Come capita da qualche anno a questa parte gli Houston Rockets sono una delle squadre più sottovalutate della lega. Il motivo è sostanzialmente uno: ancora l’infortunio di Yao Ming e il suo conseguente ritiro.
Senza il cinese i Rockets non hanno una superstar reale ma nonostante questo nella scorsa stagione dopo un inizio disastroso Adelman è stato in grado di creare un sistema magico, ribaltando completamente il trend della franchigia che da grande squadra difensiva è passata a diventare il sesto miglior attacco dell’intera NBA.
La partenza di Adelman verso Minneapolis ha fatto sprofondare nello sconforto più totale i tifosi texani. La squadra è stata affidata a Kevin McHale, non proprio il più esperto fra i coach, non indimenticabili le sue prime esperienze da capo allenatore sulla panchina proprio dei Minnesota T’Wolves.
Primo obbiettivo di McHale era quello di aggiungere una centro di stazza alle rotazioni della squadra che magari avesse buoni doti offensive, ma dopo il rifiuto di Nenè e la mancata conclusione dell’affare Paul che avrebbe portato Gasol a Houston i Rockets si sono dovuti “accontentare” di Samuel Dalambert. L’haitiano non sarà Gasol e nemmeno Nenè ma sicuramente con i sui 211 cm garantisce difesa e rimbalzi alla sua nuova franchigia.
McHale ha impiegato un po’ nel trovare la giusta chimica di squadra infatti il 7 gennaio, dopo la sconfitta contro Oklahoma, i Rockets si trovavano all’ultimo posto nella Western Conference con 2 vittorie e 6 sconfitte, complice anche un calendario abbastanza difficile in cui Houston affrontava ben 9 squadre potenzialmente da play-off nelle prime 10 gare.
Quasi tre settimane dopo i texani si ritrovano con un record di 12 vittorie e 9 sconfitte, grazie anche a una striscia di 7 vittorie consecutive, occupando il decimo posto nella Western Conference. Qual’è la chiave di questo cambio di rotta?
Com’è detto con l’arrivo del nuovo coach c’era bisogno di tempo per iniziare a far funzionare il nuovo sistema di McHale. Alla base di questo sistema ci sono i tre giocatori probabilmente con più talento dell’intera squadra: Kevin Martin, Luis Scola e Kylie Lowry.
Phil Jackson ha costruito le sue vittorie sul triangolo offensivo inventato da Tex Winter, prima a Chicago e successivamente ai Lakers. McHale non avrà a disposizione sicuramente Michael Jordan, Kobe Bryant, Shaq, Pippen e via dicendo ma questi tre se riescono a trovare la giusta chimica possono essere molto difficili da fermare: Lowry in questo scorcio di stagione è migliorato moltissimo in tutte le voci statistiche e con lui i Rockets hanno trovato quel playmaker che da molti anni mancava alla franchigia.
15,9 punti, 6,9 rimbalzi e 8,8 assist. Fatturato incredibile se si pensa che stiamo parlando di un ragazzo alto 183 cm! Il venticinquenne playmaker da Philadelphia non era mai stato prima d’ora un trascinatore e nemmeno un protagonista nelle squadre in cui a giocato.
Lowry è apparso pienamente padrone del gioco, sa prendersi responsabilità al tiro quando vede che i suoi compagni sono in difficoltà e in più ha imparato a dettare i tempi mettendo la squadra in ritmo al momento giusto.
Il leader offensivo ed emotivo della squadra però è la guardia Kevin Martin il quale può spostare velocemente gli equilibri della partita e fornire la carica giusta a Houston per gestire comodamente il match. Martin si sta rivelando sempre più prezioso nel sistema messo in piedi da McHale e con i suoi 20,1 punti di media è sempre più deciso a voler trascinare i Rockets verso un posto nei play-off.
A chiudere il terzetto ci pensa Scola che è sempre di più un giocatore fondamentale per questa franchigia. L’argentino, campione olimpico 2004, porta con se una grande capacità di giocare in post e una tecnica sopraffina che abbinata alla capacità nel tiro dalla lunga di Martin e all’ottima visione di gioco di Lowry è sicuramente una delle armi più micidiali di questa squadra.
Oltre a questo l’argentino ha buone mani e tira con quasi il 50% dal campo. Purtroppo per Houston la pigrizia difensiva del numero 4 è uno degli aspetti che McHale dovrà curare con maggior attenzione se vuole che questa squadra raggiunga i play-off.
A completare la spina dorsale di questa squadra ci pensa il nuovo acquisto Samuel Dalambert. Come detto il centrone ex Philadelphia è arrivato a Houston per prendere il posto del cinese Yao Ming.
Quando l’Haitiano è approdato in Texas molti storcevano il naso pensando che non fosse in grado di sostituire degnamente Yao. Le riflessioni da fare sono tante: non c’è nemmeno paragone fra le qualità del cinese e quelle di Dalembert ma sicuramente in questo avvio di stagione il numero 21 sta giocando veramente bene se pensiamo che è approdato a Houston il giorno precedente all’inizio della regular season.
8,9 punti di media e 8,9 rimbalzi con quasi il 60% al tiro sono numeri da non disprezzare. La produzione sui 28 metri di Yao era sicuramente superiore ma considerando lo stipendio dei due giocatori e il loro rendimento i Rockets sono contenti di constatare che hanno portato a casa un ottimo centro spendendo relativamente poco (15 milioni in 2 anni).
McHale ha un roster più che valido e questo è dimostrato dalle ottime prestazioni di Chandler Parsons, di Courtney Lee e Goran Dragic. Il rookie uscito dall’università di Florida e scelto soltanto al secondo giro ha scalato in breve tempo le gerarchie poste da McHale e adesso compare stabilmente nel quintetto titolare.
Prende rimbalzi, tira da tre, difende con molta intelligenza e non ha paura di prendersi delle responsabilità. In pratica Parsons sa fare molte cose ma non eccelle in nessuna di queste, la sua versatilità gli permette di giocare in molti tipi di attacchi e la sua grande intelligenza cestistica gli garantisce minuti sul parquet senza che le sue lacune vengano evidenziate ed influiscano sul risultato. Tuttavia il 23enne di Casselberry deve imparare a tirare dalla media e migliorare le doti difensive ma per adesso i tifosi dei Rockets non si possono lamentare.
Se Parsons si è guadagnato un posto fisso in quintetto lo stesso non può dire Courtney Lee che però è molto apprezzato da McHale. Lee è arrivato ai Rockets dopo essere passato dai Nets ma soprattutto da Orlando dove nel ruolo di sesto uomo aveva dimostrato tutto il suo valore aiutando i Magic a raggiungere le Finals, poi perse 4-1 contro i Lakers, grazie alle sue ottime qualità di tiratore e di difensore. Il prodotto di Western Kentucky ha un ruolo fondamentale nelle rotazioni e cioè quello di non far rimpiangere Kevin Martin in quei pochi minuti in cui sta fuori a riposarsi.
Altro elemento fondamentale nella rotazione dei Rockets è senz’altro Goran Dragic. Il playmaker sloveno è cresciuto all’ombra di Steve Nash e si vede: le sue grandi qualità di passatore e la sua grande visione di gioco si sono sviluppate negli anni passati come cambio del canadese di Phoenix.
Arrivato in Texas Dragic sta continuando a migliorare e a ottenere sempre più minuti importanti per la sua crescita ed estromettendo dalle rotazioni un giocatore come Jonny Flynn arrivato in NBA come uno dei migliori prospetti e scelto con la sesta chiamata da Minnesota al draft 2009, ma piano piano finito nel dimenticatoio.
Proprio a Houston ne sanno qualcosa di prime scelte sbagliate o mal utilizzate. Nel draft di quest’anno i Rockets come prima scelta avevano chiamato Marcus Morris uno dei due gemelli usciti da Kansas e a detta di tutti il migliore dei due
L’ala grande classe ‘89 era stato scelto per fare da cambio a Luis Scola ma le sue qualità non hanno convinto a pieno e Houston ha preferito dirottarlo nella lega di sviluppo dove gioca per i Rio Grande Valley Vipers e si sta mettendo in mostra a suon di punti e rimbalzi.
Considerando che come cambio di Scola e Dalembert Houston può contare su Patterson e Jordan Hill oltre ai poco utilizzati Adrien e Thabeet forse non era meglio tenersi stretto Morris? Date le rotazioni molto ridotte, probabilmente adoperate da McHale per scelta tecnica, Morris avrebbe potuto far comodo a Houston data la sua versatilità: il prodotto di Kansas infatti oltre a poter fare l’ala grande avrebbe potuto far bene anche nello spot di alla piccola e di centro. Ma il GM Morey e McHale hanno deciso di aspettare ancora un anno prima di lanciarlo nel panorama NBA.
In buona sostanza il roster di Houston è attrezzato per un’annata molto difficile e complicata, ma continuando così lottare per le ultime piazze utili alla partecipazione ai playoff non sembra impossibile: serviranno vittorie “pesanti” negli scontri diretti per poter staccare un biglietto per la prossima agguerritissima post-season e soprattutto per scacciare il fantasma del nono posto nella Western Conference che ormai perseguita Houston da due stagioni.