Se guardassimo solo i numeri, i singoli, freddi e cinici numeri, Kevin McHale non avrebbe dovuto neanche essere preso in considerazione per una panchina prestigiosa come quella dei Rockets: in tutta la sua vita ha allenato solamente due volte, in entrambi i casi subentrando a stagione in corso e collezionando un poco invidiabile record di 39 W e 55L.
La prima volta, nella stagione 2004-2005 ha sostituito l’allenatore che aveva scelto personalmente per la panchina dei T-Wolves, quel Flip Saunders compagno di squadra ai tempi del college a Minnesota. Il record nelle ultime 31 partite della stagione fu un onesto 19 W e 12 L, ma Kevin non sembrava affatto interessato al ruolo di capo-allenatore; così decise di scegliere per la stagione successiva quello che è stato uno dei suoi principali concorrenti per la corsa al pino di Houston: Dwane Casey.
La seconda invece fu nel momento di massima difficoltà per Minnesota: dopo la partenza di Kevin Garnett, le sorti della squadra virarono decisamente verso sud e Randy Wittman, che sedeva sulla panchina in quel momento, non sembrava l’uomo adatto alla ricostruzione di una squadra fatta di giovani talenti a cui serviva una guida per conoscere il mondo NBA.
Così il proprietario Glen Taylor decise di mettere in mano il giochino ormai sfasciato a colui che aveva in gran parte contribuito a romperlo. Le conseguenze inevitabili furono un record perdente (20 W – 43 L) ed il licenziamento a fine anno (2008).
Nonostante i pregressi però, la reputazione di McHale nella Lega non è mai stata scalfita dagli insuccessi in giacca e cravatta: forse perchè la sua storia come giocatore è al di sopra di ogni sospetto o forse si è guadagnato la fiducia di tutti gli addetti ai lavori con una conoscenza del gioco ed un’intelligenza anche al di fuori del campo che non lascia adito ad ulteriori critiche.
Da Bird a Kevin Martin, passando per Danny Ainge e Bill Fitch, suo ex-allenatore, tutti coloro che sono stati interpellati riguardo il nuovo incarico di Mac, hanno speso parole di grande stima, prima per la persona, poi per il professionista.
“Sono molto felice per Kevin” ha detto Bird, “lui conosce il basket sia come giocatore che come allenatore e sono sicuro farà un gran lavoro”.
La stella della squadra, Kevin Martin, sembra già essere dalla sua parte: “Lo vedo allo stesso livello del miglior allenatore che abbia mai avuto, Rick Adelman. Abbiamo preso un pezzo del puzzle importante, quest’estate posso dormire sonni tranquilli perché so che abbiamo un grande coach che innalzerà il nostro livello e ci porterà ad essere una contender”.
Danny Ainge e Bill Fitch sono concordi nel ritenerlo una delle migliori menti del basket moderno, in grado di gestire lo spogliatoio grazie alla sua ironia ed alla capacità di trovare feeling con i giocatori.
Lo stesso Morey, GM dei Rockets, attentissimo alle statistiche ed ai numeri, assicura personalmente sul QI cestistico dell’ex Celtics: “Durante i nostri numerosi incontri, lo abbiamo posto di fronte a situazioni differenti quali – Cosa fai se sei sotto di 5 punti a 60 secondi dalla fine? E se sei sopra di 3 a 90 secondi dalla fine? – e posso assicurare che Kevin mi ha sorpreso con le sue risposte; sa esattamente quali soluzioni scegliere”.
Con tutte queste raccomandazioni di nomi illustri del panorama NBA, i tifosi di Houston non possono che essere fiduciosi. Se anche il pretenzioso proprietario della franchigia, Les Alexander, ha ceduto al fascino del Miglior Sesto Uomo di sempre nella Lega, un motivo sicuramente c’è.
A convincerlo, sono state anche le idee di gioco di McHale, che già in conferenza stampa lasciava trapelare quelli che potrebbero essere i fondamenti tattici sul campo: “Voglio una squadra che corra di più rispetto all’anno scorso. Questo non vuol dire che non userò i giochi di coach Adelman, anzi per l’aspetto offensivo penso manterrò la stessa struttura perché i ragazzi sono già in grado di giocarla”.
Un altro principio solido su cui verrà basata la prossima stagione è la difesa: “Dobbiamo migliorare di molto il nostro livello difensivo. In questa lega non si vince segnando un punto in più, ma mantenendo la concentrazione nella nostra metà campo”.
Nonostante tutti gli elogi come allenatore, se Kevin McHale avrà successo sulla panchina dei Rockets, non sarà di certo per le innovazioni tattiche che apporterà, quanto perché riuscirà a mantenere uno spirito di coesione all’interno dello spogliatoio, evitando malumori e spaccature: più Doc Rivers che Larry Brown, per semplificare l’assunto.
In più, potrà essere di grande aiuto ai giocatori di post-basso, a cui sicuramente infonderà le sue infinite conoscenze in quella parte del gioco: forse, un giorno, anche Hasheem Thabeet riuscirà a diventare un centro in grado di stare in campo in questa Lega.
Per ora però, attendiamo i movimenti del post draft, dopo quelli del darft che hanno fatto arrivare nel Texas Marcus Morris, Donatas Motiejunas, Chandler Parsons e Jonny Flynn, nell’attesa che arrivi a Houston un giocatore di primo livello, che possa far fare al team il definitivo salto di qualità, dando per scontato che quello non potrà più essere Yao Ming, il cui ritorno in attività è tutt’altro che certo…
L’era McHale… Più che la sua, la definirei l’era Morey, GM definito geniale ma che, fin qui, non ne ha azzeccata una. Se a Houston non si mettono in testa che devono rifondare (l’anno appena passato era il momento giusto), i Rockets continueranno a valere più o meno quanto i T-Wolves.