02/11/2016. Una data che il North Side di Chicago, e probabilmente pure i nemici giurati del South Side, non scorderà mai.
108 anni. Ritorno al Futuro ci scherzava sopra quando Marty McFly, proiettato avanti nel tempo, vede la scritta CUBS WIN! a caratteri cubitali. Pensare che hanno sbagliato solo di un anno, dato che il buon Marty se la spassava in un bizzarro e surreale 2015.
Chicago tiene sulle spine una città, un popolo intero: 7 partite contro gli Indians di Lindor e Ramirez. 4 a 3, siglato proprio in quella data magica riportata ad inizio articolo.
Uno dei game 7 più entusiasmanti della storia. Il nostro Lucio di Loreto, ai tempi, ci aveva visto giusto.
Tra gli eroi di quella partita ci sono giocatori che hanno lasciato, come Aroldis Chapman, che ora fa da closer per gli Yankees. Alcuni sono rimasti, come Kyle Hendricks, starter in quella partita, ed anche Wilson Contreras, centro all-star. Jason Heyward, che con il suo discorso a partita in corso, reso possibile da un rain delay che ora sa di destino, risollevò psicologicamente i suoi, portandosi decisamente più vicino alla vittoria. Rimane al Wrigley Field da leader.
Ma in questo articolo, non siamo qui tanto per parlare di chi è rimasto. Vogliamo parlare di chi se ne è andato.
Il Baseball, come mi hanno insegnato persone che lo seguono da molto più tempo di me, è uno sport schietto. Quando le cose non vanno come dovrebbero, si cambia. E lo si fa senza mezzi termini: tabula rasa, e ripartiamo da zero.
Questa stagione non era partita, e non stava andando, poi così male per i Cubs. Ma la sensazione era quella di non aver più in mano le carte, o l’amalgama, per finire in bellezza.
Grilletto tirato, sparo assordante: se ne va Kris Bryant, se ne va Anthony Rizzo, se ne va Javi Bàez.
Tre pezzi da novanta, giocatori che fanno gola a tutti: KB, che condivide quelle iniziali che rievocano ricordi di un numero 24 che ci ha lasciato troppo presto, finisce ai Giants, resuscitati in questo 2021.
Rizzo si aggiunge al nuovo “Murderers’ Row” degli Yankees, andando a riempire quel vuoto difensivo in prima base e lasciando così a LeMahieu la sua seconda.
Javi infoltisce la schiera di talenti dall’altro lato della Grande Mela, quello blu e arancio dei Mets, formando un’accoppiata di shortstop da MVP con quel Lindor che affrontò proprio nelle magiche finali 2016.
Bryant è un 4 volte all-star, rookie dell’anno del 2015 ed MVP della National nel 2016, quando vince anche l’Hank Aaron Award, riservato al miglior battitore della propria lega.
Uno slugger capace di mandarla fuori dallo stadio con facilità, la sua torreggiante presenza nell’outfield gli permette di prendere palle apparentemente irraggiungibili. Sicuramente conosciuto più per il suo strapotere offensivo, Bryant è versatile anche sul campo potendo occupare anche la terza e la prima base.
Kris è stato amato dai tifosi Cubs fin dal primo giorno, e rimane un giocatore, a 29 anni di età, capace di performance da MVP.
Rizzo è un 3 volte all-star, ma è soprattutto un 4 volte Gold Glove nella posizione di prima base. Difensivamente, è uno dei migliori giocatori della MLB, indipendentemente dal ruolo. Senti spesso i cronisti americani definirlo “un gigante dal tocco delicato”, Rizzo combina potenza nella battuta con riflessi e, appunto, sensibilità sul campo.
Anthony dovette attendere un po’, ma arrivò a Chicago giusto in tempo per diventare un giocatore di livello elitario: scelto da Boston, non mette mai casacca Red Sox e passa in trade ai Padres, dove gioca una stagione per poi passare proprio al blu dei Cubs. Il resto è storia.
Bàez invece ha 2 apparizioni all-star, Gold Glove nel 2020 e Silver Slugger nel 2018, soprannominato “El Mago” per le giocate difensive impossibili che tira fuori dal nulla, Javi è entusiasmo fatto guantone quando sul campo, mentre alla battuta ha un approccio iper-aggressivo, alternando strikeout secchi a inevitabili facce tristi dei pitcher avversari, quando si vedono un first pitch scaraventato “out of the ballpark”.
Giocatore considerato intoccabile difensivamente, fu eletto Championship Series MVP per la National proprio in quel magico 2016 dove i Cubs fecero la storia.
Un riassunto dovuto, e per nulla sufficientemente evocativo, di quello che sono stati questi tre per i Cubs. Giocatori importanti per quel miracolo da “108 years in the making“. E vederli lasciare così, tutti insieme, con l’aggiunta di Craig Kimbrel, che non era un Cubbie nel 2016 ma che rimane interprete letale del ruolo di closer, finito ai rivalissimi White Sox, fa un po’ intristire. Certo, è il Baseball. Nessuno sconto, nessun rimpianto: quando si ricomincia, si ricomincia.
Eppure l’amaro rimane, perché puoi non tifare Cubs, ma quanto degli atleti riescono a riportare il massimo premio della loro disciplina in un posto dove si sentiva la mancanza da 108 lunghi anni, più di un secolo, prima delle guerre mondiali, prima della rivoluzione informatica, prima del Vietnam e delle proteste degli anni ’60, devi rimanerci male. Anche solo un po’.
Dunque Chicago riparte: Nick Madrigal e Codi Heuer dai White Sox. Pete Crow-Armstrong, e mi immagino la maglia, dai Mets. Alexander Vizcaino dagli Yankees. Canario e Killian dai Giants.
Al momento, sembra ben poco se si pensa a quei tre (più uno) che se ne sono andati. Magari chissà, questi ragazzi cresceranno e porteranno un successo ben prima di altri 108 anni.
Ma quanto dei piccoli miracoli finiscono, perché sempre di sport, e dunque di leggerezza e divertimento, si tratta, rimane sempre un senso di malinconia.
108. Game 7, 02/11/2016. CUBS WIN!
Eroi.
Vittima delle magie di Patrick Kane, mi innamoro dell’hockey su ghiaccio e dei Chicago Blackhawks negli anni d’oro delle tre Stanley Cup. Talmente estasiato dal disco da non poter fare a meno di scriverci a riguardo.
Recentemente folgorato dai Blue Genes di Toronto, e dal diamante in generale.