Qualche giorno fa, stavo facendo un giro su youtube quando mi sono imbattuto in un video di Sports Illustrated che metteva in luce un argomento che mi ha subito illuminato.
Può un atleta sostenere una doppia carriera professionistica? Per gli standard agonistici a cui siamo abituati, sembrerebbe di no, ma considerando chi ha risposto a questa domanda possiamo subito ritrattare la risposta.
Deion Sanders è stato un lampante esempio di questa “pratica”. Scelto dagli Atlanta Falcons con la quinta chiamata assoluta al draft del 1989, l’ex Florida State Seminoles ha portato a termine la sua gloriosa carriera NFL nel 2005, dopo aver vinto due Super Bowl (uno con i 49ers e l’altro con i Cowboys) ed essere stato uno dei più grandi cornerback che lo sport del football abbia mai visto.
Beh, fin qui nulla di strano. Se non fosse che le vacanze estive e, se vogliamo, anche quelle invernali, non era solito passarle in qualche località esotica a rilassare i suoi muscoli messi duramente alla prova durante la faticosa stagione. No, perché il suo secondo “passatempo” preferito era il baseball.
Avete letto bene: il baseball. Siete stupiti? Ma se conosceste la storia di Sanders non lo sareste più di tanto, dato che ai fasti dei tempi del liceo – a Fort Myers, in Florida – era un egregio performante di non uno, non due, ma ben tre sport (!) tanto che qualcuno al dipartimento delle attività sportive del Sunshine State non sapeva dove primeggiasse di più, così gli diede l’onorificenza di All-State in tutte e tre le discipline (qui necessita di doppio punto esclamativo !!).
Quando arrivò al college abbandonò uno di essi, precisamente il basket. Perché era forse quello in cui eccelleva di meno? No, semplicemente perché non avrebbe avuto abbastanza tempo libero da dedicare alla corsa su pista. Insomma, uno sportivo degno di questa nomea, come dimostra un aneddoto che dalle parti del campus situato a Tallahassee conoscono bene.
Si dice (anzi no, è proprio così) che un giorno Deion giocò una partita di baseball, andò a correre la 4×100 e successivamente tornò al campo per giocare il secondo match in programma. E poi uno non si deve chiedere per quale oscuro motivo non abbiano ancora rinominato tutti i campi o centri sportivi dell’ateneo con il suo nome scritto a lettere cubitali.
Fatto sta che Sanders ebbe anche una discreta carriera MLB come esterno, prima per i New York Yankees, poi per gli Atlanta Braves, i (in due diverse occasioni) e i San Francisco Giants, vincendo le World Series del 1992 e diventando l’unico professionista nella storia degli sport americani a conquistare due anelli in discipline differenti.
Ma siccome questo non vuole essere un articolo sulla carriera professionistica di Deion Sanders, tornerei alla domanda iniziale, provando a dare una risposta più pragmatica possibile.
A parte colui di cui ho parlato finora, la storia dello sport americano è piena zeppa di atleti che hanno fatto la spola tra le due leghe ed è, quindi, temporalmente parlando, una cosa alquanto fattibile, dato che il baseball si gioca esattamente quando il football è fermo, cioè tra la primavera e l’estate.
E’ anche vero che a settembre il campionato NFL apre i battenti e comincia a diventare assai improbabile per un giocatore, che sia di certa provenienza di questo pianeta, riuscire a dividersi tra una cosa e l’altra (a meno che non possegga il dono dell’ubiquità o venga clonato).
Ma non è soltanto una questione di tempistiche, bensì contrattuale. Ci sono clausole da sottoscrivere, assicurazioni da fare e soldi da sborsare per un investimento che può dare tanto dal punto di vista del merchandising, della vendita dei biglietti e dell’attenzione mediatica, ma che comporta un rischio in termini economici considerando il fatto che performers di tale portata non si accontentano di poco.
Lo ammetto, il mio è un discorso abbastanza contorto che non tutti sono chiamati a capire o condividere, ma non è colpa del sottoscritto, perché è proprio la questione in sé ad avere un non so che di bizzarro, soprattutto se la rapportiamo alla mentalità di noi europei, o peggio, a quella dei calciatori, che pur giocando una partita a settimana (massimo due, quando va male) hanno anche il coraggio di lamentarsi e di scioperare, oppure di fornire spettacoli indegni di sportività.
Che si sappia, io amo il calcio, ma non sopporto l’ipocrisia che vi sta dentro al giorno d’oggi, in cui i calciatori dovrebbero essere l’esempio per centinaia di milioni di ragazzini in tutto il mondo e, invece, vengono trattati, o si comportano, come delle principesse.
Ma non voglio divagare su simili quisquilie. Voglio solo farvi arrivare il concetto che la mentalità americana è completamente diversa dalla nostra, e non solo quella. Anche sotto il punto di vista atletico le cose sono di gran lunga differenti.
Di qua dall’oceano lo scrupolo con cui vengono preparati i giocatori è per sostenere una quarantina di partite, o poco più, in una stagione intera. Negli Stati Uniti ne giocano almeno il doppio, se non il triplo o il quadruplo (basti pensare alle 162 del baseball), senza contare i playoff.
Certo, nel football si gioca molto meno, ma se affrontassero più di una partita a settimana, non credo che a fine campionato ci arriverebbero in molti.
Quindi, la preparazione atletica è più improntata sulla tenuta muscolare, con parecchie ore di palestra ed esercizi specifici, coordinata da preparatori che come minimo possiedono ottantadue lauree e novantasette specializzazioni l’uno.
Per non parlare dei lunghi viaggi che sono costretti ad affrontare con enorme frequenza, passando da una parte all’altra del paese, rischiando di accumulare una grande quantità di stress psico-fisico, fattore da non sottovalutare per qualunque professionista. In poche parole, l’atleta nordamericano ha sicuramente una marcia in più e può, quindi, sostenere meglio le cosiddette “dodici fatiche”.
Poi, è palese che sia una questione soggettiva e che dipenda dalla resistenza di uno o dell’altro. Sia ben chiaro, non è che Sanders fosse un superuomo o qualcosa del genere, ma era certamente predisposto per sopportare maggiormente tutta quella marmellata di cose che vi ho spalmato poc’anzi.
C’è anche da ammettere che il baseball è uno sport alquanto statico, che non richiede un grosso sforzo fisico, se non in brevi tratti di partita e, soprattutto, non prevede gli urti o il rischio di infortuni che sport definiti più “maschi”, come football e hockey, comprendono.
Ma quali sono, arrivati a questo punto, gli aspetti a cui può giovare una doppia professione di questo genere?
Beh, a parte le doti tecniche che madre natura può offrire, c’è sicuramente un discorso di perfetta interazione. Riprendendo l’esempio di Sanders, essendo un cornerback che deve essere sempre vigile sulle direzioni e le traiettorie che la palla può prendere, il lavoro di esterno può essere una buona palestra in cui mantenere allenati i propri riflessi e il proprio istinto.
Mi viene in mente anche un altro individuo che con la palla ovale se la cava, ma che gioca dalla parte opposta di uno come Sanders. Sto parlando di Russell Wilson, scelto dai Colorado Rockies al quarto round del draft 2010 e che a baseball ci ha pure giocato – come seconda base – non solo al college, ma anche per alcuni mesi nelle leghe minori, prima di dedicarsi completamente al ruolo di quarterback nella NFL e vincere il Super Bowl, con i Seahawks, lo scorso febbraio.
Qualche giorno fa, però, ha partecipato ad una seduta di allenamento dei Texas Rangers, in cui si è cimentato in qualche lancio, dichiarando che giocare a baseball lo ha aiutato molto nella coordinazione e nella precisione, facendo, inoltre, trapelare che, in un futuro non troppo lontano, potrebbe anche decidere di seguire le orme di Sanders.
Ma tralasciando il binomio baseball/football, potrà mai esserci una combinazione che possa riguardare anche altri sport made in USA e dintorni?
Molto difficile e il passato non offre dei grandi spunti, a meno che uno non faccia come Michael Jordan che mollò ciò che lo aveva alimentato per anni (non solo dal punto di vista prettamente economico, si intenda), decidendo di dedicarsi ad altro, senza nemmeno ottenere i risultati sperati.
Oppure come Danny Ainge che, prima della sua esperienza pluridecennale in NBA, aveva militato per due anni nei Toronto Blue Jays.
Poi non è detto che, un giorno, mentre stiamo guardando una partita dei Dallas Cowboys, ci capiti di sputare la birra o di rischiare di soffocare per colpa di un pop corn incastrato nell’esofago, ponendoci all’unisono il seguente quesito: “Ma…ma quello non è LeBron?”
Personal trainer e grande appassionato di sport americani. Talmente tanto che ho deciso di scrivere a riguardo.
Seguitemi su Twitter: https://twitter.com/nlippolis88
Complimenti per l’articolo! Io però avrei anche citato Bo Jackson, che a mio parere, come atleta multidisciplinare (NFL e MLB), è stato superiore a Sanders. Unico ad essere nominato All Star in due leghe, eletto miglior atleta del secolo da espn, gesti atletici incredibili…. Consiglio a tutti di guardare il documentario su du lui della ESPN intitolato ‘you don’t know Bo’
Non conoscevo assolutamente la sua storia. Grazie comunque per la segnalazione, magari gli dedicheremo un articolo più avanti.