4 Aprile 2011, Oregon Arena, dominio Mavericks nei primi tre quarti del match, il tabellone recita impietoso: 67-44 Dallas.
Pubblico ammutolito e consapevole, una vittoria degli ospiti significherebbe una quasi certa eliminazione dei loro beniamini. Quattro secondi alla fine del terzo quarto, possesso Portland, palla in mano a Brandon Roy, lo sfortunato idolo di casa dalle ginocchia di cristallo.
Succede tutto in pochi attimi: scatto sulla sinistra verso la linea dei tre punti, stacco in corsa, le braccia del difensore che si alzano quando ormai è troppo tardi, rilascio, la palla che danza malignamente sul ferro, sembra uscire, ma il debito di Brandon con la Fortuna è già troppo grande.
Questi saranno i tre punti preludio di una delle più grandi prestazioni individuali in un singolo quarto della storia dell’NBA. Roy, infatti, firmerà 18 pesantissimi punti nell’ultima frazione trascinando i Trail Blazers ad un’insperata e fondamentale vittoria .
Leadership, classe, freddezza, sfortuna: questo ricordo porta alla luce tutte le caratteristiche del personaggio ed è, ma ancora per poco, l’ultimo esempio della grandezza di Brandon Dawayne Roy da Seattle, Washington.
Ragazzo semplice ed educato, proveniente da una famiglia molto povera che lo abitua fin da giovane a prendersi le sue responsabilità, Brandon possiede caratteristiche tecniche che lo differenziano da qualsiasi altra guardia che abbia calcato i parquet NBA negli ultimi anni e che lo hanno portato a diventare idolo indiscusso di milioni di tifosi.
Statura nella media, muscolatura umana, elevazione e atletismo da guardia europea ma, nonostante questo, immarcabile per la maggior parte dei colleghi grazie ad una superiore conoscenza e sfruttamento dei fondamentali, ad una velocità di pensiero impressionate, ad una tecnica di tiro limpida e corretta in ogni situazione, dovuta alla grande coordinazione di cui Madre Natura l’ha dotato, il tutto arricchito da una freddezza degna di uno dei migliori clutch scorer mai visti.
Valori emersi fin dal suo anno da rookie, durante il quale la sua figura si impose potentemente nel panorama cestistico americano.
Con 16.8 punti, 4.4 rimbalzi, 4.0 assist, e nonostante la ricomparsa di alcuni problemi alle ginocchia, che lo avevano già colpito al college e che lo costrinsero a saltare 25 partite di Regular Season, stupì tutti conquistando, con 127 voti su 128 disponibili, il premio suo omonimo, R.O.Y, the Rookie Of the Year.
Le due stagioni successive, nonostante la rimozione della cartilagine del ginocchio sinistro nella Preseason 2008, le trascorse da protagonista assoluto incrementando continuamente le sue cifre, migliorando il suo gioco e aiutando la sua squadra che si mise in luce grazie a uno dei roster più futuribili della Lega.
Come il suo condottiero però, anche il resto della squadra fu falcidiato dagli infortuni (emblematico il caso Oden) quindi, l’impressione che avrebbero potuto ottenere risultati migliori, continuò a perseguitarli.
La colpa non ricadde sicuramente su Roy che trascinò il team con prestazioni monstre come quella contro i Phoenix Suns del 18 Dicembre 2008, conclusa la quale il suo tabellino recitava: 52 punti (14/27 al tiro, 19/21 al tiro libero, 5/7 da 3 punti), 6 assist, 5 rimbalzi, una stoppata, il tutto macchiato da un solo turnover.
Ma veniamo, più o meno, ai giorni nostri. Durante l’estate 2009, raggiunto lo status di stella, firma il rinnovo del contratto al massimo salariale e punta deciso ai piani alti della Western Conference con i suoi Trail Blazers ma, come spesso in passato, gli infortuni si mettono ancora di mezzo tra lui e la gloria.
Poche partite prima dei Playoff una risonanza magnetica rivela uno lesione del menisco del ginocchio destro che, nonostante un recupero velocissimo, gli impedisce di essere al meglio nei momenti decisi della stagione.
E’ questo l’inizio della fine: durante la Regular Season successiva ambedue le ginocchia non gli danno tregua e lo portano a tentare un ulteriore intervento chirurgico in artroscopia.
Ritorna a giocare dopo molti mesi senza mai più raggiungere, se non con prestazioni estemporanee, il livello di gioco a cui ci aveva abituati. La seconda parte della stagione 2010-2011 è quindi caratterizzata da un netto abbassamento delle sue statistiche dovute al relegamento a panchinaro di lusso per scelta della società che, seguendo le indicazioni dei medici, voleva tutelarlo.
Anche nei Playoff l’incubo sembra non avere fine, le prime due partite contro Dallas risultano disastrose, i Trail Blazers perdono e Roy praticamente non vede il campo.
Ma gli Dei del Basket sentenziano che al ragazzo dev’essere donato un ultimo momento di gloria: le ginocchia reggono, la cartilagine è sostituita da una forza di volontà ferrea, il pubblico di Portland si trasforma nel bastone emotivo su cui reggersi e Brandon ci regala due storiche prestazioni individuali portando la squadra di cui è il condottiero da anni ad impattare la serie sul 2 a 2.
La storia racconta poi che Dallas vincerà la serie e il campionato NBA con una splendida cavalcata, ma non importa, negli occhi e nei cuori degli appassionati è rimasto, chiaro e indelebile, il canto della fenice di un grande campione a cui la sorte è stata avversa.
La medicina e le tecniche di allenamento moderne rendono, però, possibile ciò che fino a poco tempo prima sembrava impossibile.
Nell’anno successivo al suo ritiro, Brandon si è sottoposto a cure innovative e ad allenamenti specifici per potenziare la muscolatura delle sue fragilissime ginocchia. Il risultato ottenuto è stato così soddisfacente da spingere il giocatore, ancora 28enne, a tornare sui propri passi.
Il 5 Luglio, infatti, è stata ufficializzata la firma di un contratto biennale (di poco superiore ai 10 milioni di dollari) tra Roy e i Minnesota Timberwolves, la squadra che lo aveva originariamente scelto al Draft.
Gli appassionati di Portland sono rimasti decisamente shockati: il loro idolo che, un solo anno dopo il ritiro, firma per una rivale, non è una notizia facilmente digeribile. Ma, la guardia da Washington, non avrebbe comunque potuto firmare per i Trailblazers fino alla stagione 2014-15 a causa delle ferree regole NBA sui contratti.
Quindi, la decisione di firmare per sole due stagioni con la nuova squadra, può anche essere anche vista come segno di una, mal celata, intenzione del giocatore di tornare in quel di Portland il prima possibile.
La Regular Season 2012-13 sarà, quindi, caratterizzata dal ritorno sul parquet di uno dei maggiori talenti del basket americano degli ultimi dieci anni. Riuscirà questo sfortunato quanto talentuoso atleta ad esprimere tutto il suo potenziale e a tornare ai livelli di un tempo con la nuova casacca?
Anche per questo motivo, non vediamo l’ora che arrivi novembre…
Gran bel giocatore!
E menzione speciale perche’, a differenza di molti altri, sembra che non se la tiri per niente!
(ci sono giocatori MOOOLTO piu’ scarsi..che se la tirano piu’ di lui).
Detto questo..che dire: sono felice per lui se vuole tornare!
Anche se non sara’ mai quello di prima!
Forza ROY!!!
Gli infortuni sono la vera bestia nera per ogni atleta.
Merita di tornare, di divertirsi e divertire.
Un grande in bocca al lupo a Roy.
un talento puro e commovente, merita il meglio, la sfortuna gli ha già portato via troppo. FORZA BRANDON!!!
Mi viene da piangere!!!speriamo….forza Blazers!!!
Rispetto sempre per The Natural. Articolo doveroso.
Sarebbe veramente bello se dopo 2 anni potesse tornare da noi…
Per il momento gli auguro di poter tornare ai suoi livelli
oppure avvicinarsi tantissimo!