Messaggio forte e chiaro degli Oklahoma City Thunder: siamo giovani, siamo incoscienti e siamo pure inesperti. Ma non per questo abbiamo paura di chicchessia. Dateci due quarti di gioco per acclimatarci con le Finali NBA, e poi ripartirà il nostro spettacolo. E non ci sono Miami Heat che tengano. Almeno per quel che ha riguardato gara 1.
I giovanissimi (in tutti i sensi) Thunder hanno messo insieme una gara 1 che se analizzata un po’ a fondo ha avuto dell’incredibile. Una squadra dove i maggiori interpreti non hanno più di 23 anni è arrivata alla sua prima Finale di sempre con i favori del pronostico, contro una squadra che da due anni tutti aspettano sul trono della Lega, che ha già un’apparizione su questi palcoscenici e che, per di più, aveva cominciato la partita mettendo a proprio vantaggio tutto il gap di esperienza maturato. Abbastanza per pensare come legittimo un possibile crollo dei giovanotti di Oklahoma City. E invece no.
Guidati dai due condottieri principi, Kevin Durant (36 punti, 8 rimbalzi e 4 assists con 12/20 al tiro) e Russell Westbrook (27, 8 rimbalzi e 11 assists), ma con anche il contributo fondamentale di due vecchie volpi come Nick Collison (8 punti e 10 rimbalzi) e Derek Fisher, i Thunder hanno letteralmente travolto gli Heat nel secondo tempo, terminato con un indicativo 58-40 di parziale, imponendo a piacimento il proprio gioco e, soprattutto, evidenziando un vantaggio a livello atletico che, fino a qualche tempo, non pareva fosse possibile nemmeno sognare contro una squadra come Miami.
Heat che dal canto loro hanno nuovamente dato l’impressione di essere una classica incompiuta, giocando una gara a tratti enigmatica. Per due quarti si è assistito ad una delle migliori uscite della squadra di Spoelstra, specialmente in attacco, dove la palla ha girato con una fluidità assolutamente non usuale, mettendo in croce più volte la difesa di OKC, trovando grandi cose da Chalmers (12 punti e 6 assists con 5/7 al tiro) e Shane Battier (17 con 4/6 da 3). James (30 e 9 rimbalzi) ha giocato senza forzare, così che gli stenti di Wade (19 con altrettanti tiri) non rappresentassero un problema. Ancora, per parecchi minuti si è avuta la netta sensazione che gli Heat stessero meglio in campo, con più confidenza (6/10 da dietro l’arco all’intervallo). Mentre i Thunder apparivano tesi, contratti. Situazione volendo prevedibile.
Poi la pausa lunga e il cambio drastico di scenario. Oklahoma City è riemersa dagli spogliatoi rinvigorita, aggredendo da subito gli avversari, prima di tutto in difesa, con un indemoniato Thabo Sefolosha. Miami, a quel punto, ha cominciato a sciogliersi, dando l’impressione di essere sorpresa del fatto che i Thunder non fossero rimasti stravolti del brutto primo tempo (terminato 54-47 per James e soci).
Via allora nuovamente a isolamenti in attacco, palla ferma nelle mani di un Wade disastroso almeno offensivamente, e Thunder a nozze. Dopo i primi due quarti da cancellare, Westbrook ha cominciato ad entrare in partita a modo suo: attaccando come un pazzo il canestro, consapevole che nessuno, tra i difensori di Miami, avesse una chance di fermarlo. Solo qualche errore di troppo su tiri aperti da parte dei padroni di casa ha mantenuto il vantaggio di Okc a una sola lunghezza alla terza sirena.
Il tutto preludio per la fuga definitiva, lenta e inesorabile, mentre tutti si aspettavano Harden e Ibaka a far disastri con Brooks che, invece, si metteva in tasca l’1-0 giocando con Fisher, Westbrook, Sefolosha, Durant e Collison a oltranza. 14-3 di parziale Thunder e Miami nella confusione totale. Wade a intestardirsi in conclusioni con poco senso, mentre Durant metteva in scena il suo personale spettacolo con un ultimo periodo da 17 punti e 6/10 al tiro quasi a ricordare a chi di dovere che quella statuetta di MVP poteva benissimo essere sua.
MVP
Sarebbe riduttivo citare solo Kevin Durant. Perché la combinazione che ha steso Miami è stato un uno-due micidiale, dove il primo cazzotto da KO è stato sferrato da Russell Westbrook, con un terzo quarto di pura arroganza agonistica e atletica. 63 punti, 16 rimbalzi e 15 assists, tutto col 50% al tiro il fatturato complessivo per i due scugnizzi che hanno dominato in lungo e in largo il confronto diretto con gli antagonisti, James e Wade, lasciando in molti la netta sensazione che le previsioni per una serie favorevole agli uomini di Scott Brooks non fossero poi così sbagliate.
LE CHIAVI DELLA PARTITA
Diverse. Senza ombra di dubbio le rotazioni ridottissime di Miami, che in sostanza ha ruotato sei uomini, più Mike Miller per una breve apparizione e Joel Anthony giusto per un cammeo. Questo, unito ad una gara 7 contro Boston conclusasi da appena 72 ore, ha giocato un ruolo importante. Chalmers e Battier si sono fermati all’ottimo primo tempo, Bosh ha vagato tra l’impalpabile e il dannoso, Haslem non si è visto.
Oklahoma City, addirittura, ha potuto stravolgere le proprie abituali rotazioni, lasciando tantissimo in panchina nel secondo tempo Harden e Ibaka, preferendogli Fisher e Collison e così concedendo almeno 24’ a otto giocatori. La differenza di energia nel quarto periodo, così, è stata evidente e, molto probabilmente, decisiva.
Ancora, in un primo tempo di sofferenza per i Thunder, hanno giocato un ruolo importante i punti in contropiede (13-4 per Okc all’intervallo, 24-4 alla fine), favoriti da tanti pessimi rientri difensivi degli ospiti che hanno concesso punti facili ad una squadra che stava imbarcando acqua e rischiava di vacillare pericolosamente. Così, invece, Durant e compagni sono rimasti sotto la doppia cifra di scarto, potendo sfruttare la caratteristica maggiore esplosività nel secondo per imporre il proprio gioco e prendere il controllo della gara. Infine, una menzione per il “dualismo” Wade-James.
Si è tanto parlato di come LBJ debba dimostrare in queste Finali di essere un giocatore che sposta anche nei finali tirati o dove, comunque, la propria squadra è in svantaggio. Compito difficile se i tiri che dovrebbe prendere lui decide di prenderseli un Wade in una serata disastrosa e in cui si ha avuto la netta sensazione che fosse più che mai limitato dai suoi problemi fisici. Una situazione su cui Miami dovrà lavorare molto attentamente per il futuro.
Cestista, baskettaro, appassionato della palla a spicchi, fedele adepto del parquet.
Nato a pane e Danilovic, cresciuto a tarallucci e Ginobili, ho sviluppato col tempo un’insana passione per il basket a stelle e striscie e i Denver Nuggets, aggiungendo poi con calma interesse vivo per Football Americano (San Francisco 49ers) e Baseball (San Francisco Giants). Scrivo per diletto. Parlo a volte, a sproposito, su Radio Playit.
Vabbè ma Durant 17 punti nell’ultimo quarto nella prima gara di Finals della sua carriera?
Quel ragazzo è un’arma illegale! :D
Eh.
Giocatore epocale.