Con questo articolo concludiamo, al momento, questa serie di domande e risposte (qui trovate la prima parte e la seconda parte) riguardanti tutti gli aspetti tecnici e gli interrogativi relativi al lockout NBA.
Se avete ancora dubbi o domande, non esitate a farcele qui sotto nei commenti!
17. Cosa ci aspetta nei prossimi tempi? Cos’è la “decertificazione” di cui si sente parlare come “arma letale” dei giocatori?
Al momento non si vedono spiragli per una accelerazione delle trattative: siamo letteralmente al muro contro muro, almeno per un mese entrambe le parti si limiteranno a tenere duro e sperare che l’avvicinarsi dell’inizio della stagione metta pressione sulla controparte, facendo in modo da ammorbidirla e spingerla a concedere qualcosa di più.
Per quanto riguarda la decertificazione, si tratta di una sorta di “ultima spiaggia” per i giocatori, sulla falsariga di quanto già tentato dai colleghi NFL.
Negli Stati Uniti le relazioni di lavoro sono in equilibrio su due principi di diritto differenti, il diritto antitrust da un lato, quello del lavoro dall’altro, che si escludono vicendevolmente: ogni volta che due parti si organizzano per contrattare non in proprio ma mediante le rispettive organizzazioni (in questo caso l’associazione delle squadre, l’NBA, da una parte, e quella dei giocatori, l’NBPA, dall’altra), le leggi antitrust vengono momentaneamente “congelate”, e si applicano le leggi del lavoro.
Se però i giocatori decidessero di sciogliere la loro associazione (togliendole il mandato di rappresentanza, e quindi “decertificandola”), potrebbero di nuovo far valere la generale normativa antitrust, e quindi chiedere ad un giudice di annullare, in quanto imposizioni illegittime perché contrarie alla libera concorrenza, non solo l’introduzione del lockout, ma anche l’esistenza stessa del salary cap, dei max contract, del draft: farebbero saltare il banco.
Ci sono però tre ostacoli: il primo è rappresentato dalllo sviluppo della situazione nell’NFL, visto che i giocatori hanno decertificato la loro associazione, e subito dopo hanno fatto causa, non più come associazione ma come gruppo di individui singoli, per far dichiarare illegittimo il lockout; il giudice di prima istanza ha annullato il lockout, ma la successiva revisione della corte superiore ha ribaltato la situazione, creando un pericoloso precedente sfavorevole; il secondo è rappresentato dal fatto che portare tutto in tribunale, a prescindere dagli esiti, allungherebbe i tempi di risoluzione; per quanto i tribunali a stelle e strisce siano più celeri dei nostri, una pronuncia sul punto si farebbe attendere parecchi mesi, e quindi determinerebbe la sostanziale certezza di cancellazione dell’intera stagione; il terzo è che, come detto, spostando la partita dal campo della labour law a quello dell’antitrust, la lega risponderebbe con la stessa moneta, facendo tabula rasa di tutto quanto, nel bene e nel male: cancellazione di tutti i contratti già firmati, dei piani pensionistici, delle assicurazioni (tutti elementi che allo stato sono semplicemente “congelati”, ma riprenderebbero valore non appena il lockout dovesse terminare): i giocatori dovrebbero sostanzialmente rinunciare a tutto quello che hanno ottenuto in passato, senza la certezza di ottenere qualcosa di simile in futuro.
18. Quali sono i fattori che spingono i proprietari a sentirsi fiduciosi del fatto che siano i giocatori a cedere per primi?
I proprietari si sentono forti perché le per molti di loro il lockout rappresenta un guadagno secco: tutte le squadre che perdono denaro, saltando una stagione vedono cancellarsi quella perdita e quindi, evidentemente, ne ottengono un guadagno.
I proprietari inoltre si fanno forti del fatto che la massa dei giocatori di basso livello non gode di corpose fonti di reddito oltre al salario (laddove i giocatori più importanti ricevono remunerazioni consistenti dagli sponsor), ma tiene comunque un tenore di vita smodato e molto dispendioso, e quindi non sarebbe in grado di far fronte ad un intero anno senza stipendio; inoltre per la maggior parte della manovalanza della lega la finestra temporale in cui monetizzare il proprio talento è limitata a 3-4 anni, e perderne uno rappresenterebbe una mazzata finanziaria non indifferente.
I proprietari ovviamente non hanno di questi problemi, non solo perché godono di altri introiti, ma soprattutto perché, per come è strutturata l’economia della lega, certe entrate continuano comunque a fuire nelle loro tasche anche se non si gioca.
Il caso più evidente ed eclatante è quello dei diritti televisivi: i contratti conclusi dall’NBA con le televisioni nazionali prevedono che il pagamento del corrispettivo venga effettuato, per l’anno in corso, in ogni caso, a prescindere dal fatto che si giochi o meno, e che quei soldi vengano poi restituiti l’anno successivo in proporzione alle gare non giocate.
Si tratta di un vero e proprio prestito: se anche non si dovesse giocare i proprietari riceveranno comunque gli introiti dei diritti televisivi, dovendo semplicemente restituirli con gli interessi dopo un anno, quando la lega verosimilmente sarebbe ripartita e quindi gli introiti avrebbero ricominciato a generarsi
Siamo nell’ordine del 30 milioni circa a franchigia, senza considerare analoghi meccanismi anche per i contratti televisivi a livello locale: i nuovi proprietari dei Warriors, ad esempio, hanno concluso un nuovo contratto per i diritti TV regionali secondo cui una somma consistente di quanto concordato a livello pluriennale verrà versata immediatamente e in anticipo, nella misura di circa 30-40 milioni di dollari. Questo significa che i Warriors potrebbero affrontare un anno di lockout con spese ridotte all’osso e facendosi forti di un soddisfacente cuscinetto che potrebbe arrivare fino a 70 milioni di dollari.
Allo stesso modo nelle pieghe dei contratti commerciali delle franchigie ci sono molte altre pattuizioni analoghe che potrebbero permettere agli owner di racimolare qualche milioncino qua e là e tenere duro il più a lungo possibile.
19. Una regola contrattuale analoga per l’NFL non è stata annullata da un giudice?
Si, perché l’NFL aveva introdotto quella regola solo due anni fa, e quel giudice ha ritenuto che fosse una scelta “ad hoc” per mettere nei guai i giocatori, e quindi contraria a buona fede.
Nell’NBA, invece, i contratti televisivi sono strutturati a quel modo da vent’anni, e quindi non c’è il rischio di una interpretazione del genere;
20. Quali sono invece i fattori che spingono i giocatori a sentirsi fiduciosi del fatto che saranno i proprietari a cedere per primi?
I giocatori si sentono uniti e compatti come non lo sono probabilmente mai stati, e si sono preparati per anni a questa situazione; per quanto riguarda il primo aspetto non bisogna dimenticare che nel 1998 i giocatori non erano particolarmente solidi e uniti in un’unica posizione, bensì divisi tra la massa dei “peones” e l’elite rappresentata dai giocatori più illustri e soprattutto dai loro onnipotenti agenti, che spingevano per una linea di intransigenza mentre la base dei giocatori era più possibilista.
In questo momento invece i giocatori si riconoscono nel carisma dei loro rappresentanti, di Billy Hunter e Derek Fisher; Hunter in particolare in questi anni ha fatto un enorme lavoro di propaganda e convincimento tra i giocatori per spiegare loro la necessità di prepararsi ad una guerra senza quartiere, mettendo da parte più soldi possibile per poter reggere ad una serrata di una stagione intera o forse anche di più.
In cambio della fiducia che chiedeva di riporre in lui, Hunter si è battuto come un leone nella dialettica con la lega: è rimasto impresso nella mente di tutti, e ha rappresentato probabilmente una svolta nella storia di questa battaglia, il momento in cui Hunter durante una conferenza stampa istituzionale nell’ultimo All Star Weekend, in cui nessuno si aspettava altro che discorsi di circostanza, ha espresso, senza preavviso, una aspra e incisiva critica allo stato della lega e alle sue prospettive immediate, al che Stern, prendendo la parola, ha chiuso il suo intervento con un raggelante “sappiate che io so dove sono sepolti tutti i cadaveri della lega, perché molti di loro li ho seppelliti io”.
Uno scambio di cortesie che ha colto di sorpresa tutti gli osservatori presenti, dal momento che nessuno ricordava una occasione in cui il mammasantissima della lega fosse stato così punto nel vivo da perdere il suo proverbiale self-control in pubblico: quello è stato, a detta di molti giocatori, il momento in cui hanno veramente visto in Billy Hunter il loro degno rappresentante, convincendosi ulteriormente della necesità di seguirlo ciecamente.
E in effetti pare che parecchi giocatori abbiano preso sul serio le indicazioni di Hunter, cercando di contenere le spese il più possibile.
21. E’ vero che alcuni giocatori verranno pagati comunque anche nei prossimi mesi? Come è possibile?
E’ vero, ed è possibile grazie ad uno stratagemma che sfrutta la grande libertà contrattuale che hanno giocatori e squadre nel concordare le modalità di pagamento.
Posto che di ogni giocatore si sa il salario “complessivo”, a fine anno, non tutti i giocatori “spalmano” questo pagamento allo stesso modo.
La norma per i giocatori NBA è di ricevere il salario annuale con pagamenti periodici, bisettimanali, da novembre a maggio, ma non è obbligatorio: giocatori e squadre possono concordare modalità differenti, con versamenti più o meno corposi anticipati e posticipati, ed è evidente che scegliere una modalità piuttosto che un’altra possa fare una notevole differenza in caso di lockout: ad esempio, se un giocatore concordasse di ricevere tutto il suo salario in un’unica soluzione al 20 novembre, e il lockout venisse risolto il 21, lui non prenderebbe un centesimo; se un suo collega invece avesse stabilito un pagamento spalmato solo su pochi mesi, da gennaio a maggio, e il lockout si risolvesse a dicembre, prenderebbe tutti i suoi soldi senza perderci nulla.
Sfruttando questa possibilità, alcuni giocatori (Al-Farouq Aminu, Zach Randolph, Ben Gordon e Caron Butler), clienti dell’agenzia Raymond Brothers, hanno concordato con le rispettive squadre una modalità di pagamento dello stipendio 2010-11 non “spalmata” sui canonici nove mesi della stagione NBA, bensì su diciotto o ventiquattro mensilità, in modo da continuare a ricevere un introito costante, anche se ridotto, fino all’estate 2012.
22. Quali sono invece gli elementi di debolezza nella posizione dei giocatori e dei proprietari?
Da questo punto di vista il discorso è molto semplice:se i proprietari resistono, prima o poi i giocatori dovranno cedere, quindi in linea di massima se i proprietari non mostrano crepe nel loro schieramento la loro vittoria è certa: il tempo è nemico dei giocatori, che per quanto siano uniti e si siano preoccupati di far fronte al lockout non possono resitere all’infinito.
Il problema, per gli owner, è che alcune crepe ci sono, e sono evidenti agli osservatori così come ai giocatori; gli owner sono un gruppo tutt’altro che unito, e anzi molto eterogeneo, con background, prospettive, interessi e necessità molto diversi tra loro:
– ci sono proprietari per cui la propria franchigia è un lusso, un giocattolo, altri per cui è un importante investimento, altri ancora (come Sterling e i Buss, ma anche la famiglia Dolan) per cui è la principale fonte di reddito;
– alcuni proprietari hanno comprato la loro franchigia negli anni ‘80, o negli anni ‘90, pagandola pochi milioni di dollari nel primo caso o un centinaio al massimo nel secondo, e quindi sono ampiamente rientrati dal loro investimento; altri invece l’hanno acquistata nell’ultimo decennio, in pieno boom economico, pagandola centinaia e centinaia di milioni di dollari, per trovarsi in mano un baraccone i cui costi continuano ad aumentare rendendo i profitti quantomeno risicati ed incerti, se non proprio inesistenti;
– alcuni proprietari sono coetanei di Stern, o quantomeno maturi signori che condividono da anni la trincea con l’avvocato di New York, a cui sono legati da rapporti di amicizia o quantomeno di rispetto e riconoscenza, dal momento che negli anni Stern ha reso possibile l’esplosione della lega e di tutto quello che ne è derivato; altri invece sono giovani rampanti, arrivati nella lega negli ulltimi anni e che con Stern non hanno mai avuto particolare feeling, o comunque che non hanno nessun debito di riconoscenza nei suoi confronti;
– ci sono, soprattutto, alcuni proprietari che guadagnano, e guadagnano bene (soprattutto quelli delle grandi città), e molti altri proprietari che guadagnano poco o sono in perdita.
L’unità di intenti che le franchigie stanno mostrando in questo momento è quindi tutt’altro che scontata: non tutti gli owner hanno lo stesso interesse ad un lockout prolungato, non tutti gli owner hanno piena fiducia in uno Stern che ormai inizia ad avere i suoi annetti, e pare essere meno indistruttibile di una volta: può bastare poco, nel bilanciamento tra i vari “partiti” che si formano e si intrecciano a seconda delle convenienze di cui sopra, a spostare la maggioranza degli owner dalla linea dura ad una posizione più possibilista.
23. Il lockout NFL è finito: quanto può influire?
Può influire molto in termini di strategie, visto che in questi mesi giocatori e owner NBA hanno potuto assistere di prima mano alle scelte dei “cugini” NFL rivelatesi più o meno vincenti, e possono quindi scegliere con cognizione di causa.
C’è però un importante caveat, dal momento che le due leghe sono molto differenti, e soprattutto sono entrate nei rispettivi lockout con aspettative molto differenti tra loro: l’NFL è un sistema che funziona, funziona per tutti e mette tutti sullo stesso piano, c’era solo da ritoccare la glassa sulla torta, da “scontare” con 5 mesi di agitazione la prospettiva di altri 10 anni di sicurezza.
L’NBA invece è un sistema che non funziona, perché da un punto di vista economico sono più o meno tutti scontenti, ci sono enormi diseguaglianze e ci si guarda in cagnesco anche tra owner e owner e tra giocatore e giocatore.
24. Quanto può influire invece l’esempio dell’NHL?
Ecco, il rischio è che gli owner del basket guardino più al lockout dell’hockey di qualche anno fa che a quello della palla lunga un piede appena terminato: l’NHL è molto più simile all’NBA come strutturazione, il lockout è stato determinato dagli stessi principi e dalle stesse necessità, e l’esempio dato dagli owner NHL è molto suggetivo per i colleghi, e quindi inquietante per noi appassionati: nell’NHL i proprietari sono riusciti a tenere duro per tutta una stagione, e i giocatori alla fine hanno ceduto su tutta la linea, una resa senza condizioni (sostanzialmente hanno acconsentito a tutte le proposte degli owner, tenendosi soltanto i contratti garantiti).
Il problema è che ci sono ben sei proprietari NBA, un quinto del totale, che all’epoca del lockout NHL possedevano una squadra professionistica di hockey: James Dolan/Cablevision (New York Knicks, New York Rangers), Ted Leonsis (Washington Wizards, Washington Capitals), Stan e Josh Kroenke (Denver Nuggets, Colorado Avalanche), Ed Snider (Philadelphia 76ers, Philadelphia Flyers), Maple Leaf Sports and Entertainment (Toronto Raptors, Toronto Maple Leafs), Atlanta Spirit (Atlanta Hawks e gli allora Atlanta Thrashers).
Leonsis e Kroenke, in particolare, guidano il gruppo degli owner secondo cui saltare un anno di NBA farebbe bene al sistema, e sarebbe un obiettivo da perseguire a prescindere dalle concessioni che i giocatori dovessero fare, per dare un segnale: dall’altra parte c’è la Cablevision dei Dolan, che con i Knicks e il nuovo Madison Squadre Garden hanno tutto da perdere da una stagione senza basket.
25. Quanto può pesare il danno d’immagine derivante dal fatto di perdere una stagione? Può essere un’arma a favore dei giocatori?
Quantificare con precisione il danno d’immagine che deriverebbe dal saltare una stagione è ovviamente molto difficile: per l’NHL è stato enorme, hanno fatto una fatica tremenda a riguadagnarsi la fiducia degli sponsor e rating decenti da parte degli spettatori.
Però non va dimenticato che
a- il bacino di utenza del basket NBA è enormemente più grande, è veramente “globale”, quindi è difficile che appassionati (soprattutto d’oltreoceano) si disamorino più di tanto.
b- anche immaginando scenari catastrofici, i giocatori ci rimetterebbero comunque più degli owner, perché alla fine della fiera il “danno d’immagine” significa semplicemente meno introiti (meno gente alle partite, sponsorizzazioni più basse) e quindi meno BRI, e quindi ingaggi inferiori.
Proviamo a buttare lì due numeri a casaccio, immaginando una stagione 2011/12 in cui gli owner non hanno esercitato l’opzione di uscita dal CBA attuale, e il BRI si attesta sui 4 miliardi tondi: la fetta dei giocatori sarebbe 2,3, quella dei proprietari 1,7; diciamo, salomonicamente, che le “altre spese” siano ugualmente 1,7 (“salomonicamente” perché il casus belli di tutta la vicenda sta proprio nel fatto che facendo previsioni del genere i proprietari ipotizzano spese più alte, e quindi una perdita secca, i giocatori spese più basse, e quindi un guadagno).
Ora torniamo alla situazione attuale, e diciamo che si resta fermi un anno, ma in cambio i proprietari riescono ad ottenere la famosa riduzione al 50/50, e la lega subisce un danno d’immagine del 25%: il nuovo BRI sarebbe di 3 miliardi, la fetta dei giocatori e dei proprietari diventerebbe di 1,5 miliardi, ma lasciando intatte le spese al livello 1,7, i proprietari rispetto al sistema attuale ci rimetterebbero in tutto 200 milioni di dollari, i giocatori ben 800.
Mi sembra quindi di poter dire (anche se sono “conti della serva”, l’economia reale è molto più complessa) che stando ai freddi numeri chi subirebbe di più il danno d’immagine sono i giocatori, che non solo perderebbero un anno di ingaggio ma si ritroverebbero poi con un salario effettivo ancora più basso rispetto a quello “teorico” calcolato su un BRI più corposo.
Poi ovviamente ognuno si fa i suoi conti, ci sono owner per cui la franchigia NBA è un investimento puro e semplice, abbastanza “asettico” (vedi Sterling), mentre per altri owner l’interesse a possedere una franchigia sta soprattutto nel ritorno “pubblicitario”: un eventuale danno d’immagine fa più paura a questi ultimi che ai primi, e quindi in questo senso si può dire che certamente la prospettiva di un grave danno d’immagine può essere un ulteriore elemento di “frattura” nella linea dei proprietari.
Siamo tutti nella fogna, ma alcuni di noi guardano alle stelle. O. Wilde
dopo aver letto i tre articolo ho un idea più chiara e sono ancor di più dalla parte dei giocatori, il sistema sta affondando ed è giusto che siano loro a fare un passo avanti, potrebbero mettersi d’accordo per fare 50-50, come in altri sport
se stai dalla parte dei giocatori e auspichi un 50 e 50 sei contraddittorio perchè i giocatori attualmente hanno un 57 % e se facessero un 50 e 50 ( che ritengo giusto , io sto dalla parte dei proprietari ) ci perderebbero solo loro .
chiedo scusa, volevo dire gli owner, mi sono sbagliato, cmq mi chiedo come sia possibile arrivare a certi punti, capisco che non tutti i giocatori siano pozzi di scienza, parliamo di gente che arriva all’università spesso senza mai aver aperto un libro, ma cavoli il sistema si sta sfasciando, c’è il rischio che continuando così restino 4-5 franchigie in tutto, eppure continuano ad ostinarsi in questo modo, in certi casi la dittatura sarebbe auspicabile
vedrai che si risolve tutto e che la stagione regolare si svolgerà non tutta ma almeno metà , troveranno l’accordo prima dell’inizio del 2012 , alla fine fanno un po’ di scena un po’ di gioco duro da una parte e dall’altra ma vedrai che non sono stupidi ,fare la stagione e importante per tutti e 2 e loro lo sanno , non rinuncerebbero a tutti quei soldi entrambi anche se gli owner dicono di essere in rosso è palesemente una balla di sicuro non è più oro che cola come anni fa ma cmq il guadagno ce l’hanno. questo è il mio pensiero
speriamo !
Partiamo dal presupposto che rinunciare a un privilegio è molto difficile. Ora, i giocatori NBA sono palesemente sovrapagati, e credo non ci siano dubbi a riguardo. Però non ci meravigliamo del fatto che siano restii ad accettare una sostanziale riduzione dei loro compensi, che rimarrebbero a cifre elevate ma non così elevate come lo sono ora. Se vieni abituato a stare nella bambagia, e i giocatori dal lock out del ’98 stanno nella bambagia, accettare condizioni più rigide diventa ancora più difficile perchè ormai ti sei abituato. Detto questo, io non cercherei il cattivo in questa storia, perchè un cattivo non c’è. I giocatori prendono troppo, ma nel precedente accordo la firma ce l’hanno messa i proprietari. Quindi direi che è un concorso di colpa.
Purtroppo temo che le possibilità di perdere tutta la stagione siano alte, ma credo che, per assurdo, possa essere la cosa migliore costringere i giocatore a una resa, se non totale, comunque sostanziosa. Perchè dalle cifre che leggiamo, la NBA rischia alla lunga di ritrovarsi in una situazione simile, se non al calcio italiano, a quella della MLB, che comunque tende a favorire un determinato numero di franchige. Mentre la filosofia che dovrebbe stare alla base della NBA e più in generale dello sport a stelle e striscie è di dare a tutti uguali possibilità di vittoria, almeno in partenza.
“Mentre la filosofia che dovrebbe stare alla base della NBA e più in generale dello sport a stelle e striscie è di dare a tutti uguali possibilità di vittoria, almeno in partenza.”
questa frase in Italia non è presa neanche come partenza !
interessantissimo quello che ho letto, molto utile, e concordo coi commenti di cui sopra, pendendo anch’io un pò dalla parte dei proprietari, quel 57 fisso – 43 scarso non è ammissibile, però c’è una cosa che vorrei chiedere a fleccio: il famoso discorso “se salta la stagione i giocatori perdono, le società trattengono per loro i soldi degli stipendi, guadagnano col contratto televisivo e poi possono fare cedere i giocatori alle condizioni più favorevoli” è vero, quindi la teoria “i proprietari stanno compatti, non cedono nulla e vincono” sembrerebbe efficace, ma le crepe tra i proprietari e (ecco la vera domanda) il danno d’immagine di una lega che sta crescendo a dismisura anche in paesi lontani, se la stagione saltasse, non potrebbe far ritrattare almeno alcuni proprietari, ed ecco così saltare fuori le crepe? anche perchè se la stagione salta, a noi tifosi normali pare logico che la colpa sia dei proprietari, quindi i giocatori in termini di popolarità, di immagine e quindi di sponsor, non perderebbero… che possano in qualche modo essere più compatti i giocatori dei proprietari? anche se la vera domanda, il vero concetto che ti chiedo di sviluppare, è la questione del danno d’immagine se salta la stagione subìto dalla lega, che non mi sembra tu abbia trattato nelle tue argomentazioni a favore dei giocatori (nelle domande 20 e 22)…
grazie dell’immenso lavoro e ciao!!!!!!
madonna che commento lungo… pardon…
Far saltare la stagione sarebbe una cavolata con ripercussioni non da poco. Ci andrebbero a rimettere tutti nessuno escluso.
Non vedo come per giocatori, owners, media, fan sia una soluzione accettabile/percorribile. Non c’è una categoria che ne trarrebbe un vantaggio senza dimenticare il danno di immagine a livello globale.
Perchè la NBA di introiti ne ha tanti ma la parte che riguarda il resto del mondo è in continua crescita. Per quanto si possano fare contratti faraonici con le TV USA, il vero business è rappresentato da Cina, dai paesi emergenti ed Europa. Se pensiamo che i cinesi non potranno più vedere il loro eroe Yao calcare i parquet, siamo sicuri che una stagione persa gioverebbe al loro all’interesse? Non credo proprio come non credo che tanti big avrebbero la voglia di giocare 4/5 mesi a Tanjiin o a Shanghai perchè papà Stern glielo “consiglierebbe”.
“perchè papà Stern glielo “consiglierebbe””
glielo consiglierebbe un pò come ai due centri delle nazionali cinesi di basket (maschile e femminile) fu “consigliato” di fare un figlio, negli anni ottanta, e poi venne fuori yao…
buffa docet…
il discorso che ho chiesto a fleccio di approfondire è appunto quello: quanto il far saltare una stagione, con risparmio degli stipendi, il contratto tv che rende comunque, e l’indebolimento dei giocatori, può essere fruttuoso, in corrispondenza con il sicuro, resta da valutare quanto, calo di popolarità e danno d’immagine?
perchè sul fatto che ci sia, e fin qui son d’accordo con te, il danno e il calo di popolarità ci sono, però se viene stimato sia meno, economicamente, sempre e solo economicamente, di quello che le società comunque guadagnano o risparmiano facendola appunto saltare, allora i proprietari non si muovono, ma se ci fosse anche solo il minimo sospetto che il salto della stagione porti, anche in prospettiva, una perdita troppo grande, allora il lockout potrebbe chiudersi anche domani…
ho provato a rispondere con i “conti della serva” aggiunti con il punto n. 25: ragionando grossolanamente, direi che per gli owner un danno d’immagine anche consistente (ho ipotizzato un 25%, che è ENORME) resterebbe comunque più facile da “assorbire” che per i giocatori.
non solo per le fredde cifre, ma anche perché gli owner hanno tasche molto più larghe e una “vita” professionale molto più lunga:
un owner, che è comunque un magnate a prescindere da quello che succede alla sua squadra, e che, età e disgrazie permettendo, ha davanti a sè tutti gli anni che vuole per godersi la sua franchigia, (diciamo mediamente 10-15 anni), può tranquillamente permettersi una stagione perduta interamente e 4-5 stagioni successive in cui l’NBA accusa il colpo e incassa meno di quanto avrebbe potuto senza il lockout, se poi più avanti la lega si riprende ed è più profittevole.
un giocatore, che non ha altri introiti oltre al basket e la cui “vita” sportiva si riduce, mediamente, a 4/5 anni, non ha questo lusso: perdere un anno e subire una NBA economicamente meno florida per altri due o tre anni significa perdere una buona fetta dei guadagni di tutta la sua carriera, e d’altra parte i giocatori parlano molto del “futuro”, del “dobbiamo pensare ai giovani”, ma in realtà di quanto prenderanno i suoi colleghi tra 10 anni non gliene frega proprio niente, tanto lui non ci sarà più.
Ho letto tanto sull’argomento, sia in italiano che in inglese, ho anche scritto qualcosa, ma mai avevo avuto le idee chiare come ora. Sono sempre più un fan sfegatato di Fleccio.