Finaliste di uno splendido Championship 2020, Tampa Bay e Houston ripartivano con addosso gli occhi di tutta l’America, scettica nel prevedere identici successi in una tornata da 162 gare e senza playoff allargati.
Invece le due franchigie hanno dominato in largo e lungo le proprie division, dimostrando sul campo una coesione tattica maggiore al resto delle rivali in AL, e si preparano dunque per l’ennesima postseason da protagoniste.
Gli Astros sono contender continui, e le cessioni in battuta non stravolgono l’eccezionalità di un reparto che alle stelle originarie ne riesce sempre ad imporre altre senza ridurre fit qualitativi, sebbene sia spesso privo di un campione come Bregman.
Il lineup rasenta la perfezione in contatto, dato che da Aledmys Diaz fino a Gurriel – giocatore esploso tardi e ormai costante breakout nonché leader in valide e Obp – si passa dal .277 al .316 con ben 9 uomini: numeri sbalorditivi, per di più se l’unico al ribasso, il catcher Maldonado, è però tra i migliori di lega in Fielding %!
Lo stesso Yuli e Brantley primeggiano nell’olimpo Major, a un tiro di schioppo dai profili MVP Guerrero Jr e Nick Castellanos, mentre nella top 45 i texani possono vantare la bellezza di 6 elementi totali: clutch star del calibro di Correa, Altuve, Tucker e Alvarez! Musica per le orecchie di Dusty Baker Jr, magistralmente coadiuvato da Troy Snitker e Alex Crinton, responsabili di tale magniloquenza.
Tuttavia, se la postseason e il gagliardetto divisionale sono quasi in cassaforte, è anche per merito di un monte affidabile e ricco di pezzi prelibati, che non hanno fatto rimpiangere l’assenza di Verlander, pronto purtroppo solamente nel 2022.
Ovvio, il brillante che luccica è Luis Garcia, venezuelano rookie delle meraviglie che a suon di prestazioni spaziali si è conquistato lo spot in rotazione, dove il finalmente sano McCullers si è confermato un asso di prima grandezza; stesso discorso per Urquidi, appena ventiseienne ma garanzia in costanza e resilienza.
Con lo skipper ad insistere su una ripresa di Odorizzi, il plotone viene poi chiuso dalle certezze Greinke e il mancino Valdez, il Gold Glove ex D-Backs numero uno negli inning pitched e in coabitazione a McCullers per W, il dominicano al vertice per ERA.
Non mancano le stelle nemmeno nel bullben, granitico ed efficiente in Pressley (23 salvezze) e Stanek (18 Hold), e in Javier e Taylor, ma rimpinguato e rinforzato causa infortuni nelle trade per Toro, Straw e De La Cruz dai destri Graveman, Yimi Garcia, Maton e Montero.
I Rays sono invece un “miracolo continuo” e il loro regno nell’American League imbarazza le antagoniste più ricche, Yankees, Angels e Red Sox su tutte.
Un payroll periodicamente ridimensionato va infatti in simbiosi con la continua scoperta e valorizzazione di gioielli preziosi quali Kiermaier, Wendle o Philips; inoltre, ogni mossa facciano sembra avere una benedizione divina, partendo dal due volte All-Star Chris Archer, all’origine barattato per Meadows e Glasnow e oggi ironicamente assieme a loro, fino ad arrivare alle cessioni sulla collina, ora priva di starter convenzionali e del closer Castillo ma lo stesso ai vertici per ERA (3.72), SO (1,290), WHIP (1.199) e media avversaria (.235), grazie anche alla brillantezza dei jolly difensivi nei Putouts e Fielding %.
La trade per Adames poi, addirittura ipotetico franchise qui, ha del clamoroso: con Walls già lanciato nel ruolo di interbase difatti, Erik Neander ha permesso a Cash di rivitalizzare un monte di lancio in apnea (tuttora out Glasnow, Springs, Thompson e Wisler) con due duttili rilievi/opener quali Rasmussen e Feyereisen, subito trasformati dallo skipper mago, e di buttare finalmente nella mischia il top prospect Wander Franco, dopo mesi in naftalina.
Bene, la sua risposta e l’ambientamento sono stati al limite del fantascientifico, e nel momento in cui scriviamo, oltre a stats prodigiose a .290BA/.823OPS/133OPS+ in 270 apparizioni al piatto, il ragazzo dominicano ha la più lunga striscia attiva in base del campionato (36), il che equivale niente meno che al record under 20 di sua maestà Mickey Mantle!
E sì che puntare sui giovani in questo lato di Florida è routine, basti vedere cosa sono diventati oggi Arozarena e Lowe, il primo probabilmente dietro solamente ad Adolis Garcia nella corsa a ROY ed ambedue bomber assieme a Zunino – numero 1 tra gli slugger catcher – e il prossimo UFA Nelson Cruz, investimento che esemplifica le mire egemoniche da playoff, fra gli autori di quasi 200 Hr e più di 700 Rbi.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.
I risultati di queste due squadre parlano da soli: gli Astros sono uno dei team più continui della MLB anche perdendo stelle sul monte e nel line-up; i Rays hanno iniziato in testa e finito in testa, cosa è possibile dire “contro” di loro? per me niente, se non complimenti. Entrambi poi giocano in division molto competitive. I Rays giocano nella stessa degli osannati, ricchissimi, pieni di mazze roventi e pitcher stellari degli Yankees e in quella dei Red Sox una delle squadre storicamente più forti e negli ultimi anni anche vincenti. Questo anno poi avevano in competizione anche Toronto che era un mix di talento, esplosività, giovinezza e voglia di vincere, eppure i Rays non hanno mollato un centimetro, di nuovo complimenti a loro. Gli Astros giocano invece nella division degli A’s amati da tutti, pieni di talento, dati ogni anno per coloro che compiranno l’impresa di “vincere con pochi soldi” e degli Angels corrazzata con 2 delle star più luminose della MLB, accreditati ogni anno per arrivare almeno ai p.o. e ogni anno finiscono per stare dietro a compagini meno forti. Quest’anno ci sono stati anche i Mariners, partiti malissimo, con le mazze sgonfie e finiti ad un passo dai p.o. Insomma volevo dire che sia gli Astros che i Rays non hanno certo avuto la strada spianata verso il titolo divisionale, ma hanno dovuto sudarselo e non poco contro rivali, sulla carta quantomeno, più forti di loro.