29 aprile 2011: i Memphis Grizzlies mettono a segno l’upset dell’anno eliminando i San Antonio Spurs in 6 gare e mostrandosi come una delle compagini più futuribili di tutta la NBA. Questa sensazione sarà confermata dalla serie successiva, con i ragazzi di coach Hollins battuti ma non vinti in 7 gare con gli strafavoriti Thunder.
1 gennaio 2012: Zach Randolph si strappa il legamento del ginocchio in uno scontro fortuito con OJ Mayo sul campo dei Bulls. Gli vengono prescritte dalle 6 alle 8 settimane lontano dai campi; la stagione dei Grizzlies, già privi della riserva di Z-Bo Darrell Arthur e sconfitti in 3 delle prime 4 partite, viene archiviata con largo anticipo, e le 3 sconfitte nelle successive 5 uscite danno adito a questa ipotesi.
23 gennaio 2012: dopo essere stati sotto 63-43 con 3:23 da giocare nel terzo, Memphis vince 91-90 sul campo dei Golden State Warriors, intascando la sesta W di fila con scalpi come quelli di Chicago e New York, mostrando, nelle parole di Rudy Gay, la propria “toughness”.
E duro lo è decisamente, questo gruppo, oltreché unito e pieno di mille risorse.
La difesa è l’ottava della lega, a meno di 93 punti concessi a partita, quasi 5 in meno rispetto all’anno scorso.
Se è vero che il gioco quest’anno è generalmente rallentato per il calendario tiratissimo, comunque i Grizzlies si assestano al decimo posto in questo fondamentale e all’ottavo nel rating difensivo, contro i rispettivi tredicesimo e nono della passata stagione, miglioramenti non ciclopici ma comunque indici di una crescita collettiva e di un collettivo abbastanza forte da poter assorbire la perdita di uno come Randolph.
Coach Hollins ha dato un apporto indispensabile nel dare a Memphis una precisa anima difensiva, sfruttando al massimo un nucleo di giocatori di enorme fisicità e piena di giocatori attivi sulle linee di passaggio, tanto da avere in assoluto la più alta media recuperi del campionato (so far), con Tony Allen (1.89 steals a partita, e più in generale uno dei migliori difensori perimetrali della lega) e Mike Conley (primo in graduatoria con 2.69) sugli scudi.
Il play ex compagno di Greg Oden ai tempi del college sta anche avendo i massimi in carriera in assist e percentuale dal campo, una bella rivincita per uno che era dato come sopravvalutato da molti come scelta numero 4 al draft del 2007.
Altri che stanno rendendo alla grande ultimamente sono OJ Mayo e Rudy Gay. Il primo, sebbene sempre sotto le attese (eccessive, soprattutto per colpa dell’interesse creato da lui stesso attorno alle proprie scelte) che lo circondavano all’uscita da USC quattro anni fa, sta dimostrando una professionalità per certi versi inaspettata.
Nonostante le incessanti voci di trade che lo riguardano da un anno (anzi, era già stato ceduto ai Pacers, affare saltato solo per un ritardo nella consegna del contratto), l’ex Mr. Basketball di Ohio e West Virginia sta dando il suo apporto alla causa con regolarità, con qualche exploit come i 20 in 28 minuti nella sconfitta di Portland.
L’ala da UConn, invece, ha preso su di sé molte più responsabilità che in passato, un evento forse inaspettato, poiché nella post-season la squadra aveva girato molto meglio senza di lui, e non era da escludere una sua cessione; al contrario Gay sta diventando molto più continuo rispetto al giocatore lunatico che si conosceva, e chissà che non riesca a strappare una conferma in nazionale per Londra (piuttosto improbabile, data la concorrenza, in realtà…).
A questo punto viene però da chiedersi quanto Gay e Randolph siano in grado di convivere, essendo entrambi dei notevoli accentratori, perché è evidente che la squadra renda molto meglio senza uno dei due, come nei PO dello scorso anno o nelle partite più recenti.
Se la dirigenza dovesse proseguire sulla linea giovane, i giorni del buon Zachary nella città dei tre Re (di uno dei quali è appena stata celebrata la giornata, early morning, april 4, a shot rings out in the Memphis sky…) potrebbero essere contati, in particolare con il recupero di Arthur nella prossima stagione e con Marreese Speights che sta mostrando ottime cose, quanto meno come potenziale back-up di lusso, una manna per la squadra, al momento un po’ sofferente per la poca profondità del roster (gli unici cambi di impatto concreto sono il già menzionato Mayo e parzialmente Cunningham).
Un altro problema manifestatosi è la gestione dei finali di partita: non ci sarà sempre un Monta Ellis a perdere palla fra gli avversari, e le sconfitte al fotofinish contro i Clippers ed i Suns lo dimostrano. Manca un autentico go-to-guy cui rivolgersi quando la sfera scotta di più.
Nella sconfitta di sabato a Phoenix, sotto di due, prima Gay ha trovato fortunosamente il pareggio con una penetrazione ad occhi chiusi, poi, nella stessa situazione, con pochi secondi sul cronometro, Conley ha tirato da 8 metri dopo una difficile uscita dal blocco senza raggiungere il ferro. In entrambi i casi la gestione del possesso è stata lacunosa a dir poco, ed è una debolezza su cui Hollins dovrà necessariamente metter mano, in attesa del ritorno di Randolph.
Un giocatore certamente protagonista dei recenti successi è sicuramente Marc Gasol. Non è eresia cestistica dire che dall’aprile 2011 la supremazia familiare gli appartenga, e pure per distacco.
Dopo dei playoff fantastici a 15 punti e 11 rimbalzi di media e degli Europei altrettanto buoni, si sta confermando ad altissimi livelli come una delle presenze più intimidatorie in cui ci si possa imbattere in un pitturato contemporaneo, con medie di oltre 10 carambole e 2.3 stoppate (quarto), oltre a 15 punti e 3 assist con quasi il 52% dal campo.
Insomma le individualità ci sono, manca forse, come detto, un giocatore-franchigia, un deus-ex-machina vero e proprio, per fare il definitivo salto di qualità; poi il fatto che nella Western Conference degli ultimi dieci-quindici anni basti un amen, un momento di rilassamento, per trovarsi fuori dalle prime otto non aiuta, e quindi con Randolph assente così a lungo ed una panchina risicata forse i playoff non arriveranno, ma i presupposti per crescere persino oltre i risultati dello scorso anno ci sono tutti, al punto che considererei i Grizzlies una delle tre squadre più futuribili della conference.
Se non altro gli spettri dell’infausta trade di inizio 2008 potrebbero finalmente abbandonare il GM Chris Wallace, anche se non è certamente facile far dimenticare di aver scambiato Gasol (l’altro) per un tozzo di pane come il famoso caso del Saint-Etienne con Platini, e che i Lakers, come la Juve, ci abbiano decisamente spalmato sopra il caviale, come disse Agnelli.
freshman di lingue a milano, a 11 anni si ammala gravemente di NBA grazie a LeBron James (fino a the Decision) e Kevin Garnett; il suo sogno è fare il giornalista sportivo