Portland, Oregon. Rose Garden.
Primo turno di Playoffs. Mavericks contro Blazers. Gara 3.
I giocatori svolgono il tradizionale riscaldamento pre-partita, i tifosi prendono posto sugli spalti, i due allenatori confabulano con i propri assistenti sulle mosse da operare durante la partita.
Fin qui, direte, nulla di strano.
Le luci si spengono, il momento delle introduzioni dei giocatori si avvicina. Prima tocca ai Mavs. Poi, finalmente, è il turno dei padroni di casa. Scorrono le immagini. Il quintetto iniziale viene presentato.
Ma avviene qualcosa di inaspettato…
Il JumboTron del palazzo mostra, assieme allo starting five, anche una sesta immagine.
E’ quella del beniamino di casa, quella di chi nelle prime due gare di questi Playoffs si era sentito messo in disparte dal proprio allenatore e non aveva esitato ad esternarlo pubblicamente. E’ la foto di Brandon Roy.
A seguito delle dichiarazioni fatte dal numero 7 nel post-partita di Gara 2, questa è sembrata essere una mossa alquanto azzardata da parte degli addetti dei Blazers.
Le polemiche erano state tante, fin troppe, attorno alle sue parole.
Poi però, la reazione del pubblico, sorprende ancora di più. Un lungo, assordante applauso, accompagna colui che negli ultimi anni ha guidato l’intera franchigia a successi inaspettati.
Da subito, quindi, è parsa cominciare una serata speciale per Brandon, di quelle che poche volte possono ricapitare nel corso di una carriera. E in effetti, il meglio, doveva ancora arrivare…
2:17 sul cronometro del primo quarto, coach McMillan chiama Roy e gli chiede di avvicinarsi al tavolo per entrare in campo. Non appena il numero 7 mette piede sul parquet, la folla va in delirio. Parte una standing ovation, che mette i brividi.
Passano appena 2 minuti ed arriva il primo canestro. Un jumper dalla media distanza che sblocca definitivamente la serata e il morale del prodotto dell’Università di Washington.
In Gara 1 aveva siglato due soli miseri punti con 1/7 al tiro.
Gara 2 era stata ancora peggiore, con nessun canestro messo a segno in 8 minuti di gioco.
Gara 3, però, è sembrata immediatamente un’altra storia.
Sarà stata l’aria di casa. Sarà stato il calore del Suo pubblico.
Roy, alla fine, ha chiuso la contesa con 16 decisivi punti, 4 assist, una palla rubata, 23 minuti di gioco e una serata che, dalle parti di Portland, difficilmente dimenticheranno.
Tiro da tre punti, canestri dalla media, layups in contropiede e poi, specialità della casa, un killing-crossover ai danni del povero Stojakovic. Insomma, tutto ciò di cui i Blazers avevano bisogno per riaccorciare le distanze nella serie coi Mavs.
La favola però non finisce qui. Perché, come si suol dire, l’assassino torna sempre sulla scena del delitto.
Stessa città, stesso palcoscenico, stessi avversari. Stavolta però, è gara 4, “Win or Go Home”.
Brandon Roy entra a partita già in corso, col punteggio molto equilibrato.
A 8:18 dal termine del secondo quarto, la sua schiena fa CRAK, e tutto lascia presagire il peggio. Dopo un duro fallo da parte di Stojakovic, infatti, il numero 7 rimane a terra, e dopo aver battuto il tiro libero supplementare, è costretto a lasciare il campo.
La sua squadra si perde, soprattutto nel terzo quarto, dove arriva a toccare un eloquente -23.
Ma Roy è di nuovo pronto a sorprendere. Stringendo i denti rientra sul parquet, e la sua eroica impresa può così riprendere.
Il periodo finale comincia con i padroni di casa sotto di 18 punti. Roy sigla due punti, poi altri due, ed altri due ancora. E’ letteralmente immarcabile. Ci prova Kidd, ci prova Stevenson, ci prova Shawn Marion. Carlisle si gioca tutte le carte a sua disposizione. Ma Brandon è indemoniato.
I Blazers si rifanno sotto, fino al -4. E qui comincia il bello…
1 minuto al termine, Roy sfida Marion uno contro uno. Si alza da tre punti, canestro e fallo, gioco da 4 punti chiuso. Sul ribaltamento Terry spara ma fallisce, e il solito Roy si prende la responsabilità del possesso del possibile vantaggio Portland. Penetrazione, arresto improvviso, tiro a tabellone, canestro. I Blazers sono avanti 84-82, e nonostante 39 secondi rimanenti, riusciranno a mantenere questo punteggio fino alla fine.
Serie impattata sul due pari, e giocatori celebrati come eroi.
Soprattutto uno, però. Quello col numero 7 cucito sulla schiena.
E’ riuscito a riprendersi la sua squadra con i denti, il sudore e le lacrime versate sul campo.Ha passato momenti terribili, con le ginocchia che per un momento sembravano averlo abbandonato.
Sempre però con la speranza di rinascere, di ritornare quello che era. Una delle guardie più forti e decisive della Lega.
Speranza, diventata realtà in queste serate per lui memorabili.
Verrebbe proprio da dire, Brandon is Back!
Appassionato di basket americano e di calcio, soprattutto quello inglese da qualche tempo, è laureato triennale in Scienze Politiche presso la LUISS di Roma e studia Marketing presso lo stesso ateneo. Gioca agonisticamente a basket. Conta diverse collaborazioni sul web come redattore sportivo, specializzato in basket NBA. E’ regolarmente iscritto all’ODG del Lazio come pubblicista.
Non certo da tifoso, ma da amante dello sport mi sento di dire: FORZA BRANDON!
Spero che le sue ginocchia riescano a reggerlo per un pò di anni in modo più degno di quanto non abbiano fatto finora, per quanto l’equipe medica che lo ha tenuto sotto i ferri l’ultima volta è parsa perplessa a tal proposito…
Roy
Se non ci sei è sempre tutto più difficile….!