Cosa c’è dietro il fulminante inizio di stagione dei Grizzlies? E’quello che si stanno chiedendo un po’ tutti gli addetti ai lavori nella NBA. Ma forse noi la risposta ce l’abbiamo e proviamo a buttarla giù attraverso un itinerario ben definito che ha portato gli uomini di Lionel Hollins ad aver vinto otto delle prime dieci gare.
Squadra che vince non si cambia, si dice nello sport in generale, o almeno dovrebbe essere così. Ecco, i Grizzlies con quest’affermazione non c’entrano nulla, anzi.
Dopo aver raggiunto le semifinali di conference nel 2011, Memphis ha visto incrinarsi la sorte l’annata dopo, con un 41-25 davvero poco incoraggiante, anche se ha fruttato il quarto posto ad ovest.
L’eliminazione al primo turno da parte dei Clippers, aveva iniziato ad instaurare nella testa dei tifosi, e non solo, che qualcosa dovesse cambiare e che si dovesse arrivare ad un top player per poter puntare più in alto e consolidare finalmente la franchigia ai piani alti della lega.
Ma sappiamo tutti come sono andate le cose quest’estate e la dirigenza, guidata da Chris Wallace, non è arrivata a nessuna conclusione, se non a quella di cedere O.J. Mayo, ormai stufo di avere un ruolo marginale all’interno dello spogliatoio e sempre al centro di voci di mercato. Ma può essere stata questa la mossa che ha sbloccato il tutto? A quanto pare sì.
O.J. è sempre stato un personaggio difficile da gestire, una star che non brilla abbastanza non può essere considerata tale e l’ex USC avrebbe voluto un ruolo che non gli si addiceva. La sua partenza è stata come quando butti un sacchetto di sabbia giù da una mongolfiera, si alleggerisce e prende quota.
Dal mercato arrivano i soli Jerryd Bayless, Wayne Ellington e il rookie Tony Wroten. Il pessimismo si spreca nella città di Elvis. La parola playoff è un tabù e visto anche il miglioramento di alcune squadre della conference.
Perciò, inizia una nuova stagione nella completa inconsapevolezza su come andrà. Il sipario si apre e riparte dai Clippers, come già detto, autori dell’eliminazione dei Grizzlies al primo turno, in gara-7. Quella partita si giocò al FedEx Forum, ma ora si gioca a Los Angeles e gli uomini di Hollins vogliono restituire il favore, anche se non ha propriamente lo stesso sapore.
Sin da subito si intuisce che c’è qualcosa di diverso nell’animo della squadra, soprattutto in Rudy Gay. Il miglior “acquisto” dell’estate, pronto per la stagione che potrebbe portarlo a diventare una stella assoluta del firmamento NBA. L’ex UConn ne mette subito 25, ma i Grizz perdono.
Un altro famoso detto afferma che chiusa una porta si apre un portone. Ed ecco che, archiviata la delusione losangelina, Memphis si fionda in otto vittorie di fila che la portano in testa alla Western Conference per la prima volta nella storia della franchigia.
Se la vittoria di Oakland contro i Warriors è frutto della rabbia per la sconfitta di due giorni prima, i successi contro Utah e Milwaukee sono già rilevanti. Anche contro Houston arriva una vittoria importante, ma sembra che il tutto si debba interrompere sul più bello. In città arrivano i campioni in carica, i Miami Heat di LeBron e Wade.
Eppure, gli orsi non si fanno prendere dal panico e catturano il pesce con una facilità disarmante. 104-86 e Heat a casa con la coda fra le gambe, tanto che anche sua maestà King James si è dovuto inchinare alla supremazia dei padroni di casa.
Una serata strana e indimenticabile, segnata dall’eroe che non ti aspetti, quel Wayne Ellington scartato dagli ambiziosi Timberwolves che non volevano più sentirne l’odore di questa ventottesima scelta al draft 2009. Eppure, l’ex North Carolina, ne ha messi 25 in faccia ad un certo Dwyane Wade.
Tre giorni dopo si replica, ma questa volta si vola ad Oklahoma City per giocare contro i vice campioni del mondo. I Thunder sono orfani di James Harden, ma sono ancora una squadra tutta d’un pezzo e la coppia Durant-Westbrook è una delle più temibili della lega. Ma non per i Grizzlies che vincono 107-97 grazie ai 28 di Gay e all’ennesima doppia-doppia di Randolph, già leader indiscusso di questa speciale classifica.
Siccome siamo in vena di proverbi, ci permettiamo di citarne un altro ed ecco a voi servito il tanto rinomato “Non c’è due senza tre”. Difatti, gli imbattuti Knicks piombano nel Tennessee e ne prendono dieci. Ormai galvanizzati dai successi, i Grizzlies si sbarazzano anche dei Bobcats, ma si devono arrendere clamorosamente ai Nuggets nella partita seguente.
Un calendario alquanto proibitivo, che continua ancora il 23 con la convincente vittoria contro i Los Angeles Lakers come ultimo vero scoglio del mese. Ma cos’è cambiato in una squadra in cui non è cambiato relativamente niente?
L’atteggiamento innanzitutto. I giocatori sembrano più maturi, più consapevoli dei loro ruoli e compiti e la chemistry è decisamente migliorata. Questo fattore psicologico sicuramente influisce parecchio sulle prestazioni, ma c’è anche una spiegazione tecnica.
Quello che sembra funzionare più di tutto è la difesa. I Grizzlies hanno subito solo una volta più di cento punti ed è successo nella prima gara stagionale in cui ne hanno presi appena 101. Da lì solo 91.7 punti concessi in nove gare, 92.6 in totale che li porta ad avere la settima miglior difesa del campionato.
Anche l’attacco è decisamente più funzionale. Conley è ormai diventato un passatore a tutti gli effetti, viaggiando a 6.6 di media, non tantissimo, ma sufficiente per una squadra che non fa della zona offensiva il suo must. Tony Allen, vista anche la partenza di Mayo, è diventato il cardine del sistema di gioco di Hollins. Un giocatore in grado di dare il proprio apporto su entrambi i lati del campo.
Per Rudy Gay il discorso è a parte. E’ lui il leader carismatico, è lui l’uomo che dovrà trascinare i suoi ai playoff. Certo, ha parecchie responsabilità a partire da quest’anno, ma le sta gestendo molto bene. Segna una ventina di punti a partita, ma si impegna come se ne dovesse fare 30 ad ogni allacciata di scarpe. Così come Zach Randolph.
Leader della lega per rimbalzi catturati con 13.8 di media a cui aggiunge pure 16.7 punti. E’ lui il secondo violino e un’altra importante figura all’interno dello spogliatoio. Se Z ha un carisma spropositato, Marc Gasol è il cavaliere silenzioso e misterioso, un po’ come Zorro.
Grande stazza, ottime mani e piedi fatati. Ha uno dei migliori giochi in post-basso della lega ed è apprezzato quasi quanto lo è stato il fratello in quel di Memphis. Se poi ci mettiamo una panchina che sta iniziando a dare un concreto contributo, allora i conti sono presto fatti.
Ma il rischio di prendersi un abbaglio c’è e per questo occorre che si rimanga con i piedi per terra. Starà al coach saper gestire questa situazione e se lo farà al meglio, ci si potrà togliere qualche soddisfazione.
Personal trainer e grande appassionato di sport americani. Talmente tanto che ho deciso di scrivere a riguardo.
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sono più o meno d’accordo con tutto. meno che sulla questione “i playoff sembravano un’utopia”…
i grizzlies sono usciti lo scorso anno, è vero, ma hanno combattuto duramente e, come sempre, è tutta una questione di accoppiamenti. memphis ha perso con i clippers, che poi hanno preso sonore sberle dagli spurs…ma sono convinto che se fossero passati i grizzlies gli spurs avrebbero avute MOLTE più difficoltà, visto il tipo di squadra! io (ma anche quasi chiunque, nei siti che seguo) davo i grizzlies stabilmente ai playoff, subito dopo le maggiori corazzate della conference…e anche quest’anno, per buttarli fuori saranno dolori!
comunque grande squadra, mi piacciono molto. purtroppo con questi giocatori sono destinati ad essere eterni outsider visto che nessuno dei loro giocatori lascia intravedere la possibilità di un vero salto di qualità!