Atene, 28 Giugno 2004, l’avventura di Team USA ai giochi olimpici si conclude con la conquista  della medaglia di bronzo nella finalina contro la Lituania. Una medaglia di bronzo che suona come la sconfitta più cocente del basket a stelle e strisce nella storia dei giochi olimpici, più della finale del 1972, più dei giochi di Seoul del 1988.

Questa sconfitta infatti è maturata con un team ricco di stelle NBA come Tim Duncan, Allen Iverson, Amare Stoudemire,  e tre giovani leoni in rampa di lancio come Lebron James, Carmelo Anthony e Dwyane Wade, inoltre in panchina sedevano il coach campione in carica NBA Larry Brown e un altro santone come Gregg Popovich.

Come dopo le olimpiadi del 1988 i vertici della pallacanestro a stelle e strisce si resero conto della necessità di un cambiamento radicale nel modo di costruire il team, nella pianificazione del grande evento e nella sua preparazione. Il ruolo di managing director fu assegnato quindi a Jerry Colangelo, vera istituzione tra gli executive NBA, con il compito di preparare l’assalto ai giochi di Pechino 2008 con un progetto a lunga scadenza.

Il primo passo fu quello di definire una lista di giocatori che garantissero la propria disponibilità per un intervallo di tempo quadriennale, in modo da poter pianificare e gestire l’attacco alla medaglia d’oro con dovizia e cura dei particolari, un netto cambio di tendenza rispetto ai 15 allenamenti e alle 6 amichevoli della precedente esperienza.

Il secondo e decisivo passo fu ovviamente la scelta del nuovo allenatore,  che portò quasi immediatamente a pensare a Mike Krzyzewski, leggenda del college basket, ai più noto come Coach K. In un momento di enorme imbarazzo per il movimento cestistico statunitense è sembrata quasi naturale la scelta di una figura carismatica ed autorevole come quella di coach K, il più vincente allenatore in attività nel panorama NCAA, dietro solo a John Wooden  e Dean Smith in una virtuale classifica all-time. Nessuno poteva prevedere un tale successo, quando, da illustre sconosciuto, si sedette nella primavera del 1980 sulla panchina dei Duke Blue Devils.

Mike Krzyzewski proviene da un quartiere  di emigranti polacchi di Chicago, dove la vita dura e semplice ne ha forgiato il carattere e la mentalità. Inoltre a completare l’opera vi furono i quattro anni spesi ad Army, sotto un sergente di ferro come Bobby Knight, dove eccelse come difensore sul portatore di palla e come ball handler. Dopo cinque anni di servizio militare il capitano Krzyzewski ottenne il congedo e si aggiunse al coaching staff di Knight, dove restò per un anno come graduate assistant coach. Nel 1975 tornò a Wes Point come head coach per cinque stagioni, l’ultima conclusa con un mediocre record di 9-17 per i Knights.

Nella primavera del 1980 l’athletics director di Duke Tom Butters si trovò a dover individuare il sostituto per la panchina dei Blue Devils di Bill Foster, il coach che aveva portato l’ateneo del North Carolina al suo primo championship game solo due anni prima. I giornali locali e nazionali si sbizzarrirono sul nome del possibile sostituto, anche se le candidature più solide sembravano quelle del precedente assistente di Foster sulla panchina di Duke  Chuck Daly, del coach di Old Dominion Paul Webb e del coach di Mississipi  Bob Weltlich.

All’annuncio di un carneade come Krzyzewski tali previsioni si rivelarono irrimediabilmente sbagliate, alimentando un alone di curiosità sul misterioso protetto di Knight, scelto per la panchina di uno dei programmi più ambiziosi del panorama collegiale statunitense.

Inizialmente Butters era fortemente indeciso sul dare il lavoro ad un allenatore senza pedigree e dalla scarsa esperienza, tuttavia alla fine diede ascolto al proprio istinto e procedette con l’ingaggio.

Successivamente l’athletic director di Duke rivelò che ad essere decisiva per la sua scelta fu l’opinione del vulcanico allenatore di Indiana sul suo giovane discepolo. Infatti quando Butters chiamò Knight per avere informazioni su Krzyzewski , il suo commento fu il seguente:  “Se le piaccio come allenatore di pallacanestro, c’è un uomo che possiede tutte le mie buone qualità e nessuna di quelle cattive”.

Duke introdusse il suo nuovo allenatore il 20 marzo 1980, di fronte ad un nutrito gruppo di reporter che non aveva mai sentito parlare del coach di Army o sospettato che fosse candidato per il lavoro, e di cui non erano nemmeno in grado di pronunciare il nome.

“Si pronuncia  sha-CHEFF-skee”, spiegò il nuovo coach. “Si scrive K-R-Z-Y-Z-E-W-S-K-I, e se pensate sia difficile, dovevate sentirlo prima che lo cambiassi. Per quelli che non sono in grado di pronunciarlo, potete semplicemente chiamarmi Coach K.”

Gli inizi per Coach K sulla panchina dei blue devils furono tutt’altro che semplici, e dopo alcune stagioni piuttosto opache, il suo nome finì sulla graticola dei media, oltre che inviso ad alcuni importanti finanziatori dell’ateneo, che fecero pressioni su Butters per il suo licenziamento.  La risposta dell’athletic director fu quella di convocare Krzyzewski nel suo ufficio: “Entrò, si sedette, e gli dissi che avevamo un pubblico che non capiva quanto fosse bravo. E che il problema maggiore per me era che lui non fosse conscio del suo valore. Successivamente, aprii il mio cassetto e gli proposi un nuovo contratto di cinque anni.”

Questa decisione molto lungimirante da parte di Tom Butters ha portato Duke a diventare uno dei programmi di riferimento della pallacanestro NCAA, di pari passo con l’ascesa di Coach K nell’empireo degli allenatori. Quattro titoli NCAA e undici final four, di cui cinque consecutive, hanno contribuito a creare la leggenda di un grande maestro che nel 2004 era atteso ad una nuova grande sfida della propria carriera.

I mondiali giapponesi del 2006 furono il primo banco di prova per il rinnovato corso di Team USA, un team giovane e talentuoso, con 4 superstar affermate come James, Anthony, Bosh e Wade e tre futuri all- star come Paul, Johnson e Howard. Il team fece segnare percorso netto fino alle semifinali, dove si scontrò contro una coriacea Grecia, guidata in regia dal califfo Papaloukas. L’inesperienza nel contesto FIBA di molti elementi e l’incapacità di difendere il pick and roll di Schortsanitis ha portato ad una sconfitta dolorosa ed inaspettata, parzialmente compensata dalla conquista della medaglia di bronzo.

Il percorso di avvicinamento ai giochi di Pechino iniziò con il torneo delle Americhe svoltosi a Las Vegas nel 2007, che un Team USA ricco di star e di talento vinse senza difficoltà conquistando il pass olimpico. Il tasso di talento messo in campo da Team USA ai giochi di Pechino, impreziosito dalla presenza di Kobe Bryant, era così alto da fornire pochi dubbi sul risultato finale della spedizione olimpica. Le difficoltà maggiori che si presentarono di fronte a Coach K riguardarono la gestione dell’ego delle proprie stelle e la ripartizione dei minuti da concedere ai giocatori facenti parte dell’organico. Il risultato fu sotto gli occhi di tutti, le stelle si ripartirono gloria, cifre e responsabilità e il cammino trionfale del team a stelle e strisce culminò in una finale per l’oro contro la Spagna che verrà probabilmente ricordata come una delle più belle partite mai giocate su un campo FIBA.

La sfida che attendeva Mike Krzyzewski agli ultimi mondiali era decisamente molto impegnativa, con un team completamente diverso da quello dei giochi del 2008, dall’età media molto giovane, e praticamente privo di esperienza con il gioco FIBA. I punti deboli erano evidenti, la mancanza di una point guard affidabile in un contesto di gioco differente da quello NBA e la scarsità di centimetri e stazza sotto canestro, con Odom spostato in posizione di centro per coprire questa lacuna strutturale. Coach K è stato magistrale nel limitare queste debolezze e nel monetizzare al massimo i punti di forza di un roster giovane ed atleticamente esplosivo. La pressione sulla difesa individuale messa dai giocatori di USA Team ha permesso ripartenze veloci e facili conclusioni in transizione primaria e secondaria, sfruttando appieno le doti di atletismo e dinamicità dei giovani atleti in maglia stelle e strisce. L’esplosione e la definitiva consacrazione a stella di caratura mondiale di Kevin Durant ha permesso di sopperire ai giri a vuoto e alla cronica difficoltà del giovane team statunitense di attaccare le difese schierate. Team USA ha così concluso imbattuto il proprio cammino al mondiale turco, con un’autorevolezza tale da far credere che il divario tra USA e resto del mondo possa essersi allargato anziché ristretto. A Coach K va il merito di aver gestito e motivato un gruppo di giovani talenti alla prima grande esperienza internazionale. Coniugando doti di fine psicologo ed abile tecnico, è riuscito a conquistare un risultato che alla vigilia della manifestazione appariva tutt’altro che scontato.

I prossimi impegni in agenda? Londra 2012 sicuramente, ma prima di tutto i suoi ragazzi lo aspettano a Durham per  la difesa del titolo NCAA conquistato lo scorso Aprile.

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