E’ stata una fantastica chiacchierata quella fatta con Samuel “Sam” Aldegheri e il suo viaggio verso le Major League Baseball e l’esordio con gli Angels di Los Angeles. Qui sotto trovate l’intervista fatta con lui.

Il 30 agosto 2024 segna una data importante per il baseball italiano. Per la prima volta in assoluto nella storia della Major League Baseball un italiano nato e cresciuto nel nostro belpaese fa l’esordio come lanciatore partente per una squadra professionistica americana. Nato nel 2001, cresciuto a San Martino Buon Albergo, comune in provincia di Verona, che conta 16.408 abitanti. Sei arrivato fino a Los Angeles che ne fa qualcuno in più. Di strada ne hai fatta. Raccontaci come ti sei avvicinato al baseball in un paese, l’Italia, prettamente che ama il calcio.

Dovevo andare a giocare a calcio perché mio papà era un calciatore da giovane, solo che i miei genitori non avevano molto tempo per portare mio fratello più grande Mattia a fare nessun altro sport e quindi un’amica di famiglia chiese a mia madre se volesse accompagnare mio fratello con suo figlio a provare il baseball che ai tempi nessuno aveva sentito in casa.  Mio fratello iniziò a giocare e io da fratellino più piccolo ovviamente ho iniziato a seguirlo. Poi mi ricordo che da piccolo un altro allenatore, sempre qua di zona, abbastanza conosciuto, che si chiama Stefano Burato, allenatore della Nazionale Under-12 per molti anni, è venuto a chiedermi se volesse provare. A quattro anni ovviamente gli dissi sì, perché no, e da lì mi innamorai del baseball.

Però dal campionato italiano alle Major League ce n’è di strada. Sei passato attraverso le “minors”, ovvero quelle serie che fanno da preparazione verso chi forse riuscirà poi ad esordire nella Major League. Sono caratterizzate da delle lettere A-AA(double-A)-AAA(triple-A), dal campionato più piccolo al più grande, cioè dal meno importante alla più difficile, e poi da lì un giorno sei arrivato alle Major League. Come è stato il primo impatto negli Stati Uniti? Quando sei arrivato là per la prima volta?

Sono andato di là a 17 anni, avevo appena firmato il contratto, sono andato con i miei genitori. Mi ricordo che ero contento di iniziare questa avventura, perché comunque era l’inizio dell’inseguimento di un sogno, però allo stesso tempo non sapevo né tutta la cultura americana, non sapevo la lingua, che quello era il più grande problema, non avevo amici, non sapevo proprio nulla.

E mi ricordo che ero spaventatissimo. Mi ricordo che uno dei primi giorni sono tornato in hotel dei miei genitori che mi avevano accompagnato e gli ho detto “guardate, non so se in realtà voglio farlo”.

Poi ovviamente ci ho pensato tutta la notte e alla fine ho deciso di buttarmi in questa nuova avventura e provarci, anche perché sapevo benissimo che l’opportunità che mi aveva dato  Philadelphia non è un’opportunità che hanno tutti i ragazzi, quindi ovviamente mi sono reso conto di quanto ero fortunato. 

Sam, i primi approcci con gli Stati Uniti un po’ traumatici, però fin da piccolo credo tu abbia creduto tanto in te stesso, perché per arrivare fin lì un po’ di fiducia in se stessi la si deve avere. Quali sono stati però i tuoi idoli che ti hanno ispirato, oltre a tuo fratello, per arrivare fin lì, negli Stati Uniti, qualche lanciatore del Major League che è stato il tuo idolo, o che lo è tuttora?

 

Io sono cresciuto guardando Clayton Kershaw, lanciatore dei Los Angeles Dodgers. Era uno dei pochi mancini che stava andando molto bene nella Lega, era appena arrivato, era giovane, e mi ricordo che era uno dei pochi lanciatori che potevo guardare su YouTube o anche che trasmettevano ancora in TV. Quindi la sua meccanica, il suo modo diverso di lanciare, mi è subito piaciuto e lui l’ho preso proprio come un esempio.

Però il tuo primo idolo assoluto è stato tuo fratello Mattia. Ho ascoltato alcune tue interviste e ovviamente si va per emulazione, si va per cercare di imitare quello più grande e l’hai fatto piuttosto bene, anzi, forse hai superato il maestro?

No, non penso di aver superato ancora il maestro. Diciamo che lui ha una testa molto matura e ancora adesso, nonostante gioco a livelli più alti dei suoi, quando sono di là e anche quando sono qua in Italia, io gli chiedo sempre una mano, gli chiedo sempre di aiutarmi, di darmi consigli. Quindi posso dirti che l’ho superato a livello professionistico giocando, però ne sa molto sul baseball e forse ne sa molto più di me.

Ma veniamo a questa stagione Sam. Hai iniziato con la squadra satellite dei Philadelphia Phillies, città ad est, per poi essere ceduto a fine luglio ai Los Angeles Angels ad ovest. Questo scambio forse, anzi, togliamo il forse, ti ha cambiato la vita?

Sì, mi ricordo che già lo sapevo, già me lo aspettavo, ero un po’ nell’aria che mi sarebbe successo qualcosa. I social li leggo anch’io, quindi vedevo che ci sarebbe stato uno scambio e che probabilmente io sarei stato parte dello scambio. Ne avevo già parlato appunto con la mia famiglia. Non mi aspettavo il momento in cui è successo. Diciamo che è successa una settimana prima della fine del mercato. Il manager mi ha chiamato in ufficio e mi ha detto “devo parlarti”. Al telefono c’era il general manager di Philadelphia che appunto mi ha comunicato che ero stato scambiato. Ovviamente come tutti i giocatori, perché alla fine siamo persone normali, ci sono rimasto male perché era da cinque anni che ero con Philadelphia, avevo avuto amicizie, amicizie che ho ancora tutt’ora. Ho conosciuto tante persone, ho lavorato con gente fantastica; quindi, lasciare un po’ quella famiglia è stato difficile. Però sono andato dall’altra parte con gli Angels che ho trovato altrettanto persone brave, ragazzi che mi hanno aiutato subito, mi hanno accolto a braccia aperte, sono stati subito gentili. Quindi è stato uno scambio subito pesante ma che dopo si è reso diciamo migliore per me.

Arriviamo a quel 29 agosto, è la data in cui ha squillato il telefono mentre ti eri appena alzato, e il tuo manager degli Slash Pandas nella AA in Alabama ha detto “Sam corri qua perché devo dirti una cosa”. Quanto ci hai messo da casa al campo?

Stavo giocando ai videogiochi io e ho visto la chiamata del manager e mi sono subito allarmato perché non è comune che il manager ti chiami. Rispondo ed era lui al telefono, mi fa “devi venire al campo più in fretta possibile devo parlarti”. Io fortunatamente abitavo a 500 metri dal campo, quindi: scarpe, maglietta e sono corso al campo. Penso di essere arrivato là in tempo record, in due o tre minuti ero già nel suo ufficio e appunto lì c’erano i pitching coach. Mi ha chiamato e mi ha detto “Guarda ho due belle notizie. La prima bella notizia è che lanci domani, la notizia ancora più bella è che domani lanci a Los Angeles con la prima squadra”

Boom! E lì eri già seduto o ti sei seduto perché la gravità ti ha portato sulla sedia?

No, no, ero già seduto, mi avevano fatto sedere prima fortunatamente.

Perché tante volte nei film abbiamo visto proprio scene di questo tipo dove il lanciatore, che era nelle minors, riceve la telefonata, gli cade il telefono e poi parte per l’esordio in Major League. Tantissimi film, non è un film, è realtà e la realtà l’ha vissuta il 30 agosto il buon Sam. Arriviamo quel giorno Sam perché è il giorno dell’esordio. Hai dormito la notte prima?

Poco, molto molto poco. Sapevo che la mia famiglia stava arrivando dall’Italia e quindi anche la preoccupazione che non arrivassero in tempo c’era, ovviamente, perché l’ho sempre detto che la famiglia, per me, è il punto principale della mia vita. Quindi sapere che non avrebbero potuto farcela ad arrivare al mio primo lancio, al mio debutto, sarebbe stata una delusione troppo grande. Quindi c’era anche quel pensiero lì. Ho dormito molto poco, ero nervosissimo. 

Siamo a Los Angeles, siamo vicini allo stadio degli Angels e siamo sul pullman o sul taxi o sul mezzo che ti porta verso lo stadio. Mentre vedevi lo stadio degli Angels che si avvicinava qual era il tuo pensiero? Cosa stavi pensando in quel momento?

Stavo solo cercando di concentrarmi e prepararmi per la partita. Io ho una routine molto fissa nei giorni della partita. Alla mattina mi ricordo che sono andato a fare colazione con il mio agente che era volato da New York a Los Angeles per essere presente al mio debutto. Poi sono andato in hotel, mi sono riposato un attimo e quando mi sono svegliato dal riposino la mia testa era solo che stasera devo spaccare. Mi ricordo che sono arrivato al campo, ovviamente mi ha fatto un grandissimo effetto perché era la prima volta che entravano in un campo di Major League, però ero abbastanza concentrato. Dopo invece più il tempo alla partita diminuiva, più iniziavano a tremarmi le gambe.

C’è stato qualcuno all’interno dell’organizzazione degli Angels, qualche giocatore, qualche dirigente o il tuo agente che sicuramente sarà stata la tua ombra lungo quella giornata, che ti ha messo a tuo agio? Oppure c’è stato qualcuno che ha fatto un po’ di nonnismo che si vede nei film con il rookie che arriva e viene sbeffeggiato simpaticamente  da tutti?

No, quello assolutamente no. Forse qualche battutina, ma tutti sapevano che quel giorno sarei partito a lanciare, quindi erano molto gentili. Il mio agente ovviamente ha fatto di tutto per tranquillizzarmi. Quando sono arrivato al campo, Logan O’Hoppe che era il mio ricevitore per quella sera, tra l’altro, avevo già conosciuto nell’organizzazione dei Philadelphia Phillies perché anche lui era stato scambiato. Mi aveva già scritto, mi aveva detto “tranquillo, rilassati, ho io il piano per la partita, fai quello che faccio io” che già lì mi ha tolto un grandissimo peso dalle spalle. E a parte quello, anche il manager, comunque, Ron Washington, quando sono andato a parlarci, mi ha detto “Fregatene di quello che c’è lì fuori, tu fai il tuo lavoro sul monte, goditi il momento perché c’è solo un debutto nella vita, quindi divertiti e basta”

Eh sì, perché il lanciatore nel baseball è il ruolo più importante, è il ruolo centrale, anche perché il monte di lancio è al centro del diamante e quindi è davvero importante. Il lanciatore che inizia la partita può determinare la vittoria o la sconfitta della propria squadra. Com’è stato il primo passo all’interno di un diamante MLB?

Fai conto che io ero abituato a giocare davanti al massimo 5.000 persone, quel giorno lì ci saranno state 40.000 persone allo stadio, con bandiere, tutti che mi chiamavano, chiedevano autografi eccetera. Io non ero ancora entrato in uno stadio di MLB fino al momento del riscaldamento e quindi immaginati entrare in uno stadio pieno di persone che ti chiamano. Tu che sei già agitato di tuo perché ovviamente stai realizzando ciò che hai attorno. Quindi mi ricordo che stavo tremando, anche i ricordi che ho non sono molto vividi onestamente, mi ricordo che ero agitatissimo, quello si. 

Noi ci ricordiamo bene quella partita contro i Seattle Mariners, un po’ condizionata purtroppo da una mancata presa dell’interbase o shortstop, se si vuole usare il termine dalla Major League, che non ti ha permesso il terzo out. Senza quell’errore, avresti chiuso il tuo primo inning senza punti concessi. Oddio, a dir la verità non ne hai concessi perché non sono andati a tuo carico, ma a carico dell’errore.  Quell’errore però ti ha un po’ destabilizzato, perché il lancio successivo è stato un hit by pitch e quindi un po’ ti ha scosso quel momento, anche perché diciamo che non avevi le “armi” per gestirlo in quel contesto.

Sì, come diciamo sempre nei lanciatori, controlla quello che puoi controllare. Purtroppo l’errore fa parte del gioco e infatti quando succedono spesso nel baseball, perché comunque è uno sport normale, come succede negli altri sport di fare errori, succede anche nel baseball, io non mi arrabbio mai, anzi cerco di caricare. Però dopo quell’errore lì un attimo ho sentito un po’ più di tensione, infatti il lancio dopo ho colpito il battitore, il lancio dopo ancora mi sembra che ho ricolpito un altro battitore. Ho fatto un po’ di fatica a sistemarmi la testa, però alla fine comunque sono riuscito a chiudere l’inning

Prima partita, purtroppo, una sconfitta. Nella seconda partita però forse la partita perfetta per te contro i Texas Rangers, campioni in carica, quindi non una squadretta qualunque: sei inning lanciati e prima vittoria. Un solo punto a tuo carico, che partita Sam! Il giorno dopo tutti parlavamo di quella partita, con le occhiaie ovviamente, perché si è giocato alle 4 del mattino.

Sì, io personalmente dopo un paio di giorni che ero comunque con la prima squadra mi era già quasi ambientato. Oddio, tante cose come i voli privati, lo chef…ci sono cose che nelle leghe minori vedi col binocolo veramente. Forse non mi abituerò neanche la prossima stagione, perché come sono organizzati è proprio da professionisti. Ero più tranquillo, quel giorno lì ero molto tranquillo, sono andato a fare la colazione, sono andato al campo, ho messo le mie cuffiette, ho iniziato il riscaldamento, ma non sentivo lo stesso peso che sentivo la settimana prima. Infatti, ho iniziato il riscaldamento e quando sono uscito in campo, mi ricordo che mi sono detto “la parte difficile è andata, adesso è il momento di godersela, fai il tuo lavoro e goditela” E quindi sono entrato proprio con un’altra mentalità in campo e ho dimostrato quello che sapevo fare.

E diciamo che è andata piuttosto bene. Come mai gli Angels, dopo la terza partita, che non è andata benissimo, hanno deciso di fermarti per la stagione, anche se mancavano qualche partita ancora?

Allora, io ho iniziato il riscaldamento della terza partita con un dolore al dito. Avevo una bolla piena di sangue e durante il riscaldamento la bolla è scoppiata e ho iniziato a sanguinare. Ho deciso di andare sul monte perché sono una persona forse troppo competitiva e infatti sono andato sul monte e non ho tirato bene, anzi è andata abbastanza male. Sono riuscito a finire il primo inning e anche il secondo e ho deciso anche di dire sì per il terzo, quando in realtà magari avrei dovuto già fermarmi prima. Lì la bolla è proprio esplosa, il dito è iniziato a sanguinare, loro mi hanno cambiato, è entrato un altro lanciatore e il giorno dopo hanno visto che comunque la ferita non si sarebbe rimarginata in tempo e visto che avevo solamente due partite dalla fine della stagione hanno deciso di fermarmi proprio e mandarmi a preparazione invernale.

Parliamo di futuro: sarai ancora a Los Angeles o avrai pietà di noi e verrai verso est? Così ti vediamo verso le 7 di sera magari ogni tanto.

Allora io andrò in Arizona per la preparazione a metà gennaio, fine gennaio. Da lì avremo un camp che dura fino a fine marzo che si chiama appunto lo Spring Training. Giocheremo amichevoli e poi ad aprile la squadra ritornerà a Los Angeles. Nello Spring Training mi dovrò giocare il posto in squadra, perché adesso si annulla tutto. 

Faremo il tifo per te Sam. Tutta l’Italia ti spingerà verso la tua seconda stagione da professionista negli Stati Uniti. Abbiamo detto Italia. Non è stato ancora un matrimonio con la nazionale che si è compiuto, purtroppo. Quanto vuoi vestire con la nazionale e soprattutto perché il 66 come numero che credo manterrai anche con la nazionale?

La domanda più facile è perché il 66 me l’hanno dato. Sono entrato in spogliatoio e quello era il numero e mi sono fatto andare bene. Ovviamente non ho discusso, anzi mi sono fatto andare più che bene. La nazionale è una cosa che è da anni che comunque vengo richiesto alle società. Se la squadra non ti dà il permesso, che è quello che è successo a me, tu non puoi andare a giocare, ovviamente. Adesso ci sarà il Mondiale nel 2026: quello è il primo obiettivo, poi ci saranno le Olimpiadi a Los Angeles nel 2028. Però c’è una regola che vedremo se cambieranno, dove dicono che i professionisti non possono giocare. Spero che quella regola cambi perché le Olimpiadi sono il sogno di qualsiasi sportivo al di fuori degli Stati Uniti. Per loro viene prima il Mondiale e poi le Olimpiadi.

 

Sai cosa avresti dovuto fare quando sei entrato negli spogliatoi degli Angels? Avresti dovuto dire “Qual è stato il numero di Othani(ex giocatore e lanciatore proprio degli Angels, ndr)? Ecco voglio quello”….Magari partivi un po’ too much.

Penso che avrei fatto una sola partita e mi avrebbero rimandato in AA(ride)

Forse ero un po’ esagerato però dai Sam, è stato un esordio pazzesco davvero il tuo. È un sogno che poi tanti bambini vogliono realizzare perché, diciamolo, dopo il tuo esordio nelle Major League in Italia, proprio nella tua squadra in provincia di Verona, tanti bambini hanno chiesto di giocare a baseball perché Samuel aveva giocato a baseball ed era riuscito a fare l’esordio in Major League. Quanto ti rende orgogliosa questa cosa?

 

Tanto! Veramente, veramente tanto! C’è stata una crescita anche richiesta per venire a giocare a baseball. Io ho fatto più meeting, raduni. Sono andato a Parma, poi a Torino, ne ho fatti anche alcuni qua in zona(Verona) dove appunto venivano i bambini e proprio li vedi negli loro occhi un sogno. Vedi quella scintilla che avevo anch’io quando ero piccolo quindi mi riconosco in loro e vederli emozionati, tremolanti davanti a me solo perché gioco in Major è un orgoglio grandissimo. Io veramente auguro a tanti di riuscire a farcela come me.

Bene Sam, abbiamo fatto una bella chiacchierata. Spero che chi abbia letto fino a questo momento si sia fatto un’idea di chi sei: un ragazzo semplicissimo, un ragazzo però determinato…molto determinato, perché in un mondo di squali come lo sport professionistico americano, in qualsiasi lega, ci vuole davvero del fegato per mollare tutto, andare negli Stati Uniti e provare il proprio sogno. E tu Sam, per il momento l’hai realizzato e ovviamente il tifo dall’Italia è quello di completarlo e di rimanere agli Angels o nell’MLB più lungo possibile diventare il più grande lanciatore italiano della storia nel baseball, perché te lo meriti anche per come hai affrontato questo primo inizio di tua carriera. 

Grazie mille per le belle parole. Ce la metterò tutta!

One thought on ““Un lancio per la storia”: l’intervista a Samuel “Sam” Aldegheri

  1. Grande Samuel! In genere, durante la stagione regolare, guardo solo le sintesi delle partite dei Padres, ma ammetto che quando ha giocato lui il mio primo pensiero è stato di andare a vedere le sintesi degli Angels. Spero di vedere molte sintesi degli Angels anche il prossimo anno 😁! Speriamo poi che ce la faccia a entrare in nazionale, perché le olimpiadi sono un torneo breve e il baseball, sul breve termine, è uno sport totalmente imprevedibile: magari facciamo il colpaccio!

    Complimenti a Samuel e complimenti a te sia per l’intervista sia per il tuo nuovo podcast.

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