Se potessi tornare indietro nel tempo, mi piacerebbe andare dalle parti di Los Angeles, precisamente al Dodger Stadium prima del match con i San Diego Padres del 3 giugno.
Mi piacerebbe arrivare lì e chiedere ai fortunati malcapitati se conoscono quel Yasiel Puig che stasera partirà titolare nella posizione di esterno destro, al posto di Andre Ethier che è dovuto andare ad occupare il ruolo di cenrale visto l’infortunio occorso a Matt Kemp. Le risposte sarebbero di vario tipo, ma molto probabilmente tutte accomunate dallo scetticismo e dalla perplessità per un ragazzo che finora ha visto solo le Minors.
Eppure, alla prima apparizione al piatto, firma un singolo che gli fa guadagnare la prima base in carriera nella MLB. Ma non basta a farlo apprezzare al pubblico di casa e Yasiel lo sa bene. Quella partita si concluderà con una vittoria per i Dodgers decretata proprio da una giocata decisiva del nostro protagonista che contribuisce al double play con cui si conclude la partita.
Un bel biglietto da visita per uno che fino a poche ore prima sembrava un perfetto sconosciuto. Intanto, tra gli spalti, io continuo a ridermela di gusto perché, già consapevole del futuro imminente, so che questo è ancora niente.
La partita successiva va quattro volte in battuta e sigla ben un double e due homerun che gli valgono 5 RBI. I tifosi sono in visibilio, increduli per lo strapotere che il ventitreenne cubano ha dimostrato in questa partita, come se fosse un veterano qualunque, pronto a colorare d’oro il biglietto dei suoi spettatori.
Ed è proprio in quei momenti che Yasiel deve aver pensato al cammino che ha compiuto per arrivare fin lì, un cammino segnato dal destino prima di tutto.
Yasiel Puig Valdés è nato a Cienfuegos, una città a 250 chilometri dall’Havana e sicuramente non molto ricca. Fatto sta che il ragazzo si avvicina molto presto al baseball, che è forse lo sport più praticato a Cuba, l’unico regalo ben accetto proveniente dalla nemica di sempre: l’America. A diciottanni partecipa alla sua prima importante manifestazione, in cui ha la possibilità di mettersi in mostra. Sto parlando del World Junior Baseball Championship, in cui vince una medaglia di bronzo.
Grazie alle sue ottime prestazioni, viene ufficialmente messo sotto contratto dalla squadra della sua città che milita nella massima divisione nazionale. Nella sua prima stagione ottiene una media battuta di .276 condita da 5 homer, non un granché, ma può crescere. L’occasione che aspettava arriva nel 2009-10, in cui Yasiel aumenta vertiginosamente le sue cifre. .330 di media battuta, 17 homerun, 47 RBI e 78 run, in 327 at-bats. Sarà questo il suo trampolino di lancio che gli permetterà di partecipare con la nazionale cubana al World Port Tournament.
Ma come ogni lancio, c’è sempre qualche rischio da correre. Yasiel vuole abbandonare Cuba per cercare fortuna altrove, magari negli Stati Uniti, ma qualche manovra non propriamente corretta lo blocca nel suo paese, tanto che viene deferito per tutta la stagione 2011-12, come una sorta di punizione. Nonostante tutto, Puig continua ad inseguire il suo sogno di abbandonare l’isola caraibica, rea di non potergli dare quello che lui effettivamente cerca, cioè la gloria.
Nell’estate del 2012, Yasiel riesce finalmente nell’intento di abbandonare Cuba e si trasferisce in Messico. Lì, trova il modo di ottenere un provino per i Dodgers che rimangono basiti dal suo talento, ma non se la sentono di puntare su un giovane sconosciuto, perciò lo scaricano agli Arizona League Dodgers. Ma Yasiel non demorde e in sole nove partite dimostra tutto il suo valore, realizzando 11 RBI, 4 fuoricampo con una media di .400.
E’ un incubo per gli avversari della lega riservata alle matricole, perciò viene presto promosso alla Class A-Advanced California League, in cui milita per i Rancho Cucamonga Quakes. Certo, il nome fa un po’ ridere (come direbbe Pippi Calzelunghe), ma anche qui Puig si mette in mostra. 327 di media battuta in 14 partite e non appena la stagione finisce, si sposta di nuovo in Arizona, precisamente ai Mesa Solar Sox, ma qui un’infezione da stafilococco al gomito destro lo tiene lontano dai campi per diversi mesi.
Una volta guarito, Yasiel torna in campo durante l’inverno, precisamente a Puerto Rico, per ritornare in forma in vista di una possibile chiamata dalle Majors. La chiamata arriva per lo Spring Training dei Dodgers, battendo .526 nella Cactus League. Ma questo non basta ancora e le sue ambizioni sembrano stroncarsi quando viene assegnato ai Chattanooga Lookouts nella Double-A, dove batte .313 con 8 homers e 37 RBI in 40 partite, fino a quel 3 giugno 2013. Il resto, ve l’ho già detto, in parte. Mi ero fermato alla seconda partita contro i Padres, quando Puig tocca il piatto al termine del suo secondo giro del diamante. Ebbene, dopo quella partita e anche dopo l’altra ancora, farà qualcosa di storico.
Basi piene, il pitcher dei Braves, Cory Gearrin, si appresta a lanciare. Yasiel gira la mazza e colpisce più forte che può. La palla gira, vortica nell’aria e si avvicina alle protezioni sul lato destro del campo. “A Grand Slam Homerun!” esclama il commentatore. Il pubblico del Dodger Stadium non capisce più nulla.
Quattro punti che valgono il 5-0 nella parte bassa dell’ottavo e vittoria in cascina. Una vittoria firmata ancora dal ragazzo sconosciuto proveniente da Cuba. Il giorno seguente, sigla un altro homerun, divenendo il secondo giocatore dell’era moderna (l’altro fu Mike Jacobs nel 2005) a spedire la pallina fuori dal campo per quattro volte nelle prime cinque partite tra i professionisti e i suoi 10 RBI pareggiano il record della lega (di Danny Espinosa e Jack Merson) per il maggior numero di punti battuti a casa sempre nelle prime cinque gare della carriera.
C’è chi, come impatto, lo paragona a quello avuto da Jeremy Lin lo scorso anno nell’NBA. Un talento incompreso, capace di sfruttare al meglio l’occasione che il fato gli ha posto di fronte e di esplodere definitivamente, consacrando tutto il sudore e l’impegno messo fino a quel momento.
Ma quando il successo arriva, si sa, è sempre difficile da gestire. Le persone cominceranno a pretendere sempre di più e la pressione, a volte, può giocare brutti scherzi. Yasiel non lo conosco di persona, ma non penso sia questo tipo di ragazzo o, almeno, non voglio credere che lo sia.
Nella sua vita ha sempre cercato di puntare al massimo, ma con umiltà, senza pretendere nulla di eccessivo e alla fine ce l’ha fatta. Ora starà a lui giocarsi le carte nel modo giusto e quando rientrerà Kemp… Kemp chi?!
Personal trainer e grande appassionato di sport americani. Talmente tanto che ho deciso di scrivere a riguardo.
Seguitemi su Twitter: https://twitter.com/nlippolis88
One thought on “Una settimana da Dio”