko, ancora una volta, non deve far altro che piazzare l’assist ad un bersaglio facile ed isolato.

Vediamo ora lo schema base della rimessa architettata da Adelman: la formazione base è la cosiddetta box, ovvero giocatori disposti a quadrato su tutti e quattro i post (due alti, due bassi), in modo da non dare indizi certi alla difesa su “chi bloccherà chi”.

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