Nuovo Commissioner per l’MLB, e nuove sfide che attendono Rob Manfred, nella difficile successione a Bud Selig.
E’ vero che quest’ultimo non ha sempre avuto il pieno consenso da parte del popolo del baseball, ma è indubbio che la “pax felix” che dura dallo sciopero del 1994-95, la battaglia contro l’abuso di steroidi, l’introduzione della tecnologia con l’istant replay e tanti altri fattori, portano a una lega sempre più in ascesa come successo e profitti.
A sua volta Selig lascia diversi problemi da affrontare, ma l’attivismo già dimostrato da Manfred fa emergere che il neo Commissioner non vuole rimanere certo indifferente alle sfide che lo attendono, per poter offrire un prodotto sempre più spettacolare ma allo stesso tempo vicino alla tradizione.
Vediamo quali sono i punti importanti da affrontare per la nuova dirigenza della nostra amata Major League.
IL FATTORE TEMPO
3 ore di gioco di media in una hitter’s era ci starebbero, ma le preoccupazioni per l’eccessiva durata del gioco, in unmomento in cui i punti per partita sono in continuo calo (5.14 nel 2007, 4.07 la scorsa stagione), sono ben motivate.
La durata media degli incontri è passata dalle 2 ore e mezza a partita nel 1981, alle 3 ore del 2014, un aumento del 19% che deve essere fermato, per rendere il gioco più veloce senza per forza snaturarlo.
L’idea di un pitcher’s clock, un orologio che costringa i lanciatori ad effettuare il lancio entro venti secondi, pena la chiamata di una ball, è stata sperimentata nella Arizona Fall League, e probabilmente la vedremo nella MLB nel 2016.
Considerando che il tempo medio per effettuare un lancio da parte di un pitcher è stato di 23 secondi nel 2014, non sembra che l’adattamento possa essere così difficoltoso: in media si potrebbe risparmiare 15 minuti a partita, che uniti ad altri 15 minuti guadagnati accorciando la pausa tra un inning o l’altro (o piuttosto facendola rispettare!), riporterebbe il gioco a una sua durata “umana”, e l’orologio sarebbe una forma di suspense supplementare nel suo svolgimento. Anche il battitore sarà chiamato a rimanere nel box di battuta (pena chiamata di uno strike), ma in questo caso basta rinforzare una regola già esistente…
A sua volta, facendo rispettare l’intervallo tra un inning e l’altro (con buona pace dei network tv!), si riuscirebbe a salvare un altro quarto d’ora di tempo: magari non immediatamente, ma scendere a due ore e mezza di gioco in media sarebbe un obiettivo realistico, e se accoppiato a un maggior sviluppo offensivo del gioco, coniugherebbe due elementi: più ritmo in meno tempo…
SHIFTS, CHE PASSIONE
Gli shifts difensivi sono la moda degli ultimi anni, applicati sempre di più anche dai manager meno inclini alle novità. Ma sono veramente così penalizzanti sul gioco offensivo da proporre un loro divieto?
Dal momento che la percentuale di battuta sulle palle in movimento (BABIP per gli amanti delle statistiche) continua ad essere in media sui .300, l’incidenza degli shifts contro i battitori viene ridimensionata, e la prima proposta di Manfred potrebbe non avere futuro, anche perchè difficilmente applicabile (salvo in casi di shift estremo, con intero spostamento dell’infield difensivo da un lato!).
Più rilevante pensare a una modifica della zona di strike, sicuramente responsabile dell’incremento di strikeouts degli ultimi 7-8 anni, come da ultime notizie la MLB sembra effettivamente intenzionata a fare…
PROBLEMI DI STRIKE (ZONE)
Anche perchè la moderna tecnologia ci permette di analizzare le chiamate arbitrali sui lanci, dicendoci che la zona di strike si èespansa dal 2008.
Non perchè gli arbitri sbagliano nei loro giudizi più di prima, anzi, ma proprio perchè dall’osservazione del famoso Pitchf\x (introdotto nel 2006 ) hanno aumentato gli strikes chiamati su lanci bassi, all’altezza del ginocchio, elemento però che non va certo a favore dei battitori.
Gli stessi pitchers ne hanno progressivamente approfittato con un deciso aumento di lanci dall’effetto verticale, e di conseguenza il numero di groundballs è cresciuto di almeno due punti percentuali: numero rilevante parlando di migliaia di palle in movimento, e che anche a causa dei defensive shifts si traduce in eliminazioni più che hits.
I battitori sono quindi spesso costretti a cercare il contatto anche su lanci bassi temendo che venga chiamato uno strike, e questo spiega anche il numero di strikeouts in crescita ormai record.
Si tratta semplicemente di cambiare il regolamento, che non a caso nel 1996 fu modificato a favore dei lanciatori: far tornare la zona di strike alla parte alta del ginocchio, modifica che permetterebbe di “riguadagnare” almeno 400 runs, e fermare l’emorragia di punti (4.07 di media nel 2014 contro 4.16 l’anno prima). Nulla di eclatante, ma una buona sutura per aiutare il gioco offensivo…
TEMPO DI ESPANSIONE?
Forse più che l’espansione di nuove squadre, Manfred dovrebbe prima di tutto risolvere il problema di almeno due squadre attuali, Oakland e Tampa Bay, alle prese con problemi di stadio da risolvere in fretta, e non rimandando come Bud Selig ha fatto da anni riguardo la situazione dei due team.
Ci sono città come Montreal ansiose di riappropriarsi di una squadra di baseball pro anni dopo l’addio degli Expos, e voci di una espansione internazionale a sud (Monterrey e Mexico City) non sono proprio campate in aria.
L’espansione a 32 squadre a sua volta avrebbe effetti positivi, come quello di evitare di giocare l’interleague ogni giorno, dando certamente più valore alle sfide tra AL e NL durante la stagione come fino a pochi anni fa, ma non sembra tra le priorità principali del nuovo Commissioner.
Queste sono solo alcune delle sfide dei prossimi anni, in breve tempo avremo modi di capire meglio le linee guida della gestione Manfred. Per il momento, in attesa del baseball giocato, buona attesa di Spring Training a tutti !
appassionato della cultura americana, dagli sport alla letteratura al cinema della grande nazione statunitense…
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