Domanda: Si può lasciar passare con la nona chiamata al Draft un 7 piedi di 279 libbre che muove i piedi come un ballerino e che ad inizio anno era dato da tutti nelle top3 picks?
Risposta: No, non si può!!
Questo è quello che deve aver pensato Joe Dumars, facendo un respiro profondo, quando ha consegnato a David Stern il nome da chiamare al Draft NBA 2012: Andre Drummond!
Sul perché poi un ragazzo che sembra essere stato creato in laboratorio per il gioco del baloncesto possa essere scivolato così in basso cercheremo di rispondere nel proseguo.
Il Draft, come noto, non è una scienza esatta ed è quindi molto difficile cercare di gettare le fondamenta di un team vincente passando solo attraverso le scelte, inoltre non tutte le classi offrono la stessa qualità; tuttavia per molti team, sopratutto quelli appartenenti ai mercati cosiddetti minori, questo rimane l’unico modo per cercare di rivaleggiare con le franchigie con più appeal!
L’esempio più lampante oggi sono gli Oklahoma City Thunder, un team sorto dalle ceneri dei Seattle Sonics e che nel giro di pochi anni si è trovato da barzelletta della lega a contender per il titolo e questo solo grazie all’oculatezza di una dirigenza che nel giro di qualche anno ha saputo scegliere Durant, Westbrook e Harden.
Pare evidente che oltre alla bravura del management serva anche una certa dose di fortuna: e nella capacità di scegliere gli uomini giusti (non dimentichiamoci che questi ragazzi vengono scelti ad una età media di 20/21 anni con casi eclatanti tipo Kevin Garnett, scelto a 19 anni e che smise di crescere solo al suo terzo anno nella lega) e nella possibilità di trovare ancora disponibile il nome su cui si era deciso di puntare.
Negli ultimi anni, per stessa ammissione di Joe Dumars, Detroit si è trovata nella posizione di poter scegliere giocatori che non pensava potessero essere disponibili al momento della propria chiamata (Monroe, Knight e da ultimo proprio Drummond) e così facendo ha iniziato un processo di ricostruzione che nelle idee della dirigenza della città della General Motors dovrebbe poter portare la franchigia a rivivere i fasti di inizio millennio quando i Pistons arrivarono a giocare 2 finali NBA consecutive che fruttarono il titolo del 2004 e una dolorosa sconfitta in sette partite con gli Spurs nelle finali dell’anno successivo.
L’ idea della dirigenza dei Pistons prima del draft era molto chiara: scegliere il miglior lungo disponibile per formare con Monroe un front-court in grado di dominare i prossimi dieci anni della lega. Al momento della chiamata Dumars si è trovato con la possibilità di scegliere Sullinger, che però non dava garanzie a livello di tenuta fisica, o Drummond giocatore fatto dal sarto per i piano di sopra ma con evidenti limiti di testa.
La scelta è ricaduta sul fanboy di Dwight Howard, ritenuto giocatore in grado, se cresciuto nel modo giusto, di cambiare i destini della franchigia.
Drummond per il ruolo che ricopre e l’età che ha è sicuramente un giocatore che avrà bisogno di tempo per riuscire ad esprimere tutto il suo potenziale.
Da un punto di vista fisico sembra essere già pronto, dispone di una mobilità di piedi incredibile che gli permetterà di essere fin da subito uno stoppatore efficace arrivando in aiuto. Dotato di un buon IQ cestistico, i problemi nascono sulla capacità di restare con la testa nella partita per 48 minuti; a questo va poi aggiunta una totale mancanza di movimenti offensivi diversi dalla schiacciata che obbligherà il ragazzo e lo staff tecnico a lavorare molto su tutti gli aspetti del gioco.
Al di là dell’ aspetto tecnico è sulla capacità di maturazione mentale del ragazzo che aleggiano i maggiori dubbi.
Troppe volte il ragazzo sembra sparire dal gioco, sembra non avere l’atteggiamento giusto in campo, sembra non capire i momenti della partita. E’ questo aspetto che ha spaventato molte franchigie e che ha portato Drummond a scivolare fino alla posizione numero nove.
Dumars è convinto di avere per le mani un diamante grezzo che attraverso il lavoro e dandogli il giusto tempo possa trasformarsi in un giocatore totale ed in grado di far svoltare definitivamente le sorti della franchigia.
Il pianto dopo la sua scelta è la fotografia del ragazzo, un man-child, un ragazzino in un corpo di un uomo che avrà bisogno di maturare tanto sull’ aspetto tecnico del gioco quanto su quello mentale.
E’ naturale che i Pistons abbiano messo in conto di non avere una squadra competitiva fin dalla prossima stagione; la cessione di Ben Gordon per il contratto in scadenza di Maggette è il segno chiaro di una dirigenza che ha deciso di ricostruire.
L’ ex Kentuky, Brandon Knight dopo una comunque positiva prima stagione è atteso ad un miglioramento complessivo del suo gioco e dividerà il back-court con l’ormai veterano Rodney Stuckey senza dimenticarsi di Will Bynum. Greg Monroe, esploso definitivamente la scorsa stagione dovrà riconfermarsi ed aiutare Drummond nell’ inserimento all’ interno della lega.
Il quintetto dovrebbe essere completato da uno tra Jerebko, Magette ed il veteranissimo Tayshaun Prince mentre dalla panchina si dovrebbero alzare l’ex Real Madrid Kyle Singler (ottima la sua stagione in Europa) e la 15° scelta assoluta del draft 2009 Austin Daye.
La seconda scelta Kim English sembra poter dare un contributo fin da subito mentre per il reparto lunghi si avrà il solito apporto da Jason Maxiell e Ben Wallace che sembra rimarrà ancora per una stagione. Villanueva non dovrebbe più far parte dei piani della dirigenza e potrebbe essere scambiato per cercare di rinfoltire la panchina.
Insomma Detroit sembra un cantiere aperto più che un progetto finito ma almeno nelle scelte la dirigenza sembra aver dato delle linee chiare e definite.
Drummond, Monroe e Knight avranno il compito di riportare Detroit agli antichi fasti, è su questi giocatori che Dumars ha deciso di puntare accettando il rischio di vedere ancora qualche stagione perdente ma con la possibilità di avere un salary-cap basso e quindi la forza di muoversi sul mercato dei FA potendo quindi affiancare alle sue giovani promesse i giocatori giusti a completamento del progetto.
Chiaramente tutto dipende dalla testa di Andre, sembra infatti essere lui la vera scommessa dei Pistons.. la sua scelta è sicuramente stata un rischio, ma era uno di quei rischi che si dovevano correre. Troppo il potenziale per lasciarlo passare!
Questo è quello che Dumars ha pensato dal giorno in cui ha visto l’ex UConn durante i provini fatti e che si augura diventi realtà nel giro di qualche stagione; diversamente per Detroit si prospetteranno altri anni difficili e l’ennesima occasione persa di rilanciare una delle franchigie storiche dell’ NBA.
Tifo Knicks dal 1993 e da allora non ho potuto più smettere!
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La scommessa doveva essere giocata e Joe D ha fatto benissimo a correre il rischio…del resto Drummond era il prospetto potenzialmente più forte dell’intero draft nella posizione di n. 5. Poi è chiaro che la testa è quella di un diciottenne che si trova all’improvviso proiettato in un mondo troppo grande per lui. La franchigia ed il coaching staff credo però che possano essere quelli giusti per “registrarlo” nel mondo NBA. Detroit è da sempre l’essenza del lavoro duro e sporco…esattamente quello che manca ad Andre Drummond. La franchigia è in ricostruzione (vedasi lo scambio Gordon – Maggette), ma il neo proprietario Gores sembra avere voglia di fare le cose per bene. Ultima piccola annotazione: i Pistons negli ultimi giorni hanno firmato il centro ucraino Kravtsov. Un altro mattoncino importante in un reparto lunghi che nella scorsa stagione sembrava un deserto. Adesso resta solamente da trovare una sistemazione a Villanueva, uno dei peggiori colpi della gestione Dumars dopo la scelta Milicic….
In bocca a lupo anche a loro, come a Cleveland. La risalita è lenta ma sembrano esserci le premesse…