Sabato 25 febbraio.
All-Star Saturday in quel di Orlando, peraltro con svolgimento della serata abbastanza complicato (tra gli altri, chiedere informazioni a John Wall…).
E a Milano il “Viewing Party”, evento ad inviti organizzato da NBA Italia e dallo sponsor tecnico (quello delle 3 stripes) per consolidare le rispettive presenze sul suolo Italico offrendo ai presenti la visione proprio delle suddette competizioni in diretta dagli States.
Milano e l’Italia perché i risultati commerciali, di audience televisiva e di seguito via internet sono stati definiti ottimi e molto incoraggianti, addirittura superiori a quelli di paesi quali Spagna, Germania e Francia che possono vantare campioni ben più affermati dei nostri tre rappresentanti.
Due testimonials d’eccezione hanno partecipato alla serata: Danilo Gallinari, in videochiamata via Skype direttamente da Denver e protagonista di un simpatico siparietto con gli ex compagni di squadra Jacopo Giachetti e Nicolò Melli, e soprattutto Tyrone “Muggsy” Bogues, in viaggio di rappresentanza appositamente per l’evento e che dopo un pomeriggio dedicato ai media ufficiali (TV, radio, carta stampata) si è reso disponibile agli invitati (redattori e collaboratori di tutti i principali portali e siti web che si occupano di pallacanestro NBA) per una serie di mini interviste, oltre che per i canonici autografi e scatti fotografici, nelle ore precedenti all’inizio dell’All-Star Saturday (le 2.30 italiane).
Noto agli appassionati per essere stato il più basso giocatore (158cm… ma con delle mani assolutamente enormi) ad aver calcato un parquet NBA, nativo di Baltimore e prodotto di Wake Forest (come Chris Paul, cui è legato a doppio filo anche dalla militanza in maglia Hornets), Bogues era giocatore di intelligenza, carisma e carattere eccezionali, capace di caricare i compagni, metterli in ritmo in attacco (doppia doppia in punti e assist nel 1992-93) e portare grande pressione sul playmaker avversario con una difesa asfissiante fatta di mani e piedi velocissimi.
Ecco quindi il resoconto dell’incontro tra Muggsy e i ragazzi di Ball don’t Lie, iniziato con una gradita sorpresa per l’ex playmaker degli Charlotte Hornets: delle cards plastificate originali dei primi anni ’90, recuperate dal fondo di qualche scatolone disperso in uno scantinato…
Muggsy, un ricordo della tua carriera è legato a un giocatore fondamentale per noi Europei: Drazen Petrovic.
Era il 1986, partita tra le rispettive nazionali valida per il girone dei quarti di finale dei Campionati del Mondo, raramente abbiamo visto Drazen soffrire così tanto una marcatura. Cosa puoi dirci di quell’incontro?
Oh, lo ricordo molto bene ed è un piacere parlarne.
Anche perché quei Mondiali li abbiamo vinti ed è stato uno dei più grandi successi della mia carriera.
Ovviamente non c’era internet e non lo avevamo praticamente mai visto giocare prima di allora, dato che alle Olimpiadi dell’84 non era ancora un campione affermato.
Sapevamo che la Yugoslavia fosse una grande squadra e che lui fosse un realizzatore eccezionale e avevamo visto le sue partite nel primo girone [Petrovic fu votato MVP di quella manifestazione, nda].
Coach Olson mi disse “Tyrone, a un giocatore così non si può lasciare spazio per tirare. Con la tua rapidità di gambe sei l’unico che può stargli addosso senza farsi battere in palleggio”.
Credo di aver fatto un’ottima partita, sono riuscito a mettergli pressione e fargli segnare solo 12 punti [media nel torneo: 25.2, nda] e abbiamo vinto una partita importante.
Noi Europei siamo molto orgogliosi di vedere che anche negli States Petrovic è ancora d’attualità, grazie al magnifico documentario Once Brothers [sullo sfondo stavano casualmente passando le immagini di gara 7 delle finali di Conference 2001 tra Lakers e Kings, ovviamente con Vlade Divac, nda] e anche al tributo di Anthony Morrow, che tra poco parteciperà al three point contest indossando proprio la canotta di Drazen. Cosa ne pensi di questo omaggio?
E’ fantastico. E’ sempre bello sapere che i giocatori delle ultime generazioni conoscono la storia del gioco e della loro franchigia in particolare.
La notizia della morte di Petrovic toccò molto tutta l’NBA, stava finalmente iniziando ad essere decisivo anche nel nostro Paese e aveva ancora molti anni ad altissimo livello.
Spero che la maglia porti fortuna ad Anthony [non è andata esattamente così… nda] e spero che i giovani giocatori continuino ad interessarsi al passato e a giocatori come lui, che hanno fatto la storia del gioco.
Petrovic è stato uno dei primi Europei a lasciare il segno in NBA ed ha aperto la strada a tanti altri giocatori, come i nostri tre Italiani. Quanto credi che il massiccio avvento degli Internationals abbia inciso nell’evoluzione del gioco?
Non troppo.
Credo che la più grande differenza sia nelle regole, ad esempio noi potevamo mettere le mani addosso agli attaccanti, oggi non è più possibile farlo.
Sicuramente ci sono molti più giocatori super-atletici, ma questo non ha molto a che fare con gli Internationals [detto sorridendo, nda].
Ma come ai miei tempi, la differenza la fanno sempre la comprensione del gioco e la voglia di competere e primeggiare.
Dirk e i Dallas Mavericks l’anno scorso ne sono stati un grande esempio.
E anche oggi, guardo Jeremy [Lin, ovviamente… nda] e trovo queste caratteristiche.
Guardo Danilo e trovo queste caratteristiche, lui ha la possibilità di diventare un grande giocatore e Denver e Coach Karl possono sicuramente aiutarlo.
Sì, credo che la differenza la facciano sempre questi aspetti.
Un ultima domanda: da ormai qualche anno alleni, tra high school e WNBA. Ti vedi in futuro su una panchina di alto livello, College o NBA? E’ qualcosa cui aspiri? In pratica “allenavi” già sul campo, come ti trovi in panchina?
Mi piace allenare. Mi piace vincere. E mi piace insegnare.
Sicuramente mi piacerebbe allenare al College, credo di poter dare tanto ai giovani in vista di una possibile carriera in NBA. Sarebbe un bel traguardo professionale, ma non è per forza di cose un obiettivo che mi sono prefissato.
E in NBA… non so. Magari!
Redattore e (tra molte virgolette) speaker radiofonico per playitusa.com e radio.playitusa.com
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Niente Space Jam? :P
Gliel’avevano già chiesto TUTTI :D
Ci è stato espressamente suggerito di evitare, erano tipo 8 ore che rispondeva alle stesse 4 domande e ovviamente uno di queste era su Space Jam…
Ahahaha ovvio :D beati voi che partecipate a questi eventi e vi sbattete anche per noi :) Thanks