Ventidue anni dopo l’incredibile upset sugli Yankees nelle World Series 2001, i Diamondbacks ne completano un altro oggi, battendo 4-2 all’ultimo respiro gli strafavoriti Phillies alle NLCS. Una serie ricca di colpi di scena che ha preso la via del deserto proprio nel momento in cui Philadelphia sembrava aver ottenuto il break decisivo in gara 5, pronta poi a spostarsi nel fortino del Citizens Ball Park per chiudere i giochi!
L’equilibrio di questo Championship si era già palesato in RS, coi Phillies vincenti 4-3 per 9 run di differenziale (44-34) in 7 gare clutch da massimo 3 punti di scarto. L’86% di rating nelle rubate da parte dei D-backs, responsabile del secondo posto MLB con 166, era l’arma predicata da Lovullo per stanare i formidabili slugger rivali, sotto media appunto negli assist sui basestealers.
Analizzando le statistiche possiamo proprio dire che tale fattore abbia effettivamente inciso nell’ultima parte di questa serie: se fino al quinto match i “serpenti” ne avevano rubate soltanto una, l’aggressività di gara 6 e 7 (8 steal) risulterà infatti determinante per vincerla.
Con due assi del calibro di Wheeler e Gallen gara 1 non può quindi che finire in bilico come le altre. Philadelphia però si imporrà sì soltanto 5-3, ma sostanzialmente dominerà la partita raddoppiando le valide avversarie, e il rinomato partente D-backs non avrà mai scampo, subendone 8 delle 9 totali per tutti e 5 i punti a tabellino.
I fuori campo di Schwarber, Harper e Castellanos anticipano le singole sempre dell’ex MVP e di Realmuto, prima che il bullpen di Lovullo chiuda la porta. E’ qui che l’home run ricevuto da Wheeler di Perdomo nell’alto sesto, che porta a casa Longoria, e la volata di sacrificio di Thomas nel settimo con Dominguez sul colle, riaprono la partita. Alvarado e Kimbrel però controlleranno senza patemi il risultato dando a Rob Thomson l’1-0.
Nel secondo episodio non ci sarà bensì mai storia, vista la prodigiosa performance di Nola, che migliorerà lo score del giorno precedente del suo più illustre collega: 6 IP, 3 H, 7 K, 82 lanci, 17 eliminati e soprattutto zero punti subiti! Dignitosa eccome anche la partita di Kelly, che resisterà in collina per 85 pitch, incassando nei bassi primo, terzo e sesto le uniche valide sui fuori campo singoli di Turner e Schwarber, prima di essere sostituito a metà del sesto frame e vedere dal dougout Mantiply e Nelson sprofondare nei due successivi.
I doppi di Realmuto e Bohm portano infatti a casa Stott, Turner, Harper e Schwarber, mentre il singolo dello stesso catcher e la sacrifice fly di Castellanos fissano la serata sull’umiliante 10-0!
Gara 2 sarà ricordata per i numerosi primati da fuori campo che Philadelphia infrangerà nella storia delle postseason: più lunga striscia di solo home run (13), record con 15 in 4 partite consecutive di playoff, maggior differenziale (+15), settimo posto di sempre per Schwarber (18) e pareggio nel quarto multihomer match individuale con gli Angels (2002) e gli stessi Phillies del 2009!
A questo punto però la resilienza che ha portato fin qui i D-backs ribalta la serie, con due match quasi fotocopia nel Chase Field. In primis gara 3, vinta alle conte 2-1 grazie al singolo walk-off di Marte a basi cariche con Kimbrel sul monte, che lo porterà al terzo posto di sempre per hit consecutive (12) al debutto PO.
Una partita nella quale i padroni di casa lasceranno in base ben 6 uomini e triplicheranno le valide rivali, ma che comunque sbloccheranno solamente nel settimo parziale col doppio di Gurriel, che manderà a casa il velocissimo Thomas, per l’appunto pinch runner di Pham. In precedenza Phila era passata in vantaggio sul lancio pazzo di Thompson dopo il walk di Harper, la singola di Bohm e una doppia eliminazione che comunque permetterà allo stesso Harper di arrivare in terza. Immacolata la serata al lancio per Suarez e soprattutto Pfaadt, che eguaglia i primati di Randy Johnson con 6+ strikeout in tre inning da playoff e sfiora quello per K (9) senza basi ball per un rookie.
Gara 4 finisce invece 6-5, ancora una volta in rimonta e sempre con Kimbrel perdente, lui deleterio in questa postseason come molti altri futuri hall of famer (Scherzer, Kershaw e Chapman su tutti), arrivati forse a fine corsa. Arizona la sblocca nei bassi secondo e terzo con le singole di Rivera, prima che Schwarber risvegli i suoi, superando Reggie Jackson fra i mancini col maggior numero di hr ai PO (19).
Infatti, dal quinto inning in avanti Marsh, Bohm e la volata di sacrificio di Turner allungano il risultato per gli ospiti verso un tranquillo 2-5. Ma ecco che i Diamondbacks resuscitano di nuovo dal settimo frame in avanti, quando il bullpen game di Thompson crolla definitivamente in Soto, Kerkering, l’ex Red Sox e Alvarado, sulla valida di Romero e in precedenza nel fuori campo di Thomas, ancora determinante da subentrato.
Tocca a Wheeler rimettere le cose a posto in gara 5 con una prestazione d’autore: 7 inning che sfiorano i 100 lanci per un solo punto a carico, quello sul fuori campo del solito Thomas a inizio settimo. In precedenza Stott, Harper e Schwarber avevano portato Phila avanti 4-0 e quest’ultimo era divenuto il secondo giocatore nella storia della franchigia a battere 5 Hr in una singola serie playoff. Realmuto poi allunga definitivamente mandando sugli spalti la cutter di Frias per il 6-1 Phillies, risultato che però non rispecchia appieno l’ennesimo equilibrio in campo. Non bene ancora una volta Gallen.
Quando in gara 6 appare Nola sul monte, in vantaggio 3-2 e con la prospettiva di due eventuali partite dentro al focoso stadio casalingo per chiudere la serie, tutta Philadelphia è già pronta per la festa. Arizona però martellerà il forte partente sin dallo start con 3 run a firma Pham, Gurriel (due fuori campo) e la doppia di Longoria che porta a punto Thomas.
Parziale che aumenta nel top del quinto – dopo che Marsh aveva accorciato le distanze – grazie al triplo di Marte e si conclude sempre con Marte che batte singolo contro Kerkering. A sorpresa esce indenne dalla sfida Kelly, impeccabile per 5 frame da 90 lanci e 8 K.
I Diamondbacks espugnano definitivamente Philadelphia nel winner take all di gara 7, vincendo sì per l’ennesima volta in modo clutch, ma dominando di nuovo le statistiche su valide e rubate, dimostrando aggressività e forza interiore inedite per superstar comunque giovani quali Carroll e Moreno, decisivi dall’inizio del quinto inning coi Phillies avanti 2 a 1 (punto di Carroll, fuori campo Bohm e doppio Stott) con due singole e una sacrifice fly che valgono il 4/2 conclusivo.
Determinanti anche gli ingressi sul monte di Ginkel e Sewald che eliminano gli ultimi 8 battitori senza problemi, mentre la disperata mossa Wheeler a fine dell’alto settimo non serve più a nulla.
Un Fall Classic inedito quello fra Arizona e Texas per la felicità di noi amanti del baseball underdog: una serie senza favoriti che celebrerà comunque vada due team assolutamente fuori dalle quote di Vegas ad inizio anno, e perciò vincitori a prescindere.
I Phillies invece rimpiangeranno a vita il finale di una stagione che li vedeva a detta di tutti ormai sul trono del mondo, ma mancati poi inesorabilmente in quelle close situation loro pane quotidiano. Un’occasione che potrebbe non ripresentarsi mai più!
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.
L’altra finale è andata come avevo immaginato, questa mi ha completamente spiazzato: pensavo che i Phillies vincessero 4-1, al massimo 4-2, e che poi sarebbero andati a prendersi anche le “World series”. Invece i Diamondbacks non si sono mai arresi, anche quando sembrava che espugnare due volte il campo di Philadelphia fosse un’impresa impossibile: complimenti davvero.
Già prima di queste due finali, leggevo molte critiche provenienti da Oltreoceano sul nuovo formato dei playoff: dicevano che non ha senso una stagione da 162 partite, se poi una squadra da oltre 100 vittorie viene eliminata in un turno al meglio del 3 o delle 5 da una squadra con 85 vittorie. Dicevano anche che saltare il primo turno può essere uno svantaggio, perché si perde il ritmo. Figurarsi cosa diranno adesso, che sono arrivate alle “World series” una testa di serie n. 5 e una testa di serie n. 6!
Io non riesco a farmi un’opinione: capisco sia le ragioni di questi critici, sia quelli che dicono che aver allungato la zona playoff ha contribuito a dare un obiettivo a squadre che sennò ad agosto sarebbero già state di fatto eliminate. Forse un sistema perfetto non esiste.