I Mavs sono cambiati. Indipendentemente da come andrà a finire questa serie, è evidente che i Mavs, quest’anno, abbiano dimostrato di aver fatto i conti con i demoni del passato, con le tante eliminazioni e sofferenze sportive.
Probabilmente l’organizzazione è riuscita a digerire non solo la finale del 2006, ma anche l’eliminazione del 2007 al primo turno contro i Golden State Warriors, l’anno in cui Nowitzki fu obbligato ad accettare il suo premio di MVP con la squadra già eliminata.
Il cambio di mentalità è il modo più facile per spiegare la vittoria di Dallas in gara 2, che potrebbe essere decisiva. Hanno tirato fuori gli attributi proprio quando sembravano più morti. Come dice Jason Kidd: “Non so se fiducia sia il termine corretto ma, di sicuro, non ci spezziamo mai”.
Quella di giovedì notte rappresenta un’altra fondamentale rimonta in questi playoffs dopo Gara 1 a Los Angeles e Gara 4 ad Oklahoma City a dimostrazione che i Mavs, anche se molti li danno per sconfitti in questa serie, hanno intenzione di lottare.
La serie si sposta in Texas, quindi, nella situazione ideale per i Mavericks, che hanno realizzato il loro obbiettivo, vale ad dire vincere almeno una gara a Miami.
L’entusiasmo a Dallas è veramente altissimo, come dimostra il fatto che il prezzo dei biglietti per le gare che si giocheranno in città è aumentato dal 17% al 25% (a seconda delle fonti) dopo l’incredibile vittoria di Gara 2: addirittura i tifosi si erano radunati in aeroporto per salutare i giocatori, neanche avessero vinto il titolo.
I Mavs, Gara 2, hanno soprattutto rischiato di perderla con le palle perse, non solo per demeriti propri, ma anche per il controllo asfissiante della difesa di Miami. La speranza è che, a livello offensivo, la situazione possa migliorare tra le mura amiche.
E’ impossibile, a questo punto, continuare a parlare della serie senza fare riferimento al parziale di 17-2 che ha permesso ai Mavs di vincere all’American Airlines Arena, violata per la prima volta in questi playoffs dopo nove partite (il record è di dieci vittorie, ultimi a raggiungere questo traguardo sono stati i Jazz del 1997).
Per chi ha vissuto su Marte, un piccolo recap: gli Heat, a sette minuti e quattordici secondi dalla fine della gara erano, con una tripla di Wade, sopra di quindici (73-88). La gara sembrava decisamente in ghiaccio, ed erano già pronti i tioli celebrativi per una Miami efficacissima, ormai in controllo della serie, e per dei Mavs spreconi.
Poi qualcosa è successo: forse gli Heat l’hanno data per vinta; forse Dallas non ha apprezzato, da parte di Wade, quelli che riteneva festeggiamenti eccessivi, come ha detto a fine gara Jason Terry: “E’ stato il momento che ha girato la gara. Vederli celebrare in quel modo, è stato davvero scoraggiante per noi”.
Quello che è certo è che i Mavs hanno piazzato un parziale di 17-2 che ha ribaltato la gara, e che ha permesso loro di compiere una delle più grandi rimonte nella storia della finale NBA: era dai tempi dei Bulls di Jordan, nel 1992, che una squadra non vinceva una partita di finale ribaltando un -15 nel quarto periodo.
C’erano andati vicini proprio gli Heat che, nella sanguinosa (per i Mavs) finale del 2006 recuperarono tredici punti in sei minuti e quarantadue secondi, buttando, ormai cinque anni fa, i Mavs dentro una buca dalla quale solo ora stanno faticosamente uscendo.
Bisogna dare merito ai ragazzi di coach Carlisle per averci creduto ed aver reagito nel momento più difficile, favoriti anche dal fatto che gli Heat, per motivi misteriosi, hanno virtualmente smesso di attaccare, segnando solo un canestro dal campo (con Chalmers) e due liberi (con James).
Ma non si può, dopo una gara del genere, non andare a parlare di Nowitzki: un po’ perché il tedesco era stato il grande sconfitto della serie del 2006, etichettato da quel momento come un giocatore buono ma non vincente, forte ma non fortissimo; ma, soprattutto, perché il ragazzo di Wurzburg ha dominato l’ultimo minuto.
Ha, infatti, segnato gli ultimi nove punti dei suoi, sette negli ultimi cinquantasette secondi di gara, compreso il canestro della vittoria, guadagnandosi anche il paragone con Larry Bird da parte del suo allenatore che, con Bird, ci aveva pure giocato.
Lo sguardo però ora si deve spostare sulle prossime gare, a dir poco fondamentali. Come ha detto Charles Barkely, i mavs devono vincere gara 3, per dare un’impronta decisiva alla serie, anche se il formato della finale, con la formula 2-3-2, storicamente sfavorisce la squadra che inizia in trasferta: vincere tre gare consecutive, infatti, non è per niente facile (negli ultimi anni ci sono riusciti i Pistons e gli Heat).
Anche Nowitzki, più che mai concentrato sull’obiettivo finale, è della stessa opinione di Sir Charles: “Dobbiamo considerare la prossima gara come se fosse l’ultima. Non puoi andare sull’1-1, ottenere una grande vittoria emotiva e poi perdere gara 3 in casa. Per quanto mi riguarda, la prossima è la gara più importante”.
Anche le statistiche paiono confermare questa teoria, visto che, in una situazione di 1-1, la squadra che ha vinto gara tre ha poi conquistato il titolo ogni volta (11-0).
Per vincere gara 3, nonostante la rimonta della partita precedente, non bisogna dimenticarsi di quello che era successo nei precedenti quarantadue minuti di partita, con i Mavs che faticavano in difesa, subendo lo strapotere fisico e tecnico dei Big Two di Miami e facendo molta più fatica del loro solito in attacco.
Infatti, Barea è migliorato rispetto a Gara 1, ma può fare ancora meglio, Terry aveva dimostrato, fino al risveglio del quarto periodo, di soffrire ancora moltissimo la marcatura di Lebron e Stojakovic, finora fondamentale nei playoffs per aprire la scatola difensiva degli avversari, era così fuori partita che non è sceso in campo nel secondo tempo.
La serie inizia adesso.
Il tempo mi ha dato ragione…il povero Mike non si è neppure avvicinato al rendimento proposto in gara1. Mentre Dirk c’ha segnato il canestro della W con il dito infortunato!!!!
L’importante è che abbiamo una serie apertissima e si prevedono partite decise da dettagli sempre più piccoli!
; ) Peace