E’ successo un Lockout fa, nel frattempo Nowitzki ha vinto un titolo e i Clippers son diventati una realtà NBA.
In una stagione frenetica come quella 2011/12 non c’è tempo per soffermarsi a pensare al passato, eppure c’è chi non ci riesce. Passo per un vecchio nostalgico, e la mia carta di identità non lo permetterebbe, ma a me manca Phil Jackson.
Mi manca perchè a rivedere i suoi cambiamenti somatici non mi sento più piccolo, che è un pò lo stesso che non sentirsi più giovane.
Ho tifato “contro” i suoi Lakers, non lo nego, ma vedere cosa è diventato l’attacco di quella squadra, mi son reso conto di quanto grande fosse il lavoro svolto da PJ e Tex Winter, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista psicologico.
Quella che segue è un, per nulla pretenzioso, tentativo di entrare nei dettagli del sistema di gioco che ha regalato (o contribuito a regalare) 11 gioielli a Coach Zen.
La Triple Post Offense è un sistema offensivo che si basa sulla capacità dei giocatori di leggere la difesa che stanno affrontando e reagire di conseguenza.
A differenza di quanto si crede il sistema non è entrato in vigore con i Bulls di Jordan, ma è stato utilizzato da più Coach a tutti i livelli di pallacanestro, a partire dagli anni ’60. Ovviamente la versione più complessa e perfezionata è quella postulata da Winter.
Perchè non ha funzionato sempre, ma solamente in determinati contesti? La risposta migliore la fornisce proprio Tex Winter a mio parere: “E’ il modo in cui si insegna che conta, non cosa si insegna”.
Gli stessi Bulls non giocavano esclusivamente possessi di TPO, ma per il 40% dei loro possessi si affidavano ad altre tipologie di gioco, tra cui anche diversi isolamenti per MJ. Non è il sistema in sè che conta, ma come lo si esegue. Tex Winter è il primo ad ammettere che le qualità e i fondamentali del singolo vanno messi in primo piano rispetto a qualunque schema di gioco.
Entriamo nel dettaglio del sistema di gioco: quali sono i requisiti per poter attuare con possibilità di successo la Triple Post Offense?
Prima di tutto occorrono 3 giocatori in grado di occupare la posizione di post basso. Tra questi deve esserci qualcuno con possibilità di essere pericoloso dall’angolo. La versione di Winter/Jackson prevedeva una transizione che permettesse di entrare immediatamente nelle posizioni della TPO, ma in altri casi non era così.
La storia quindi ci “suggerisce” una certa concordanza tra filosofia di transizione e TPO per amplificarne l’efficacia. Occorre avere sul campo almeno un giocatore in grado di segnare tiri da 3 con continuità (Paxson, Kerr, Fisher), poichè in ogni situazione della TPO c’è una posizione adibita ad un tiro aperto.
Quanti più giocatori possibili devono essere dei buoni/ottimi passatori, meglio se lo sono anche i lunghi. Un fondamentale importantissimo è il taglio a canestro, quindi la capacità di cambiare velocità per seminare il proprio marcatore ricopre un ruolo fondamentale.
Il sistema ha un limite: non sempre porta il giocatore nello spot di Ala grande in posizione favorevole per andare a rimbalzo, quindi meglio se questi giocatori sono dei rimbalzisti offensivi sopra la media.
I giocatori che potrebbero venir limitati da questo sistema sono le PG che tendono a penetrare, poichè le spaziature della TPO non creano situazioni favorevoli, intasando l’area. Derrick Rose sarebbe comunque un giocatore fenomenale, ma risulterebbe “sprecato” in un sistema di gioco del genere, perchè non adatto alle sue caratteristiche.
Uno dei concetti chiave della TPO è il movimento continuo, non bisogna mai stare fermi. Passare all’uomo libero e tagliare, il buon vecchio “dai e vai” è alla base di questo attacco, quindi è assolutamente deleterio passare la palla e restare fermi. Non bisogna dar punti di riferimento alla difesa, ma effettuare determinati tagli in base a ciò che la difesa propone. Ancora una volta: read and react.
Altro dogma sono le spaziature e le distanze che i giocatori senza palla devono mantenere tra loro (Space Awareness oppure Consciousness), che sono sempre comprese tra i 15 (4,57 metri) e 18 piedi (5,48 metri).
Per giocare bene questo sistema non occorre avere mezzi atletici spaventosi, poichè non occorre muoversi e muovere la palla il più velocemente possibile, ma andare alla velocità giusta. Tempismo nei passaggi, tempismo nei tagli, tempismo nei movimenti con la palla, tutto deve essere estremamente coordinato, come gli ingranaggi di un orologio.
Il numero 3 è ricorrente, poichè oltre ai tre post occupati, indica anche i tre passaggi chiave dell’azione. In ciascuna situazione si ha un entry pass, ovvero il passaggio che inizia l’azione, un passaggio che “attiva” i movimenti dei giocatori e un passaggio di ribaltamento.
Quest’ultimo passaggio deve portare ad un tiro, ad un movimento o ad un altro passaggio facile. In caso di transizione è previsto un passaggio precedente all’entry pass. Uno dei dogmi è che non si deve mai palleggiare quando un buon passaggio è possibile.
Come già detto la lettura è alla base di tutto, infatti ciò che precede ogni situazione è il cosiddetto Moment of Truth (momento della verità), quando il portatore di palla osserva e capisce che difesa ha davanti.
Quella illustrata sopra è la disposizione dei cinque uomini all’inizio di quasi ogni situazione del sistema di gioco. Da qui è possibile vedere come il Playmaker sia un ruolo quasi facoltativo in questo tipo d’attacco, in quanto più che di un costruttore di gioco, si parla semplicemente di un portatore di palla che tutt’al più comincia l’azione, ma non costruisce un bel niente.
Si è anticipato che i tagli sono una componente fondamentale della TPO. Nell’immagine qui sopra è illustrato un taglio nella direzione in cui va la palla, che ha lo scopo di creare superiorità numerica in una zona del campo, con l’intenzione di far collassare tutta la difesa verso il lato forte (quello con la palla e il maggior numero di uomini). Se i giocatori che occupano gli spot di 1 e 4 hanno un buon tiro le soluzioni applicabili da questa partenza sono molteplici.
Questa è una delle chiamate più semplici, spesso usata nelle fasi finali della partita. Il giocatore che occupa lo spot di 1 passa la palla al numero 3, dopo di che taglia sul lato debole (quello opposto alla palla), rendendo possibile -con le giuste spaziature- già una rapida soluzione per un dai-e-vai.
Il numero 3 è a questo punto isolato e ha tre opzioni: penetrare verso il centro, verso il fondo oppure semplicemente servire il numero 5 in postbasso. Il nome della chiamata è Wing Solo, ovvero isolamento nella zona laterale.
Una chiamata leggermente più complessa, ma comunque tra le più semplici di tutto il Playbook di Winter. Lo scopo di questa situazione è quello di sfruttare le doti di passaggio del numero 4, che in questo caso funge da vero e proprio Playmaker, dato che la soluzione primaria sarebbe quella di servire il numero 1 che taglia verso il canestro in Backdoor. Se il numero 5 prende adeguata profondità è possibile anche un gioco Alto-Basso tra i due post.
Queste illustrate sono solo pochissime e semplicissime situazioni di gioco, anche se contengono più o meno tutti i concetti fondamentali della TPO, mostrando quanto siano importanti timing, spaziature e letture.
Che sia il sistema migliore di sempre è opinabile, che sia un sistema che con i giusti interpreti ha funzionato è invece indiscutibile, vista la bacheca degli interpreti più famosi.
Attualmente nessuna squadra NBA usufruisce di questo sistema di gioco, sarà curioso vedere se in futuro tornerà ad essere giocato da una squadra importante, chissà che non ne esca fuori un’altra Dinastia.
Studente di Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, la pallacanestro fa parte della sua vita praticamente da sempre. Da bambino infatti si innamora dei Chicago Bulls e della Fortitudo Bologna, oltre a consumare la cassetta di Space Jam fino a conoscerne le battute a memoria. Si diletta anche nella pallacanestro giocata, ma gli alti livelli li ha guardati solo da -molto- lontano.
@SkittleCDA on Twitter
Complimenti, finalmente un bell’articolo e finalmente mi accorgo di non essere l’unico “innamorato” di questo gioco d’attacco. Pian piano, partita dopo partita e azione dopo azione lo sto studiando punto per punto e mi stupisco ogni volta sempre di più di quanto regala emozioni. Speriamo davvero di rivederlo presto in azione!
Molto interessante, spero farai un altro articolo approfondendo altre situazioni di gioco ;)
Uno dei molti aspetti interessanti della triple post è che, da un lato, essendo uno di quegli attacchi letteralmente “di squadra” non necessita la presenza di un play, nè penetratrore (come giustamente osservato), nè tantomeno passatore (sia un Rondo che un Kidd, sarebbero incompatibili, al limite un Nash, impiegato come tiratore…), ma, dall’altro lato, hanno potuto trovare il loro “posto tattico” centri estremamente differenti: Cartwright, Gasol/Bynum, Longley, Shaq e Rodman (che nei momenti topici era in campo con Kukoc, Pippen, Harper/Kerr e MJ).
Molto interessante. Articolo ben fatto.
Qui propongo un video sulla Princeton Offense con schemi e azioni sul campo.
Sulla Princeton Backdoor Offense consiglio l’articolo di Buffa su Black Jesus..l’attacco dei “talponi”..unico.
concordo, fantastico.
Veramente un articolo ben fatto, complimenti Skittle!