L’inizio è stato indubbiamente sorprendente. Justin Verlander è tornato tra noi terrestri. Il nome di Pablo Sandoval adesso fa parte della storia: pronunciarlo a fianco di quello di Babe Ruth non è più vilipendio.
Giovedì. Gara 2 e seconda giornata della Settimana di Passione. Ancora AT&T Park, San Francisco. E ancora, ovviamente, tutto esaurito e clima da festa grande sugli spalti. Ancor più dopo i fuochi d’artificio di Gara 1.
Questo secondo match della “Serie mondiale” sarà decisivo: le statistiche ci raccontano che il vincitore della partita di apertura ha portato a casa l’ambito Trofeo otto volte nelle passate nove edizioni e 13 nelle ultime 15. Dal 1903 ad oggi, nelle 107 edizioni che abbiamo alle spalle, il 61,7 % dei vincitori di Gara 1 ha poi concluso la pratica a proprio vantaggio.
Chi va sul 2 a 0, sbanca nel 78,2% dei casi, secondo quanto ci narra la storia.
Adesso sarà chiaro perché, stanotte, l’intero Stato del Michigan “volgerà il proprio sguardo solitario” (la citazione è liberamente tratta da Simon & Garfunkel) verso un uomo di nome Doug Fister.
Certo, guardando indietro, i Tigers sono stati capaci di controvertire a loro favore una sconfitta nel match inaugurale del “Fall Classic” in 3 casi su 7. Per l’esattezza, nel 1935 in 6 partite, nel 1945 in 7 e nel 1968, ancora con un 4 a 3 finale.
Ma veniamo al 2012. Rispetto ai line-up di ieri sera, un solo cambio. Riguarda Detroit e, segnatamente, la posizione di catcher: Gerald Laird per Alex Avila. Stesso spot, il numero 8.
I Giants si affidano, per assestare il “colpo grosso”, ad un altro mancino, Madison Bumgarner. Il “lefty” di San Francisco viene da una Postseason che definirla difficile suona quasi come un eufemismo. Per lui, tra LDS e LCS uno 0-2, ERA di 11.25, una media contro di .385, 15 valide subite, 2 basi per ball, 6 K in appena 8 riprese lanciate in due partenze. Evidentemente Bruce Bochy confida nella maledizione dei mancini che sembra affliggere i Tigers.
Dopo l’Inno nazionale, cantato per l’occasione da Matthew Morrison, star dello show della Fox, “Glee”, e il “first pitch” cerimoniale ad opera di un marine, Nick Kimmel, amputato di entrambe le gambe in una esplosione in Afghanistan, il via alle danze.
Il primo inning sembra dare la sensazione di avere di fronte due partenti in palla.
Ma al secondo arriva il primo momento decisivo della partita. Parte alta, attacco Tigers. Si apre con un colpito su Prince Fielder. Nel box, l’MVP della ALCS, Delmon Young. Un lungo linea a sinistra si trasforma in una extra-base hit. Il prima base dei Tigers arriva comodamente fino in terza. Il third base coach, Gene Lamont, fa segno di proseguire, ma la corsa di Fielder, vista la sua stazza, non è delle più agili.
La palla, nel frattempo raccolta all’esterno dall’ottimo guanto di Gregor Blanco, viene scagliata con forza verso l’infield. Marco Scutaro interviene con grande tempestività in “taglio”, girando un assist perfetto a Buster Posey, collocato di fianco al piatto di casa base. Fielder scivola, la giocata è molto chiusa. L’arbitro capo, Dan Iassogna, in un attimo di grande suspence per i 43 mila presenti allo stadio, chiama l’out. Tanto di cappello a lui per aver saputo decifrare correttamente l’accaduto, nonostante le veementi proteste del clean-up di Detroit.
L’out, sulla via 7-4-2, toglie ai Tigers la possibilità di balzare in vantaggio nella prima parte della partita, cosa che avrebbe potuto avere un impatto notevole, viste le difficoltà più volte palesate dal bullpen della squadra di Jim Leyland.
La giocata difensiva è stata magistrale, in un’azione simile a quella che avevamo visto in Gara 4 della NLCS, avviata, in quel caso, da Angel Pagan. La dimostrazione che, nelle partite che contano, una difesa del livello di quella dei Giants può fare la differenza.
Per Fielder, una batosta esemplare. Al suo rientro nel dug-out, il forte prima base se la prende con se stesso. Tatticamente, subire il primo out a casa base è un errore indegno perfino di un team di Little League. Probabilmente, la sensazione che Bumgarner sia, stasera, più in forma del solito, ha indotto una decisione che non può comunque trovare conforto.
Con Delmon Young in seconda, la ripresa prosegue ma con scarso successo per Detroit: Johnny Peralta alza un comodo pop su Brandon Belt, mentre Avisail Garcia finisce al piatto. Sicuramente una grande occasione perduta.
Nella parte bassa del secondo inning, Fister riesce a sfuggire ad una pericolosa situazione di basi piene. Dopo i singoli di Posey e Blanco, la cui battuta tesa alla testa del pitcher dei Tigers aveva creato alcuni attima di paura, fugati dalla rassicurazione che il colpo non aveva creato alcuna seria conseguenza, e il walk a Brandon Crawford, il pop di Bumgarner sull’interbase Peralta, mette fine alla ripresa, sempre sullo 0 a 0.
Negli inning successivi accade ben poco, con i due starter che continuano a dominare autorevolmente il gioco, impedendo ai propri avversari di andare oltre prima base.
Dopo un “7th inning stretch” molto emozionante, con una bella esecuzione di “God Bless America”, cantata dal Serg. Dan Olivas, un singolo a sinistra di Hunter Pence apre l’attacco dei Giants e sancisce la fine della partita di Fister. Per lui un’ottima prestazione: in 6 riprese lanciate, più un uomo affrontato al settimo, 4 sole valide concesse, 1 base per ball, 3 strike-out e nessun punto concesso, anche se con la responsabilità del corridore in prima a suo carico.
Entra il giovane esordiente Drew Smyly. Un “southpaw” per affrontare il battitore mancino Belt. Purtroppo per Leyland, la sua mossa tattica viene vanificata dal walk concesso al prima base dei Giants. Pence avanza in seconda.
Il successivo hitter, Blanco, ricorre al sacrificio per portare due runner in posizione punto con un solo eliminato, ma il suo bunt lungo la linea di sinistra si trasforma in valida: gli interni dei Tigers lasciano scorrere la palla nella speranza che esca in territorio foul. Rimane, invece, in gioco. Tutti salvi, basi piene con nessun eliminato.
Crawford batte sul seconda base, Omar Infante, il quale decide, con Pence lanciatissimo verso casa base, di giocare per la doppia eliminazione, che riesce sulla via 4-6-3. Nell’azione entra però il punto dell’1 a 0, messo a segno dall’esterno destro degli “Orange” e guadagnato su Fister.
Il successivo battitore, Ryan Theriot, subentrato a Bumgarner in qualità di pinch hitter, finisce strike-out, chiudendo l’attacco di San Francisco.
Per il partente dei Giants, un ritorno ad altissimi livelli: in 7 IP, 2 sole hit, nessun punto concesso, 2 basi per ball (cui si aggiunge un colpito) e ben 8 K. I problemi “meccanici” di cui era stato recentemente vittima, sembrano definitivamente risolti. Per Bruce Bochy, “scommessa” vinta.
L’ottavo attacco di Detroit viene affidato a Santiago Casilla. Per lui un rapidissimo “one-two-three” inning.
Parte bassa dell’ottava ripresa. Ad Angel Pagan viene concessa la prima base “gratuita”, mentre Scutaro viene messo al piatto per il primo out. Con Pablo Sandoval nel box, Pagan ruba la seconda. Con la prima vuota, Smyly opta per la base ball intenzionale allo slugger di San Francisco, così da “forzare” il gioco sui primi tre cuscini.
Per il rilievo “rookie”, la partita si chiude così, con una prestazione decisamente non eccelsa. Per lui, una valida concessa e ben 3 walk, a fronte di 2 strike-out, in 1.1 riprese lanciate, e la responsabilità sui corridori in base.
Entra Octavio Dotel, campione del mondo in carica, titolo conseguito lo scorso anno coi St.Louis Cardinals. Anche il suo “battesimo” non è dei più felici: quattro ball e base regalata a Posey. Basi piene con un solo eliminato.
Tocca a Pence, il quale opta per una volata che finirà profonda quanto basta nel guanto del neo-entrato Andy Dirks. Pagan segna il punto del 2 a 0, guadagnato su Smyly, sul sacrificio del proprio compagno di squadra. Nell’azione, “Kung-Fu Panda” avanza in terza base.
Con corridori agli angoli e due out, Leyland decide di affidarsi a colui che, molto probabilmente, dopo la brutta prestazione in Gara 1 di Valverde, sarà il closer dei Tigers per ciò che residua di queste World Series: Phil Coke. Per Dotel, due uomini affrontati: il sac-out di Pence e il walk a Posey. Sembra proprio che nessun rilievo di Detroit riesca a portare a compimento una prestazione senza macchie.
Coke ha il compito di mettere a segno una sola eliminazione: quanto basta per riportare i suoi in attacco al nono per l’ultimo assalto alla fortezza, stasera apparentemente inviolabile, dei Giants. Arriva il K ai danni di Belt.
Ultima ripresa. Bochy si affida all’opzione, ormai consolidata, di lasciare a Sergio Romo gli ultimi tre out con opportunità di “salvezza”, come nel caso del 2 a 0 che deve difendere in questo ultimo scorcio di Gara 2.
Per il “barbuto” californiano, una comoda volata all’esterno sinistro del battitore “di emergenza” Quintin Berry, strike-out ad Austin Jackson (per lui serata incolore, 0 su 3 con una base per ball e ben tre eliminazioni al piatto) e out al volo su facile pop-foul al prima base di Infante. Save per il closer di San Francisco e vittoria a Madison Bumgarner. Inusuale shutout ai danni delle “Tigri”, per loro che ne avevano subìti solo due in 162 match di Regular Season. Insolito, ma non troppo, visto che due è il numero di shutout a passivo, tanti quanti in stagione regolare, anche nelle 11 partite di Playoff.
La Serie è adesso sul 2 a 0 per i “Giganti”, alla vigilia della trasferta nelle fredde terre del Michigan.
Ora non sono più i soli numeri a dire quanto sia in salita la strada dei Tigers. Le prestazioni opache di cui si sono resi protagonisti all’AT&T, ci confermano i timori della vigilia circa la “ruggine” che, dopo sei giorni di inattività, sembra aver inceppato gli ingranaggi di quella micidiale “macchina da guerra” che aveva saputo annichilire ed umiliare niente di meno che i New York Yankees.
Come detto nel precedente articolo di Preview sul “Fall Classic” 2012, Gara 3 era sulla carta la prima sfida nella quale, giudicando i nomi degli starter (Anibal Sanchez vs. Ryan Vogelsong), San Francisco sembrava partire con un piccolo margine di vantaggio sugli avversari. Il 2 a 0 subìto in trasferta, impone invece a Cabrera & co. di invertire immediatamente la tendenza. Un 3 a 0 lascerebbe solamente la matematica a supporto delle chance dei beniamini di casa.
A caricare i Tigers ci sarà, senz’altro, un grande pubblico e la consapevolezza di aver sempre dato il meglio tra le mura amiche. Il record di 50-31 ottenuto al Comerica Park è la seconda migliore prestazione casalinga della AL in Regular Season (solo 38-43 in trasferta). Anche in Postseason, a fronte di un 3-4 “on the road”, il ruolino di marcia casalingo di Detroit è di 4-0.
Certamente i Giants sono in uno stato di grazia semplicemente straordinario. A partire da Gara 5 della NLCS, il computo dei punti fatti e subìti da Sandoval e soci è di 30 a 4. L’ERA degli starter nello stesso lasso temporale è un impressionante 0.55. Davvero niente male.
Il loro 5 su 11 con corridori in posizione punto, ci mostra quanto i Tigers, a solo 1 su 7 nello stesso parametro, debbano saper approfittare meglio delle poche situazioni potenzialmente proficue di cui potranno beneficiare contro una squadra avversaria dotata di un monte di lancio in grande spolvero ed una difesa molto ordinata.
Da un’analisi individuale delle prime due partite, sembra che l’unico battitore davvero in condizione nelle fila di Detroit sia Delmon Young (3 su 7 con un doppio).
Rimane de verificare il rendimento dei partenti, dopo la buona prestazione di Fister in Gara 2, nonostante la sconfitta maturata. Con Verlander, riguardo il quale sembra difficile poter ipotizzare un fallimento in due partite consecutive, probabilissimo partente dell’eventuale Gara 5, i Tigers potrebbero sperare, con una vittoria nelle prossime due gare, di portare la Serie a alla Sesta, giocandosi tutto con Fister, e di schierare, poi, uno tra Sanchez e Scherzer, dovesse essere necessaria Game 7.
Rimangono molte perplessità sul bullpen dei Tigers. Jim Leyland ha avute conferme negative nei due match fin qui giocati, con prestazioni davvero poco rassicuranti di Valverde, Smyly, Albuquerque e Dotel. Coke, ad oggi, sembra essere l’unico punto di riferimento di un reparto piuttosto confuso.
San Francisco, potendo contare su un pacchetto lanciatori che, in questa fase, sembra garantire un rendimento sopra media dal primo al nono inning, si affida alle mazze dei suoi uomini più rappresentativi, Posey (che pare sia in crescita dopo una prima parte di Postseason piuttosto mediocre) e Sandoval su tutti, per dare il definitivo colpo di grazia ai campioni della American League, e riportare, così, il trofeo mondiale in California a distanza di soli due anni dal precedente titolo.