cjp767Domenica 17 settembre 1995: gli Atlanta Braves, già campioni della NL East sono di scena in Ohio, al Riverfront Stadium di Cincinnati contro i Reds, sulla cui panchina siede Davey Johnson, destinato ad incrociare ancora i propri destini con quelli di Atlanta quasi vent’anni dopo alla guida dei Washington Nationals.

Sul monte, per gli ospiti, c’è Tom Glavine che a fine serata raccoglierà la sua 15sima vittoria stagionale dopo aver limitato gli avversari ad una misera run in sette innings; l’eroe di giornata, però, è Mike Mordecai, che chiude 2/4 con 2 RBI e un fuoricampo. È anche il 3B titolare dei Braves in quell’occasione, visto il day-off del rookie Chipper Jones.

Ad oltre 2000 chilometri di distanza – in direzione ovest – Tony LaRussa e i suoi Oakland Athletics superano 4-1 i Minnesota Twins in un match utile solo per le statistiche: il vincente di quella sfida è Todd Van Poppel, che sale a quota quattro W in quella che rimane probabilmente la sua miglior stagione come lanciatore partente. Per lui anche la soddisfazione del primo CG della carriera, a cui seguirà uno shutout nel 1996 in maglia Tigers.

Due carriere diverse, quelle di Chipper Jones e Todd Van Poppel. Eppure legate per sempre al draft del 1990.

I Braves, reduci dalle 63 vittorie (a fronte di 97 sconfitte) del 1989 – la sesta stagione perdente consecutiva – hanno la prima scelta assoluta e, cosa più importante, sanno benissimo come spenderla. Van Poppel, RHP dalla Martin High School di Arlington, è il prototipo del power pitcher texano e, per citare un addetto ai lavori, «seems an arm from the ages».

Per fortuna – o sfortuna a seconda dei punti di vista – il suo desiderio è quello di vestire la maglia dei Longhorns al college: a nulla serve il tentativo di Bobby Cox – allora GM – di convincere il giocatore e Atlanta, di fronte alla possibilità di rimanere a mani vuote, opta per il “famoso” piano-B.

Chipper1

Un futuro HoFamer

Per completezza di informazioni, va detto che Van Poppel non andò mai al college, ma firmò un contratto con gli Oakland Athletics (grazie soprattutto al suo agente, Scott Boras) che lo selezionarono come quattordicesimo assoluto; andò meglio ai New York Yankees che quell’anno scelsero Andy Pettitte (22simo giro) e Jorge Posada (24simo giro).

Il piano-B ha le fattezze di uno SS proveniente da una high school di Jacksonville, in Florida: Larry Wayne Jones Jr. firma per 400.000 dollari e – dopo l’esordio nella Gulf Coast Leauge – l’anno successivo è l’interbase titolare dei Macon Braves (low-A) nella Sally League. In attacco domina (326/407/518, 15 HR, 69 BB e 70 K) ma sono soprattutto i suoi errori in difesa – ben 56 a fine stagione – a fare notizia. Nel 1992 si disimpegna, con ottimi risultati, tra Durham (A+) e Greenville (AA) riuscendo a limitare gli errori difensivi; l’ultima fermata è, l’anno seguente, a Richmond nell’International League. Chiude con una linea di 325/387/500 con 13 fuoricampo e ben 56 XBH e si guadagna una chiamata in MLB.

L’esordio, l’undici settembre, avviene contro i San Diego Padres quando, nella parte bassa del nono, rileva Jeff Blauser come SS; tre giorni dopo, contro i Reds, entra come PH e batte la sua prima valida. Non scenderà in campo nel famoso fine settimana di inizio ottobre che deciderà le sorti della NL West: per chi fosse interessato consiglio vivamente di leggere questo pezzo di ESPN.

La stagione dei Braves, dopo due WS perse consecutivamente, si ferma alle Championship Series contro Curt Schilling e i Philadelphia Phillies; il peggio, per Chipper Jones, però, deve ancora arrivare.

Ron Gant, il LF titolare reduce da una stagione da 6.3 bWAR, in inverno è vittima di un brutto incidente con un ATV: rottura della gamba destra e stagione finita. Per Chipper si libera un posto da titolare nell’outfield: già da tempo, infatti, il team aveva pensato di spostare il rookie dal ruolo di SS. La rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro, durante lo Spring Training, manda tutto all’aria.

Poco male, vista la brusca interruzione anticipata della stagione nell’agosto del 1994.

Terry Pendleton, divenuto FA il 24 aprile 1994, firma con i Marlins all’inizio della stagione successiva, dando inizio al regno di Chipper all’hot corner. L’annata è soddisfacente a livello personale (265/353/450) ma passa – giustamente – in secondo piano dopo la conquista del titolo contro Cleveland. Solamente la stagione stellare di Hideo “Tornado” Nomo impedisce al giovane 3B di conquistare il titolo di matricola dell’anno; si rifarà, con gli interessi, le stagioni seguenti anche se la sua collezione di riconoscimenti individuali risulterà inferiore a quanto fatto vedere in campo.

Chiude il 1996 con 6.0 bWAR, la prima di otto stagioni con almeno 5 bWAR, grazie a 30 HR e 87 walks (sesto in MLB); il suo rendimento cala leggermente l’anno seguente nonostante le 20 SB, un traguardo che verrà superato solamente una volta in carriera, durante lo straordinario 1999.

Il 1998, chiuso con la bellezza di 96 BB, da il via ad una serie di sei stagioni consecutive in cui termina con più walk che SO: le 160 partite giocate quell’anno rappresentano anche il suo career-high.

Nonostante le sue cifre, e quelle della squadra – che vincerà il titolo della NL East ininterrottamente fino al 2005 – siano da applausi, sono ben poche le soddisfazioni nella post-season; bruciante, in particolare, la sconfitta nelle World Series del 1996 contro gli Yankees dopo le due vittorie esterne di inizio serie. Sono Andruw Jones e – in particolare – John Wetteland a rubare la scena.

Nel 1998 è l’ottimo pitching staff di San Diego, guidato da Kevin Brown, Andy Ashby e Sterling Hitchcock, a fermare Jones e compagni, dopo che l’anno precedente erano stati i Marlins, con la complicità dell’HP umpire Eric Gregg, ad avanzare alle World Series. Purtroppo per Jones e per i Braves la tradizione negativa nella post season sarà una costante per i successivi anni.

Il 1999 è la stagione della consacrazione, a livello personale, e terminerà con la conquisterà del primo e unico premio di MVP della lega: 319/441/633, 45 HR, 41 doppi, 25 SB, 126 BB, 116 runs, 110 RBI è il suo fatturato al termine della regular season. Il punto più alto, ovviamente, è la serie di fine settembre al Turner Field contro i Mets, che arrivano in Georgia con una sola gara di distacco dai Braves leader divisionali. Chipper, già in odore di MVP, domina la serie chiudendo con numeri da videogioco: 4/9, 4 HR, 7 RBI, 3 BB, 5 runs significano sweep e ennesimo titolo della NL East.

In dodici incontri stagionali contro i newyorkesi chiude con una linea di 400/510/1000 e diventa ufficialmente il terrore dello Shea Stadium: non a caso, tredici anni dopo, sarà proprio il pubblico del nuovo Citi Field a tributargli il saluto più intenso di una stagione ricca di celebrazioni in giro per gli Stati Uniti. Probabilmente nessuno nella Grande Mela lo ammetterà mai, ma dal 2013 in molti sentiranno la sua mancanza; forse solo i pitchers dei Mets faranno eccezione.

Ironia della sorte saranno gli Yankess, l’altra squadra newyorkese, a vendicare i cugini, infliggendo un pesante sweep ai Braves nelle World Series: Mariano Rivera riceve il testimone da Wetteland e porta a casa il titolo di MVP dopo quattro gare senza storia.

Il nuovo millennio si apre con due ottime regular seasons – chiuse a quota .970 e 1.032 OPS – ma altrettante cocenti delusioni ai playoff; nel 2002 – via free agency – arriva Vinny Castilla, tre stagioni consecutive oltre quota 40 HR a Coors Field tra il 1996 e il 1998. Si tratta di un ritorno per il 3B messicano, che proprio i Braves avevano prelevato nel 1990; Chipper accetta di spostarsi all’esterno sinistro per lasciare il ruolo al nuovo arrivato che faticherà a lasciare il segno nelle due stagioni in Georgia.

Lo spostamento nell’outfield è indolore e Jones allunga la sua striscia a otto stagioni consecutive con almeno 100 RBI; l’anno successivo, il 2004, ritorna in terza base ma disputa la sua peggior stagione dal 1995, quella dell’esordio. Colpa di una media battuta di .248, mitigata in parte dall’ultimo scollinamento della carriera a quota 30 fuoricampo: in molti metterebbero la firma per chiudere la loro seconda peggior stagione in carriera a quota 116 OPS+.

Nel 2005 gioca appena 109 gare ma le sue cifre (296/412/556) lievitano: non abbastanza, però, per impedire la quarta eliminazione consecutiva alla Division Series. Il fuoricampo di Chris Burke il 9 ottobre 2005 mette fine alla gara di post-season più lunga della storia in quella che sarà anche l’ultima partita di playoff di Chipper e dei Braves per i successivi quattro anni.

Le tre annate successive sono, come detto, povere di soddisfazioni per la squadra ma non per Chipper, che torna sopra quota 1.000 OPS in ognuna di esse; nel 2007 guida l’intera lega in OPS e OPS+, superando per l’ultima volta in carriera i 100 RBI. Nonostante tutto chiude appena sesto nella votazione per il premio di MVP. Va anche peggio dodici mesi dopo: dopo una partenza fulminante, che lo vede battere vicino a quota .400 fino a metà giugno, vince il suo primo batting title con una media di .364, condita da un’OBP di .470. Entrambe sono, ovviamente, il top della lega. Chiude anche con 22 fuoricampo, allungando a 14 la striscia di stagioni consecutive con almeno 20 HR. Inspiegabilmente finisce al 12simo posto nella corsa all’MVP.

Chipper

L’addio commosso

Il 2009 segna l’inizio del lento declino, testimoniato dalla media battuta sempre sotto quota .300; nel 2010 un nuovo infortunio al ginocchio sinistro gli impedisce di prendere parte al ritorno della sua squadra alla post season. L’abbandono di Bobby Cox sembra il preludio al suo ritiro ma la voglia di competere ha la meglio e pur con numeri inferiori ai suoi standard – ma comunque ottimi per un giocatore normale – si regala altre due stagioni sul campo.

Lascia definitivamente al termine della stagione 2012, una delle più divertenti ed emozionanti della sua carriera alla luce dei numerosissimi attestati di stima ricevuti in tutti i ballpark visitati per l’ultima volta.

In fondo l’addio di uno dei migliori giocatori della storia non può lasciare indifferenti.

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