La serie fra gli Indiana Pacers e gli Orlando Magic comincia subito con un risultato da “clamoroso al Cibali”.
Clamoroso non tanto per la differenza di valore fra le due squadre, in fin dei conti i Pacers sono ancora a metà del guado nella realizzazione di una nuova squadra davvero forte ed i Magic solo l’anno scorso erano ancora considerati una pretendente al titolo, anche se non la più accreditata. Il risultato ha del clamoroso per via della diversa condizione con cui le due squadre si sono presentate ai play off.
I Pacers di coach Vogel sono reduci da un periodo piuttosto brillante, foriero di molte vittorie, hanno acciuffato il terzo posto ad est grazie ad un ottimo finale di stagione, stanno giocando piuttosto bene e, dato che ancora nessuno chiede loro la luna, comunque vada la loro sarà considerata una stagione positiva, hanno anche poca pressione.
I Magic invece stanno implodendo. Il giocatore franchigia, colui che con tutti i suoi difetti, e sono ancora tanti, è uno dei pochissimi centri puri, l’unico forse che ad oggi sposti davvero i valori in campo, vale a dire Dwight Howard, dopo una stagione trascorsa a decidere dove andare a giocare il prossimo anno ha deciso di fermarsi un’altra stagione, ma solo se l’allenatore Stan Van Gundy verrà licenziato.
Gli altri leaders della squadra, vale a dire Nelson e Turkoglu, paiono essersi schierati con l’allenatore, e l’armonia dello spogliatoio pare quindi non esserci più. In più aggiungiamo che lo stesso Howard ha contratto un’ernia che gli impedirà di scendere in campo per tutta la durata dei play off, assenza resa devastante dalle mosse disperate del GM, Otis, mosse che ricordano tanto quelle di Ferry, l’ex GM dei Cleveland Cavaliers, fatte nel vano tentativo di trattenere Lebron James.
I Magic infatti qualche tempo fa avevano un pacchetto lunghi decorosissimo e colui che era senza dubbio il miglior centro fra coloro che non scendevano in campo dal primo minuto, il polacco Marcin Gortat.
Per aggiungere esterni con punti nelle mani, a partire dal licenziato Gilbert Arenas, per proseguire col precipitosamente scambiato Vince Carter e per finire con Jason Richardson, leggermente migliore degli altri due ed infatti confermato in panca con un contratto poco pesante, oggi il pacchetto lunghi del Magic senza Howard è poverissimo.
Ryan Anderson sta crescendo vertiginosamente, diventando un giocatore sempre più solido, ma è pur sempre un giocatore che ama giocare fronte a canestro e relativamente perimetrale, Davis non si è inserito nel nuovo ambiente ed Horton ancora non ha dimostrato di poter essere un giocatore di NBA.
Stan Van Gundy avrà anche pessimi rapporti con il suo giocatore franchigia, a volte sarà anche troppo nervoso, lascerà anche qualche perplessità come allenatore di una squadra che punti al titolo, però ancora una volta ha dimostrato di saper allenare e di saper far funzionare le squadre che gli vengono messe a disposizione.
Conoscendo i giocatori a sua disposizione, i loro punti di forza e le loro debolezze, ha portato alle estreme conseguenze il sistema di gioco della sua squadra.
Se fino a poche settimane fa c’era una squadra perimetrale attorno al totem Howard, ora ha costruito una squadra che più esterna non si può, dove probabilmente viene posta una multa salata ogni volta che qualcuno si azzarda a mettere il naso nel pitturato, tanti tiri da tre e sottocanestro a turno vanno a prendere e dare mazzate Davis, che del centro ha la stazza ma non l’altezza, e le ali Clark, Anderson e Turkoglu.
Ne vien fuori un gioco strano, in cui le percentuali da tre e da due sono simili, in cui non si penetra quasi mai ed i tiri liberi presi sono pochissimi, un ritmo lentissimo capace di mandare in difficoltà i giovani rivali.
La difesa sugli esterni, senza il totem Howard, si è stretta ulteriormente ed i principali giocatori avversari hanno sofferto molto questa situazione.
Qui si è visto uno dei difetti dei Pacers attuali, il gioco democratico, basato sulla circolazione di palla, in cui nessuno ha maggiori responsabilità e prerogative magari può creare molte difficoltà ad avversari abituati ad un tipo di gioco diverso e diventa molto difficile da fermare, ma una volta che la difesa avversaria trova contromisure manca il leader, l’uomo che prenda in mano la situazione trascinando i compagni.
Ottimi giocatori come Granger, George, Hill, Hasbrough, sono tutti rimasti su medie realizzative attorno al 30%, Barbosa e Collison dalla panca non sono riusciti a cambiare ritmo, i lunghi sono stati spesso ignorati ed Hibbert, poco cercato, non ha potuto approfittare dell’assenza di Howard.
Si è vista anche la differente esperienza dei coach, con l’ottimo Vogel che non è riuscito a trovare contromisure alle mosse di Stan Van Gundy, finendo per far giocare la sua squadra in modo speculare alla avversaria senza sfruttarne i punti deboli. Alla fine l’unico realizzatore costante è stato David West, con i suoi 19 punti conditi da 9 rimbalzi, tanti in una squadra che si è fermata a soli 77 punti realizzati.
Fra i Magic poco meglio, in fin dei conti di punti ne hanno realizzati 81, con i soli Richardson e Nelson a 17 punti e Davis a 16, ma questa è stata esattamente la partita cercata dai Magic, quella con cui avevano possibilità di vittoria. Tanto poco erano accreditati i Magic che alla fine San Van Gundy più che gioire quasi scherzava: “Il pronostico più favorevole ci dava sconfitti in 5 partite!”.
Una vittoria ad Indianapolis non chiude certo la serie a favore dei Magic, ma segna un bel campanello di allarme per i Pacers, che devono cambiare qualcosa.
L’esperto West ne pare consapevole: “In queste partita non conta cosa hai fatto durante la stagione.”
Lo stesso Frank Vogel aveva messo in guardia i suoi dal tiro da tre dei Magic. Aveva ragione, ora però dovrà inventare qualcosa di diverso anche lui.
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