Sono bastati 5 anni a Brandon Roy per conquistare Portland e l’intero panorama NBA prima di ritirarsi, a soli 27 anni, fra lo stupore generale.
Problema cronico alla cartilagine delle ginocchia, questo è il motivo per cui la guardia originaria di Seattle ha deciso di appendere le scarpette al chiodo.
A Brandon il destino ha giocato un brutto scherzo proprio quando la maturazione di un giocatore diventa definitiva e l’esperienza permette di gestire al meglio la pressione e le forze, lasciando ancora una volta la franchigia dell’Oregon in una posizione scomoda dopo i problemi sempre alle ginocchia occorsi a Greg Oden.
Breve ma brillante, così si può descrivere la carriera NBA dell’ormai ex numero 7 dei Blazers. Scelto con la chiamata numero 6 dai Minnesota T’Wolves, dopo 4 anni passati a Washinghton College sotto la guida di Lorenzo Romar, nel draft del 2006, che ha visto come prima scelta assoluta il nostro Andrea Bargnani, Roy viene subito girato a Portland in cambio di Randy Foye.
Nella sua prima stagione NBA gioca 57 partite viaggiando alla media di quasi 17 punti, sfornando 4 assist e catturando 4 rimbalzi a partita e proprio grazie al suo strepitoso apporto viene nominato Rookie dell’anno dopo un testa a testa proprio con Bargnani.
Grazie anche ad una spalla come LaMarcus Aldrige nelle tre stagioni successive i miglioramenti sono evidenti, non solo sul piano statistico ma anche su quello fisico e tecnico e per Brandon arriva la convocazione a tre All-Stars Game.
Roy to Aldrige, e Portland sembra poter ritornare a risplendere come agli inizi degli anni 90’ quando i rossoneri guidati da Clyde Drexler raggiunsero 2 finali NBA.
La stagione da Sophomore di Roy segna il cambio di tendenza per i Blazers. Tanti, troppi gli anni passati senza play-off per la Franchigia dell’Oregon e nel 2008-2009 finalmente Portland riesce a disputare la Post-season.
I play-off per i Blazers durano poco infatti vengono eliminati al primo turno dagli Houston Rockets anche se in quelle 6 partite esce tutto il talento e la determinazione di Brandon Roy che chiude la serie con 26,5 punti ad allacciata di scarpe.
Anche nei due anni successivi i ragazzi di McMillan raggiungono la post-season ma vengono sempre eliminati al primo turno. Proprio nella serie contro Phoenix del 2009-2010 iniziano a presentarsi i primi problemi per Roy che in quei play-off disputa soltanto 3 partite a causa di una lesione al menisco del ginocchio destro, senza lasciare il segno.
L’ultima stagione per la guardia dei Blazers è la più problematica a livello fisico: solo 47 partite disputate, la maggior parte delle quali iniziate dalla panchina, statistiche sensibilmente peggiorate (passa da oltre 21 punti di media a poco più di 12) e la triste idea di lasciare il basket che circolava già nel mese di Febbraio.
Nonostante questo Roy non si abbatte e trova ancora una volta il modo di lasciare il segno: 23 Aprile 2011 a Portland si disputa gara 4 del primo turno di Play-off che vede i Blazers, sotto 2-1 nella serie, opposti ai futuri campioni di Dallas.
I Mavericks dominano il match per 36 minuti toccando anche il +23 nei minuti finali del terzo quarto. Roy fino a quel momento era stato spettatore non pagante con soli 5 punti a referto ma l’ultimo quarto è casa sua e segna 18 punti con uno strepitoso gioco da 4 punti sul 78-82 e il successivo canestro della vittoria che permette a Portland di compiere una rimonta memorabile e di impattare sul 2-2.
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Sicuramente a Brandon ha giovato il fatto di nascere a Seattle negli anni 80’, giusto in tempo per poter apprezzare le gesta di un giocatore che nella città della pioggia ha lasciato il segno: Gary Payton. Payton con Kemp ha portato nel ‘95-‘96 i Supersonics alle Finals, perse contro la corazzata Chicago Bulls.
Brandon ha saputo carpire gli aspetti migliori nel gioco di Payton: l’altruismo, il gioco in pick and roll, una buona difesa e una coscienza dei propri mezzi che ha rappresentato il punto di forza di questo straordinario giocatore.
Roy ha rappresentato in tutto e per tutto l’emblema del leader silenzioso che ha pensato prima ai compagni e poi a se stesso. Fin dal suo arrivo in NBA gli appassionati hanno potuto apprezzare la sua grande intelligenza cestistica, fatta di tecnica e altruismo.
Il numero 7 ha conquistato i tifosi nonostante non sia il giocatore più spettacolare che la franchigia ricordi: di Roy non verranno ricordate clamorose schiacciate o roboanti stoppate, ma la capacità di saper leggere la partita in un modo che pochi sanno fare.
Queste sue caratteristiche lo hanno portato lentamente a diventare il leader tecnico e spirituale dei giovani Blazers che negli ultimi anni insieme agli Oklahoma Thunder di Kevin Durant hanno fatto pensare di poter essere il futuro della Lega.
Difficile chiedere di meglio, l’unico punto debole le ginocchia. Le stesse che fra la fine della stagione 2009-2010 e tutta la seguente lo hanno tormentato, fino a compromettere definitivamente il livello del suo gioco e la sua capacità di influire sulle partite come in passato.
Con il ritiro di Roy a Portland continua la “Maledizione delle prime scelte”: i Blazers non si possono ritenere di certo fortunati quando si parla di scelte al primo giro del draft.
La prima sfortunata scelta è arrivata nel 1984 quando i Blazers con la seconda chiamata assoluta invece di scegliere Michael Jordan, quello che poi divenne il giocatore più forte di tutti i tempi, decisero di prendere Sam Bowie, giocatore non da buttare ma molto sfortunato infatti nei primi anni di carriera dovette fare i conti con ben 5 infortuni.
Da Bowie si passa a Oden. Greg Oden fu la prima scelta assoluta al draft del 2007. Con lui, Roy e Aldrige, Portland si aspettava di gettare le basi per un futuro roseo e c’erano tutte le prerogative perchè questo avvenisse. Purtroppo nell’Oregon non avevano fatto i conti con la sfortuna.
Oden deve operarsi per ridurre una microfrattura al ginocchio destro saltando l’intera stagione 2007-2008. L’anno successivo si presenta ai nastri di partenza in splendida forma ma una serie di due infortuni lo costringono nuovamente ai box.
Quello che doveva essere il nuovo Shaq non si da per vinto e inizia favolosamente la stagione 2009 ma ancora una volta la rotula del ginocchio sinistro fa crack e dovrà nuovamente saltare l’intera stagione. A chiusura del cerchio il prodotto di Ohio State ha un altro risentimento al ginocchio e anche per quest’anno dovrà guardare i suoi compagni dalla panchina.
Come se non bastasse dopo l’annuncio del ritiro di Roy anche LaMarcus Aldrige ha avuto qualche problema e qualche giorno fa ha subito un piccolo intervento chirurgico al cuore che però non impedirà a quello che è stato il miglior giocatore di Portland e il secondo giocatore più migliorato della lega dietro a Kevin Love di disputare l’imminente stagione NBA.
Portland così si trova spogliata del suo miglior talento e dovrà ricostruire nuovamente un gruppo capace di far sognare i tifosi. Batum e Aldrige sono basi importanti su cui ripartire e margine salariale per operare c’è visto che è stata usata la amnesty clause per il pesante contratto di Brandon Roy. Adesso toccherà a Nate McMillan e Larry Miller trovare una soluzione per non far rimpiangere il numero 7.
Brandon Dwayne Roy lascia il basket troppo presto senza aver mai avuto la gioia della vittoria di un titolo, senza averci nemmeno potuto provare, ma nonostante questo rimarrà sicuramente nei cuori degli appassionati per quello che ha fatto sul campo, per averci regalato emozioni che solo alcuni grandi giocatori ci possono lasciare, per averci insegnato che anche senza una palla a spicchi in mano i campioni le decisioni importanti le sanno sempre prendere.
Ottimo articolo. Una sola curiosità: ma se un giocatore si ritira, che senso ha attivare la amnesty clause….? Se il giocatore si ritira, non si rescinde il contratto punto e basta? Con la amnesty clause invece soldi del contratto li danno lo stesso a Roy? Ringrazio in anticipo chi mi chiarirà le idee….
Ciao a tutti
Che tristezza
ogni volta che leggo qualcosa di Roy mi vien da piangere…
Non dovrei, ma la passione sportiva è difficile da arginare.
Anche perché Brandon era anche un’ottima persona!!!
Spero possa avere comunque un futuro nella lega
e a Portland…magari come allenatore, visto quanto era intelligente come giocatore.
Testa a testa con Bargnani per il titolo di rookie of the year? Siamo onesti dai, questa fa proprio ridere