La bella vittoria in rimonta in Gara 1 avrebbe dovuto garantire un lascito motivazionale di una certa portata agli Oklahoma City Thunder.
Giocare a 48 ore di distanza dopo un successo arrivato in quel modo, in un palazzotto che definire rovente è riduttivo, avrebbe dovuto quantomeno caricare i padroni di casa per tentare il colpaccio e portarsi in Florida sul 2-0.
Eppure non è andata così. I Thunder hanno perso Gara 2 di quattro lunghezze, al termine di una partita che può fornirci, a mente fredda, più di uno spunto, sia negativo che positivo.
Partiamo da quello che non ha funzionato.
Ok, hai vinto Gara 1 pur essendo andata sotto per lunghi tratti di partita in doppia cifra, mostrando ai tuoi avversari che girando qualche vite in difesa hai la possibilità di capovolgere una gara, tanto è il tuo talento e la tua energia nell’altra metà campo. Bene. Ma devi per forza farne una regola? Dopo l’imbarazzante partenza del primo capitolo della serie, i Thunder l’altra notte hanno fatto addirittura peggio, finendo sotto 18-2 in un amen.
Oh, si badi, gli altri giocavano bene, giravano la palla, prendevano buoni tiri, ma non è che stessero centrando tutto come in una vasca da bagno. No, il problema dei primi minuti di questi Thunder era l’attacco. Sterile, fatto di tiri senza costrutto, come si suol dire “tiri ignoranti”, senza ritmo, presi dal palleggio in isolamento.
Quando attacchi così contro una squadra come Miami è un momento e ti trovi sotto in doppia cifra, e poi voglio vederti a risalire la china. Si, puoi farlo (vedi, appunto, Gara 1), ma non è così scontato riuscirci. Soprattutto se i tuoi avversari sembrano aver imparato dai loro errori e si sono (in parte) adeguati al tuo attacco.
Capitolo Westbrook. 27 punti anche in Gara 2, è evidente che la difesa di Miami è totalmente incapace di trattenerlo. Fa letteralmente ciò che vuole. Ma questo non è necessariamente un bene per OKC. E proprio Gara 2 ne è un esempio: 26 tiri di cui 16 fuori bersaglio, troppo spesso Russell è sembrato una trottola impazzita fuori dal controllo del suo Coach. Se la sua energia viene in parte canalizzata e guidata è inarrestabile e un fattore per i suoi. In caso contrario, come accaduto nella prima metà di Gara 2, può essere anche dannoso.
La difesa. Se Serge Ibaka ha presenziato il ferro con alcune delle più belle stoppate che ricordi (5 per lui al termine), è pur vero che anche l’altra notte, come in Gara 1, OKC ha battezzato al tiro troppo spesso e troppo facilmente i cecchini avversari. Nello specifico uno, tale Shane Battier acquistato a suo tempo da Miami non solo per le note capacità difensive, ma anche per le altrettanto conosciute abilità al tiro piazzato, specie se dietro l’arco: 4 triple in Gara 1, un esaltante 5/7 in Gara 2. Una costante, questa, che non può proseguire se Oklahoma mira all’Anello.
L’apporto del tiratore in canotta nera, finora, pesa nell’economia di Miami quasi quanto quello di un Big Three, con 17 punti di media e soprattutto (ancor più di quanti punti segni) con la matematica certezza di punire i raddoppi della difesa di OKC su James e Wade.
Già Wade. Oklahoma, in Gara 2, si è approcciata al numero 3 in modo identico a quanto fatto all’esordio in queste Finals. Ma se in Gara 1 l’ex enfant prodige ha giocato in modo particolarmente esagitato, non entrando mai in partita, in questa Gara 2 è sembrato tornare ai livelli a lui congeniali. Una partita, quella di DWade, di altissimo livello, con gestione del gioco, visione, apertura del campo e canestri di fattura pregiatissima. I Thunder non sono stati capaci di limitarlo, nemmeno un po’.
E se James fa il James, Wade gioca da Wade, Battier punisce dall’arco e…. Chris Bosh decide di metterne 16 con 15 rimbalzi viene facile pensare che la vittoria sia dietro l’angolo.
E qui arriviamo a ciò che potremmo dire ha funzionato in Gara 2 per i Thunder, seppur a fronte di una sconfitta. Si perché pur avendo subito il pareggio della serie, OKC può comunque trovare degli spunti decisamente incoraggianti nel secondo capitolo di queste Finals.
Prima di tutto l’energia: se l’approccio mentale alla Gara è stato del tutto sbagliato, si deve riconoscere che OKC non ha mai mollato. Spinta da un pubblico favoloso, nonché da giocate difensive (specie di Ibaka) capaci di mandare in sollucchero chiunque, in più di un occasione ha tentato di riavvicinarsi, pur senza riuscirci. Ma in quell’energia, in quella costante ricerca della vittoria, Coach Brooks può comunque vedere un punto fermo, qualcosa che non viene meno in ogni occasione.
Secondo: il Barba. Fear the Beard come dicono in America. Dopo aver bucato Gara 1 è tornato il solito Harden, energia ed efficacia in un solo giocatore: 21 punti con 11 tiri è tanta roba, specie se parte di questi sono stati segnati quando KD e Wes erano in panchina. La difesa su LBJ è forse ancora un po’ azzardata, ma vederlo lottare contro uno che gli da 30 chili è sicuramente adrenalina pura per i compagni.
Da ultimo, Kevin Durant. Gioca una prima metà assolutamente sotto tono. Problemi di falli, difficoltà nel tenere James, imprecisione al tiro (3/9), pochezza realizzativa. Poi, magicamente, quando più conta, quando il tempo ormai scarseggia, si trasforma ancora una volta in una macchina da canestri. 26 dei suoi 32 punti finali arrivano nella ripresa, tirando con 9/13 e portando i suoi, sotto anche di 17 punti nel secondo quarto e sotto in doppia cifra per gran parte del terzo, a -2 con la palla del pareggio a 12″ dalla fine. Poi, è vero, sbaglia il tiro del possibile supplementare, ma è pur vero che su quel tiro c’è stato il netto fallo, non fischiato di LBJ. Ciò che conta, al di là dell’errore arbitrale, è che su KD si può contare quando serve.
Come si può contare, appunto, sulla voglia del gruppo in maglia blu di vincere e vincere e vincere.
Peccato che si ricordino di essere alle Finals solo a 24 minuti dalla palla a due.
A volte due quarti bastano per vincere. A volte, invece, no.
Laureato in Legge, appassionato di basket e fotografia, guardo la vita attraverso un obiettivo e con la palla a spicchi in mano…
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