E così, nel bel mezzo degli Stati Uniti, nei luoghi in cui avvenne la corsa alla terra della fine del XIX secolo, i cui cittadini sono detti “sooners” proprio per quell’evento, in quanto chi arrivò presto ebbe la terra, i Miami Heat hanno provato ad arrivare presto.
Spinti da un ottimo Battier, da James e Chalmers il primo quarto l’hanno concluso con un vantaggio di 7 punti, mantenuti nel secondo quarto. Gli avversari, gli Ocklahoma City Thunder, erano attaccati disperatamente al loro campione più rappresentativo, Kevin Durant, uno che era tacciato, fino a poche settimane fa, fino alla serie contro gli Spurs, di non essere un leader. Situazione migliore non pareva esserci.
Invece nella ripresa ecco di nuovo lo psicodramma.
Wade, Bosh e Chalmers sono spariti dal campo, in parte stanchi per via delle rotazioni corte, in parte tolti dal campo dagli aggiustamenti difensivi di coach Brooks (un’altro che era accusato di non saper fare aggiustamenti difensivi), in parte incapaci di trovare il bandolo della matassa. Battier e James hanno proseguito a giocare piuttosto bene, ma Battier non è e non sarà mai colui che può portare una squadra alla vittoria in una finale NBA, James potrebbe esserlo, ma il compito stavolta era eccessivo anche per lui.
Qualche numero? Wade ha si realizzato 19 punti, ma ha avuto bisogno di 19 tiri per riuscirci, tenendo troppo la palla ferma, palleggiando spesso per una decina di secondi o più prima di prendere qualche iniziativa, non riuscendo quasi mai a dar fastidio a Russel Westbrook (autore, per parte sua, di una partitina da 27 punti, 11 assist ed 8 rimbalzi), Bosh si è limitato di fatto ad una serie di tiretti in sospensione dalla media, come ai tempi dei Toronto Raptors, incidendo pochissimo, con 10 punti e 5 rimbalzi. Solo 6 giocatori hanno fatto parte delle rotazioni, i 5 del quintetto (un quintetto piccolissimo, con James ala forte ed Haslem centro) e Bosh, con apparizioni brevi e prive di gloria da parte di Anthony e Miller.
I processi, sempre pronti quando si parla dei tre pards di Miami, sono già cominciati, anche se siamo solo a gara 1. La buona prestazione individuale non ha salvato James dagli attacchi di chi lo vede destinato a perdere fino a che non si troverà in squadra con un vero leader (a dire il vero quest’anno queste critiche sembrano piuttosto ingenerose, quando c’è stato bisogno lui il suo contributo non l’ha fatto mai mancare, anche stavolta è stato piuttosto positivo), c’è chi punta l’indice contro Pat Riley ed il modo con cui ha costruito la squadra, chi contro coach Spoelstra, chi contro Wade e Bosh.
Considerando tali processi occorre prima di tutto partire dal presupposto che siamo solo alla prima partita. Tanto per fare un esempio, gli stessi Thunder dopo la seconda partita della finale di conference, contro gli Spurs, parevano già condannati all’eliminazione.
Una partita sola, specie se giocata nel palazzetto degli avversari, non basta certo per dare giudizi definitivi. Premesso questo, qualche considerazione però si può fare.
In primo luogo è vero che il roster degli Heat, con l’eccezione dei tre campioni, è composto da giocatori di livello non elevatissimo, i cosiddetti role player, ma è anche vero che questo è inevitabile in una squadra in cui tre soli giocatori guadagnano oltre 50 milioni.
Anche i Celtics del 2007 erano composti da tre campioni, due giovani che allora non erano di gran nome (il Rondo del 2007 aveva solo 21 anni e non era certo il giocatore di oggi) e qualche giocatore di esperienza preso con eccezioni salariali o al minimo dei veterani.
I tre fuoriclasse però erano tre assatanati che giocavano con una intensità impressionante, trascinando i compagni, e fra i giocatori di contorno c’era un centro vero come Perkins, che gli Heat non hanno.
Qui dei tre campioni solo James sta davvero incidendo, Wade e Bosh non stanno riuscendo a dare un contributo all’altezza, a queste condizioni non si può pretendere che Miller o Anthony facciano miracoli. C’è tempo, ma serve che Wade cambi marcia come è riuscito a fare con i Pacers e che Bosh riesca, nonostante sia appena tornato da un infortunio, a farsi valere in area come contro i Celtics.
Spoelstra ha poche armi per effettuare aggiustamenti, in attacco al massimo può provare ad alternare quintetti alti con quintetti bassi, non può nemmeno accelerare più di tanto i ritmi perché correre molto contro i Thuder non pare una ottima idea.
Deve però inventarsi qualcosa in difesa, dove, ad esempio, ha due giocatori che in alcuni momenti sono riusciti a mettere in difficoltà Kevin Durant, cioè Battier e James, deve assolutamente invogliare Westbrook ad attaccare il ferro ignorando i compagni.
In fase offensiva, con soli 8 giocatori nelle rotazioni, di cui solo 6 utilizzati con continuità, diventa difficile inventarsi particolari modifiche. Non è però accettabile che 4 giocatori siano fermi a vedere chi palleggia, che si insista con isolamenti di Wade o James lontanissimi dal canestro. Serve assolutamente un maggiore movimento di chi non ha la palla, che si portino blocchi con continuità, anche se portati magari proprio da Wade o James.
C’è tempo, è stata giocata solo la prima partita ed abbiamo visto nel 2006 come gli Heat siano capacissimi di ribaltare uno svantaggio nel proprio palazzetto, tanto più che entrambe le squadre rendono molto meglio sul parquet di casa. Però Spoelstra deve assolutamente portare qualche modifica e, soprattutto, Wade e Bosh devono elevare il proprio rendimento.
Wade è sembrato rendersi conto di questo: “Io non sono più atletico come quando avevo 24 anni, mi piacerebbe ma non è possibile. Però ho ancora molto da dare, prima o poi verrà il momento di smettere, ma non è questo.”
Giusto, le parole sono quelle che i tifosi Heat volevano sentirsi dire, ma ora occorre tradurle sul campo. La squadra lo sostiene in pieno, ad esempio Capitan U, Udonis Haslem, lo difende come nemmeno il miglior Perry Mason saprebbe fare: “Io non capisco le cose che si dicono di Dwyane. Siamo nelle finali NBA, come può aver giocato male se siamo arrivati a questo punto? Non ci saremmo arrivati senza di lui, lui è ancora il nostro punto di riferimento.”
L’unico che prova a smorzare la tensione è Shane Battier: “Come mi preparo per marcare Kevin Durant? Comincio la domenica in chiesa, pregando tutti gli dei di tutte le religioni!”
Bella la battuta, ma ora per la seconda partita nella terra di Chuck Norris servirà qualcosa in più delle preghiere.
Simpatico Battier ma non ce la può fare…L’unico che può tenerlo è il Fascetta che però deve anche metterne 35 a sera per avere un qualche chance di portare a casa la partita! Bruttissima situazione. Temo che non ce la faccia nemmeno quest’anno.