La rivincita in parte si è compiuta. Gli Spurs avanzano al secondo turno, dopo la ancora bruciante sconfitta dello scorso anno contro i Grizzlies.
La novità più importante prima della palla a due è il quintetto di Utah, costruito da Corbin con i tre lunghi Millsap, Favors e Jefferson.
Il primo quarto è equilibrato con un Duncan che firma subito 9 punti nei primi 7 minuti, anche se Utah rimane incollata al match con le giocate di Harris e l’aiuto di Favors e Millsap.
Nella seconda frazione gli Spurs creano il primo solco tra le squadre con un buon Splitter che esce dalla panchina e si fa trovare sempre pronto per il passaggio in profondità e ottimo dalla linea della carità.
Per il resto il divario di 12 punti (50-42) con cui si conclude la prima metà di gioco è figlio del “modello Spurs”: non c’è un go-to-guy che si porta la squadra sulle spalle, ma una serie di giocatori che uno alla volta si portano il peso della responsabilità sulle spalle, il quale sarà poi ripreso da un altro.
Questo teamwork crea un sistema che funziona, che non grava troppo sui big three, i quali vengono chiamati in causa solo se necessario.
Nel terzo quarto i Jazz riescono a ricucire lo strappo, impattando la gara a 58-61 con un jumper di Jefferson su assist di Alec Burks. Non è abbastanza, almeno se scende in campo Manu: l’argentino spara due triple in meno di un minuto mentre Utah sbaglia 7 tiri di fila negli ultimi 3 minuti. Siamo sul +10 a 12 minuti dalla fine.
Sembra finita, ma i giovani Jazz non demordono. Prima vanno ancora sotto con l’ennesima tripla del mago sudamericano, 4 punti di fila di Tiago Splitter ed i buoni spunti di Green e Neal, finendo ad un massimo distacco di 83-68 a meno di 3 minuti dalla fine.
Gli Spurs prendono una vera e propria bambola con Jefferson che guida i suoi a quello che sarebbe stato il più incredibile dei comeback. 49 secondi alla fine: Jefferson appoggia di layup il 79-83, mentre dall’altra parte Parker sbaglia un jump shot.
Nel possesso successivo Harris offre un pallone sull’arco a Millsap, che però la perde in favore di Parker, con l’aiuto del grande vecchio Stephen Jackson; parte il contropiede e Ginobili può appoggiare con tutta la tranquillità del mondo il canestro della staffa. Jackson viene invitato due volte in lunetta e la partita si chiude 87-81.
La chiave
Le chiavi sono i due gap creati da San Antonio nel secondo e nel terzo quarto. Manu, silenzioso nei primi tre episodi della serie e più dedito ad offrire assist al bacio, si traveste da realizzatore con 17 punti e 3/6 da tre.
Sono sue le due triple che mandano gli Spurs sul +10 e sua è la fuga in contropiede a 18 secondi dal termine che regala il passaggio di turno ai suoi.
Duncan e Parker si possono prendere una pausa, grazie alle buone prove di Splitter, Neal e Jackson.
Dall’altra parte si va di male in peggio. Hayward è inesistente e chiude con 0/7 dal campo e 0 punti; Harris ne fa 19 (con 7 assist), ma anche con 6/17. I lunghi se la cavano tutti: Millsap (10 punti e 19 rimbalzi), Jefferson (26 e 10 rimbalzi), Favors (16 e 10 rimbalzi). Utah distrugge San Antonio a rimbalzo (57-43), ma non serve a niente.
La tattica di Pop è sempre stata la stessa nella serie e ha avuto i suoi frutti più visibili in quest’ultima partita: intasare l’area per controllare la front-line dei Jazz, magari facendoli anche segnare, e sfidando gli avversari al tiro.
Risultato? 0/13 da tre punti, Hayward con 0/7, Harris con 6/17, Millsap con 4/17, Burks con 0/8.
La sensazione
La sensazione è che con questo 4-0 gli Spurs si siano voluti levare una scimmia dalla spalla che stava lì da un anno. Nelle parole di Ginobili: “l’anno scorso i Grizzlies hanno giocato meglio di noi. Quando questo succede, non si può fare altro che applaudire, congratularsi con loro e prepararsi per il proprio anno. Penso che abbiamo giocato meglio quest’anno. Non abbiamo permesso ai Jazz di entrare nel gioco”.
Nel prossimo turno gli Spurs avranno di fronte Grizzlies o Clippers. Per il gioco che hanno le due squadre, i Grizzlies sono sicuramente i più ostici per gli Spurs, e loro lo sanno. Per come stanno ora le cose (3-1 Clips), sarebbero però Paul & co. ad affrontare i neroargento.
Entrambe le squadre, sia Clips che Grizzlies, sono due squadre giovani ed in ascesa, che si trovano davanti un roster stagionato.
Eppure quando hanno chiesto a coach Pop cosa ne pensasse del fatto che tutti ritengono questi Spurs troppo vecchi per lottare per un anello, ha risposto semplicemente: “Ignoriamo queste discussioni. Le continuiamo a sentire già da dieci anni”
Un nuovo passaggio obbligatorio verso l’anello e nuove sfide per gli Spurs. Appuntamento per le semifinali di Conference.
Spurs campioni Nba, continuo a ripeterlo…Grande Manu: c’è un pizzico di Reggio Calabria che calca i parquet del campionato più prestigioso grazie a te.
“Per il resto il divario di 12 punti (50-42) con cui si conclude la prima metà di gioco è figlio del “modello Spurs”: non c’è un go-to-guy che si porta la squadra sulle spalle, ma una serie di giocatori che uno alla volta si portano il peso della responsabilità sulle spalle, il quale sarà poi ripreso da un altro.”
Più che figlio del modello Spurs, lo definirei figlio di una squadra che ha un giocatore playmaker che fa il suo ruolo… le squadre sono tutte rigonfie di playbook con 12 mila schemi da tenere a mente… ma poi quando è l’ora si va sempre da Melo, LeBron, Kobe e così via… se invece continuassero a consultare mentalmente quel Libretto con tanto di indicazioni, tutto risulta più semplice! Grande Parker e grande Spurs (questo è vero, è merito loro) che permettono al play di giocare la sua pallacanestro!