La parabola di un professionista è ricca di alti e bassi, dal punto di vista sportivo e non..
Se si parla di Ron Artest nella fattispecie, i primi collegamenti mentali a profani (e non) della palla a spicchi sono essenzialmente 2:
– difensore
– follia pura
e non necessariamente in quest’ordine.
Il divario che separa il Ronald giocatore ex St. John’s col suo alter ego “umano”, pittoresco e spesse volte criticato apriori, ha pochi eguali nella storia dell’NBA.
Oggi usciremo in linea di massima dal rettangolo di gioco (in merito vi consiglio il bel pezzo di Fraccu di pochi giorni fa) per andare ad analizzare nei limiti del possibile l’altra faccia del 37 gialloviola.
Con il presupposto di un’infanzia difficile in cui il basket è stato più volte ancora di salvataggio, la leggenda di Ron Ron nasce nei campetti di Queensbridge nella grande mela, passando per la La Salle Accademy e lo street con soggetti non esattamente raccomandabili del calibro di Odom e Brand.
Proprio su Brand, amico di vecchia data, pare ci sia un simpatico aneddoto riconducibile al periodo in cui erano compagni alla St.John’s: Ron, colto da eccessiva eccitazione, arrivò a stordirlo di pugni. In linea di massima, non proprio delle carezze…
La sua carriera NBA comincia col draft del ’99, in cui si presenta ai più sbattendosene allegramente del rookie meeting pre-draft (causa gentil donzella), finendo per essere scelto dai Bulls alla 16°..
Il passaggio ai Pacers pochi anni dopo è il preludio alla notte del Palace Auburn Hills di cui tutti, volenti o nolenti, abbiamo un chiaro ricordo.
I tempi cambiano, gli uomini no. Sbagliato. O perlomeno inesatto.
A 7 anni di distanza da quella “notte di infamia” il presente e il passato recente raccontano un Artest diverso. Da quel colpo di testa che ha riportato alla mente ricordi del “True warrior” newyorkese, Ron ha cambiato marcia. Lentamente, a suon di sorrisi e di un comportamento tanto “vero” quanto singolare.
Dalla versione Rapper, alle capigliature improbabili, passando per l’apparizione al Jimmy Kimmel show in semitotale deshabillè fino allo spettacolare imperdibile show post-anello ad LA (con lo storico “Kobe passed me the ball!!!” )
httpv://www.youtube.com/watch?v=ZqLQMqyksmU&feature=related
La caduta nel vortice di Twitter lo aveva accomunato a gran parte dei suoi compagni, chi più chi meno.
Ron però un giorno decide di alzare l’asticella (cit.), promettendo (ad un’ora improbabile della notte losangelina) una suoneria personale ad ogni persona glielo avesse richiesto. Amazing.
Recentemente, ed è questa la vera notizia, la PBWA (Professional Writer’s Basketball Association) gli ha conferito il J.Walter Kennedy Citizenship award, premio che viene assegnato ad allenatori o giocatori per il loro impegno verso la comunità.
Artest è il terzo uomo-Lakers di sempre a riceverlo dopo Magic e Michael Cooper (uno che in linea di massima di difesa ne capiva qualcosa..).
Si tratta in un certo senso di una ulteriore conferma, dopo il “Ron Artest day” a Las Vegas in suo onore e la messa in vendita dell’anello tanto agognato e desiderato per contribuire alla sensibilizzazione sulla salute mentale, di cui ormai è celebre portavoce.
Il mondo di Ron è in continua evoluzione. Ed è lui stesso ad accorgersene..
“This is one of the times when you can look back and say it was all worth it. Everything I’ve been though continues to make me who I am today…
Per i fan delle “comparison”, con le dovutissime proporzioni, può balzare alla testa il paragone con la redenzione del Paolo Di Canio in english version, ma qui si tratta di altro.
Non è il caso di parlare di miracolosa guarigione, anche perchè la “clothesline from hell” su J.J.Barea in gara 2 è stato uno spiacevole lampo del mr. Ron Ron mai dimenticato, quanto più di opportunità. E del saperle sfruttare…
“It’s just giving people opportunities..”
(cit. Ronald William Artest jr.)
“It’s just giving people opportunities..”