E’ stata una off-season parzialmente riparatoria, quella dei Bucks.
Sì, perché dopo l’azzardato passaggio da squadra defense oriented, forgiata nello stile di coach Scott Skiles, a compagine da corsa, forgiata nello stile di Scott Skiles (da giocatore però), avvenuto verso la deadline del mercato di metà stagione, in estate il GM John Hammond ha firmato giocatori d’area su giocatori d’area nella speranza di ribilanciare il roster e di tornare ai playoff dopo le belle performance del 2010.
ARRIVI DAL MERCATO: Samuel Dalembert (C, pre-draft trade, da Houston), Joel Przybilla (C, free-agent)
ARRIVI DAL DRAFT: John Henson (PF, #14, da North Carolina), Doron Lamb (SG, #42, da Kentucky)
RIFIRMATI: Ersan Ilyasova (PF)
PARTENZE: Jon Leuer (PF), Shaun Livingston (PG) e Jon Brockman (PF, pre-draft trade, a Houston), Kwame Brown (C, free-agent), Carlos Delfino (SF, free-agent)
STARTING FIVE
PG: Brandon Jennings (19.1 PPG, 3.4 RPG, 5.5 APG)
SG: Monta Ellis (17.6, 3.5, 5.9)
SF: Mike Dunleavy Jr. (12.3, 3.7, 2.1)
PF: Ersan Ilyasova (13.0, 8.8, 1.2)
C: Samuel Dalembert (7.5, 7.0, 1.7 BPG)
ROSTER
GUARDIE: Doron Lamb, Beno Udrih
ALI: Tobias Harris, John Henson, Luc Mbah a Moute, Ekpe Udoh
CENTRI: Drew Gooden, Joel Przybilla, Larry Sanders
Rapido flashback: il 13 marzo la franchigia ultima uno scambio con i Warriors, cedendo Captain Steph Jackson e Andrew Bogut, centro e ancora difensiva della squadra, per Monta Ellis, Ekpeh Udoh e Kwame Brown; questa mossa è dettata soprattutto dalle prolungate assenze per infortunio del centro australiano, già ai box per il resto della stagione, e dalla volontà di incrementare il potenziale offensivo non proprio atomico per rincorrere i playoff nell’ultimo mese di regular season.
La rincorsa non ha portato i frutti sperati: i record pre- e post-trade si equivalgono (18-20 e 13-15), e neanche il crollo finale dei Sixers ha permesso a Milwaukee di agganciare l’ultimo spot valido per i playoff.
Il fallimento (momentaneo) si può imputare a due fattori: la mancanza di chimica, in particolare fra Jennings ed Ellis, realizzatori che necessitano di avere la palla in mano a lungo, specialmente il secondo, abituato all’attacco free-flowing di Golden State, ed entrambi discontinui al tiro (41.8% e 43.2% rispettivamente); e la solidità difensiva, o meglio la sua subitanea dipartita.
Infatti, nelle poche partite di Bogut in maglia Bucks della passata stagione, i Bucks concedevano appena 98 punti ogni 100 possessi con lui in campo, contro i 103.3 con il centro australiano seduto sul pino.
Se poi si prende in considerazione la media dei punti concessi dopo la trade, quando Jennings ed Ellis componevano il backcourt si impennava fino a 107.7, una media dantoniana (ma senza Nash, Stoudemire o Anthony nell’altra metà campo), opposto ad un eccellente 95.1 ottenuto quando uno dei due lasciava spazio a Beno Udrih; non una gran sorpresa in realtà, essendo Ellis una shooting guard sottodimensionata che ha trascorso quasi tutti i suoi anni NBA a giocare Nellie-ball, un sistema non proprio, come dire, atto a difendere con intensità e concentrazione (appena appena), ma un dato di fatto inquietante nondimeno.
L’annata non è stata un fiasco totale, d’altro canto, in particolare per i grandi miglioramenti di alcuni starter: Jennings, sempre più leader e concreto, un altro giocatore rispetto al teenager balbettante dei tempi di Roma, ed anzi più meritevole di una convocazione All-star nel febbraio scorso rispetto a molti altri (Joe Johnson su tutti), ed i career-high in punti, minuti e percentuale dal campo (vabbe’, non che ci volesse molto per quest’ultima) sono lì a dimostrarlo, e nel 2013 sarà atteso per ulteriori passi avanti, specialmente a livello di continuità.
Anche Ersan Ilyasova ha mostrato grandi progressi, non per niente è stato in corsa fino all’ultimo per il Most Improved Player Award: un giocatore trasformato sotto ogni aspetto (a parte il cognome da donna), anche lui al massimo in carriera nei punti e al tiro, oltre che a rimbalzo, negli assist e nella percentuale da 3, attestatasi al 45.5%, un dato sorprendente per qualunque lungo nato fuori da Wurzburg; sarà lui la presenza interna (e non solo, come scritto) che dovrà far dimenticare, specialmente in attacco, la partenza di Bogut, del quale non possiede le qualità di facilitatore dall’attacco ma a cui è superiore in rapidità e atletismo.
E anche l’impatto di Ellis non è da buttare via, soprattutto in prospettiva futura: perché, al di là dei problemi già elencati, e dovuti soprattutto alla non ancora perfetta alchimia col compagno di reparto Jennings, non si può dimenticare la sua dimensione di realizzatore arduamente contenibile, se non proprio continuo e ancora da valutare in un sistema organizzato, che da 5 anni non scende sotto i 19 di media, in larga parte generati dalla combinazione esplosiva di velocità e capacità acrobatiche, e che sarà più motivato che mai nel dimostrare il suo status di stella.
Hammond si è mosso partendo da queste basi, andando a rinforzare le aree del gioco in cui la squadra deficitava dopo la trade Bogut (settore lunghi) e confidando nell’intesa collaborativa delle due giovani guardie, circondate di giocatori esperti come Udrih, Dunleavy e Gooden, e nei progressi già mostrati a primavera da Udoh, lungo tutto verticalità e wingspan (2.23 metri!) appartenente alla categoria dei giocatori di origine africana “da inventare”, come sono o sono stati Thabeet, Sene (al momento in Francia) e Biyombo.
Perciò sono stati presi, partendo dal draft, e passando per il mercato dei free-agent, tre lunghi (quattro se si considera il rinnovo di Ilyasova, rifirmato a 40 milioni per 5 anni, più del triplo annuo di quanto prendeva prima): cronologicamente, Samuel Dalembert, John Henson e Joel Przybilla.
Il centro 31enne di Haiti è arrivato in uno scambio pre-draft con i Rockets insieme alla dodicesima chiamata per fornire il suo solido apporto di rimbalzi e stoppate (8 e 1.9 di media in carriera), oltre a qualche affondata in ricezione dagli scarichi, in pratica l’archetipo del centro del ventunesimo secolo, interprete di un ruolo che ha perso la rilevanza del passato, ma ancora utile per la presenza intimidatoria vicino a canestro e per la decennale esperienza pro; ed è più o meno ciò che verrà chiesto anche a Przybilla, tornato alle origini della sua carriera NBA nel Wisconsin, dove aveva giocato i suoi primi quattro anni da professionista, e dove ora, verso la trentatreesima candelina, gli verrà chiesto di far rifiatare per 10-15 minuti gli altri big men.
Big men di cui farà parte anche Henson: il prodotto di North Carolina, un altro pterodattilo (circa 2.28 metri di apertura), è il motivo principale dello scambio di scelte (14 per 12) con Houston, un prospetto difensivo di enorme impatto (come dimostrano le 3 stoppate di media e i 2 titoli di Difensore dell’anno della ACC 2011 e 2012): se mette su massa (100 chili su 2 metri e 10 non sono sufficienti per le aree della Lega) e alza la percentuale ai liberi può diventare una delle migliori ali forti dei prossimi 10 anni.
Questi movimenti non sono clamorosi né pensati per stravolgere il volto della franchigia, tanto meno per rifondare il roster come altre squadre della Central hanno fatto negli ultimi 2-3 anni, per volontà propria (Detroit) o perché costrette (Cleveland post-Decision), probabilmente perché la dirigenza non percepisce lo stato attuale del team come un Ground Zero, ma solo come una macchina a cui mancano degli ingranaggi, e verosimilmente il GM John Hammond non ha torto.
Basti pensare alle brillanti prestazioni di 2 anni fa, quando con da outsider i Bucks vinsero 46 partite, facendo vincere proprio a Hammond il premio di Executive of the Year. Quella squadra non era migliore dell’attuale e questo fa ben sperare per il futuro, immediato e prossimo.
Un dubbio persistente è certo l’adattabilità del coaching style arcigno e basato sul gioco a metà campo di Skiles ad un gruppo che sembra più orientato verso un run n’ gun, vista la presenza di realizzatori rapidi e dinamici e di un lungo scopertosi grande tiratore come Ilyasova; non sono due scuole di pensiero che si adattino facilmente l’una all’altra, e perciò questo inizio di stagione sarà un battesimo di fuoco per “Mr. 30 assist in una partita” per verificare la sua compatibilità con il nuovo progetto.
La mia impressione è che i Bucks valgano i playoff, o comunque che se la possano giocare fino all’ultimo per uno degli ultimi due spot, ora che non devono più aspettare le interminabili degenze di Bogut; se poi il coach in grado di farli decollare sia effettivamente Skiles ce lo diranno i primi due mesi di stagione regolare.
PREVISIONE: 40-45 vittorie, 7°-8° posto
freshman di lingue a milano, a 11 anni si ammala gravemente di NBA grazie a LeBron James (fino a the Decision) e Kevin Garnett; il suo sogno è fare il giornalista sportivo
Io sono più pessimista su di loro: la quadratura del cerchio tra Jennings ed Ellis mi sembra troppo ardua da trovare. Troppo accentratori, pochissimo playmaking, zero difesa e poca intesa già palpabile nelle poche partite avute a disposizione l’anno scorso. E la situazione contrattuale di entrambi non induce all’ottimismo, considerato che Milwaukee non è né un contesto tradizionalmente vincente, né una piazza attraente per grandi FA. L’ala piccola mi pare un punto debole: io sono più portato a pensare che lo starter possa essere uno tra Harris (che se la cava niente male) e Mbah a Moute (che almeno dà un po’ di difesa negli esterni). In ala grande, Ilyasova mi pare più sopravvalutato che altro, spero in una veloce crescita psico-fisica di Henson che mi piace tantissimo. Come centro Dalembert è un mestierante. Non sono tanto certo dell’8o posto…