C’è un coach che prima ancora di iniziare questa stagione ha già vinto.
Nessun titolo, nessun trofeo, nessun riconoscimento personale, ma come si dice in questi casi eccedendo un po’ in retorica, ha vinto la partita più importante, quella per la vita.
Stiamo ovviamente parlando di George Karl, il coach dei Denver Nuggets, che l’anno scorso, dopo la pausa dell’All Star Game ha annunciato al mondo di dover lottare nuovamente contro un cancro.
Nuovamente, si, perchè già nel luglio del 2005 all’ex allenatore dei Seattle Supersonics dell’accoppiata Payton-Kemp fu diagnosticato un cancro alla prostata, fortunatamente sconfitto. L’allenatore, all’epoca alla prima stagione con i Nuggets, dovette subito dopo affrontare un’altra sfida, stavolta da spettatore. Fu infatti suo figlio Coby ad essere colpito dalla malattia, un cancro alla tiroide, fortunatamente del tipo più curabile, che ha costretto il giovane Karl a due distinti interventi chirurgici per la sua rimozione. Momenti certamente difficili quelli patiti da George Karl, che dopo la sua malattia ha dovuto fronteggiare quella del figlio.
Dopo la seconda operazione che ha debellato completamente la malattia e dopo aver accertato che il carcinoma alla prostata fosse guarito, le cose parevano andare per il verso giusto per la famiglia, con Coby che faceva le sue prime esperienze in NBA ai Lakers e George che di anno in anno migliorava i record di franchigia, raggiungendo l’apice nel 2009 con l’approdo alle Western Conference Finals, dove furono sconfitti dai futuri campioni dei Lakers.
Sembrava davvero cominciata l’ascesa dei Nuggets e del loro condottiero, e la stagione seguente la partenza fu nuovamente di alto livello. Poi, come detto, l’annuncio, con Denver che deve fare a meno del suo coach, sostituito dal suo assistente Adrian Dantley, e che perde la sua guida e 11 delle sue 29 sconfitte stagionali e viene eliminata al primo turno dai Jazz.
Coach Karl però non si arrende, dal letto di ospedale segue, soffrendo, la stagione della sua squadra.
Non sta bene però, il cancro, questa volta alla gola, non gli dà pace e lo costringe ad alimentarsi attraverso un tubo nel suo stomaco, inserito a marzo dopo i primi trattamenti e rimosso solamente a metà luglio. Perde quasi 20 kg, viene ricoverato due volte in ospedale per un embolo polmonare e viene sottoposto a 25 cicli di radioterapia in 6 settimane, roba che obiettivamente stenderebbe un cavallo.
Karl invece reagisce bene, e cosa più importante reagisce il suo organismo, che inizia a debellare le cellule malate e quindi la malattia. In lui, nonostante l’ovvio scoramento iniziale, non decade mai la volontà di ricominciare ad allenare. E non manca occasione in cui lo dichiari in pubblico nelle poche apparizioni che lo vedono protagonista durante il decorso della malattia.
Indimenticabile per molti l’intervista che va in onda su ESPN durante i playoff della scorsa stagione, con un Karl decisamente segnato dalla malattia, dimagrito e segnato in volto, che parla con estrema fatica e conferma che il suo sogno è quello di tornare sulla panchina dei Nuggets per l’inizio di questa stagione.
La sua determinazione è sicuramente l’arma vincente e dopo l’ultimo controllo fatto in estate, che conferma l’assenza di cellule malate, il sogno può avverarsi. George Karl può finalmente tornare a guidare la sua squadra!
Purtroppo però la situazione non è delle più rosee alla partenza della stagione, con Carmelo Anthony, il giocatore franchigia, che dichiara ai quattro venti la sua intenzione di non rinnovare con Denver e di provare a vincere altrove al termine del suo contratto.
Anche l’altro sogno estivo non si avvera. Karl non riesce ad essere il primo allenatore NBA ad avere a roster suo figlio dopo esser stato il primo coach a trovarselo di fronte in una gara di playoff tre anni prima a Los Angeles. Il 16 agosto infatti i Nuggets tagliano il figlio Coby che trova però un contratto in Europa, a Granada.
Il coach si trova anche e dover fare a meno per gran parte dell’inizio di stagione di Martin e Andersen ovvero i due suoi lunghi difensivi. Karl però è un guerriero e non si lascia spaventare da questi intoppi, d’altronde nessuno più di lui può essere conscio di come i reali problemi nella vita siano altri, e si rimbocca le maniche per amalgamare la squadra e renderla simile a quella che aveva lasciato 8 mesi prima, provando ad integrare il nuovo arrivato Al Harrington.
Il risultato è tutto sommato positivo e al momento attuale i Nuggets hanno un record di 21 vittorie e 16 sconfitte che gli vale il settimo posto ad Ovest, a distanza di sicurezza dalle inseguitrici. Il modo di giocare è sempre lo stesso con Denver che basa molto del suo gioco sulla fase offensiva, avendo interpreti del genere di tutto rispetto, con il già citato Anthony, JR Smith, il nuovo arrivo Harrington, Billups e un Nenè sempre più efficace che giostrano l’attacco in modo sempre efficace.
Lo stesso Melo, nonostante i malumori, inizia l’anno sullo stesso tenore dei precedenti a livello di cifre, ma mostrandosi forse ancora più completo a livello di gioco, fermato in questo momento solo da un lutto personale (la morte della sorella ndr).
Oltre al record di squadra, c’è da registrare il traguardo personale (questa volta a livello professionale) raggiunto da George Karl, che è diventato il settimo allenatore nella storia della lega a raggiungere la vittoria numero 1000 il 10 dicembre dello scorso anno.
Karl, che ha vinto la sua millesima gara all’Air Canada Centre, ironia della sorte la stessa arena dove aveva ottenuto la vittoria numero 900, al momento del raggiungimento del traguardo ha un record di 1000 vittorie e 680 sconfitte in carriera, ovvero il 59,52% e diventa il primo allenatore a raggiungere il traguardo in trasferta, dopo però aver sciupato 2 match point (contro Charlotte e Boston).
I suoi giocatori sono i primi a festeggiarlo e uno dei suoi giocatori, Billups, lo dichiara “un momento che non dimenticheremo mai” e che “coach Karl è il miglior coach che mi abbia mai allenato. Lui sa come vincere, anche perchè per essere arrivati a mille vittorie bisogna sapere come si fa“, aggiungendo alla fine “è incredibile. Ha vinto mille partite e non sono nemmeno le vittorie più importanti. Ha sconfitto il cancro due volte. Quelle sono le vittorie più grandi“.
Retorica? Forse, ma stavolta ci sentiamo di sottoscrivere in pieno.
bell’articolo! CHAPEAU a George Karl
bellissimo articolo… complimetni a voi e soprattutto a coach karl, che da oggi guadagna sicuramente un posto in più nella mia classifica… cavolo nella foto si vede che è dimagrito tantissimo… poraccio!!! meno male che è tornato, un campione per resistere a tanto, e un vero appassionato del gioco, sennò sarebbe stato facile cedere, con tutto quello che ha passato… permettetemi di essere un pò più leggero e dire che, se si dovesse fare un nuovo promo “Soul of the Game”, lui ci starebbe in pieno!!!! ciao!
Ottimo articolo, e sti cavoli della retorica perchè in questo caso ci sta davvero tutta. Karl ha vissuto gli ultimi 6 anni in situazioni difficilissime, eppure non si è mai staccato dalla sua grande passione che è il basket ed ha sempre mostrato, a parole e nei fatti, la volontà di tornare a vivere come prima. Bisogna veramente togliersi il cappello di fronte a lui e a tutte le altre persone che hanno/hanno avuto un’esperienza di vita assimilabile alla sua, e che magari non trovano spazio sui giornali perchè sono meno famose e perchè, purtroppo, malattie del genere sono all’ordine del giorno. Forza coach George!