Dopo l’emozione di quattro serie decise all’ultima gara, le Championship Series promettono di essere molto più sbrigative e, nel caso della sfida tra New York e Detroit, anche molto meno appassionanti. Solamente il rinvio per pioggia della scorsa notte, infatti, ha permesso di prolungare di una giorno una serie che sembrava già scritta dopo i primi due atti.
Niente rimonte clamorose, nessuna gara-7 tra Verlander e Sabathia: l’American League incorona, al termine di una delle serie più scontate di sempre, i Detroit Tigers come squadra più calda del momento. Alla rotazione, già di buonissimo livello, si sta aggiungendo un lineup che appare in fase di riscaldamento proprio nel momento clou della stagione.
Il match
Il Comerica Park è pronto, con 24 ore di ritardo, ad ospitare il primo match ball dei padroni di casa: l’ostacolo da superare, che ha le fattenze di CC Sabathia, non è dei più agevoli ma il lineup degli ospiti è il sogno di ogni pitchers avversario, visto lo stato di forma. Max Scherzer, reduce dalla buona prova terminata in una ND in gara-4 contro Oakland, è un avversario tosto, ma con un po’ di pazienza al piatto lo si può far scendere dal monte relativamente presto (come testimoniato dai 5.9 IP di media a partenza in carriera). La pazienza, però, è una virtù che l’attacco di New York sembra non conoscere in queste ultime settimane.
Joe Girardi tenta il tutto per tutto escludendo dal lineup iniziale sia A-Rod sia Curtis Granderson: Swisher e Cano – che chiuderanno rispettivamente 5/30 e 3/40 in questa post season – sono chiamati alla rinascita ma il loro apporto non si farà sentire. Tutto invariato o quasi in casa Tigers, con Gerard Laird che torna dietro al piatto.
La cronaca del match, in realtà, è piuttosto scarna e dura fino al quarto inning quando il partente newyorkese concede due fuoricampo a Cabrera e Peralta che di fatto chiudono la contesa: i 3.2 innings del mancino ex-Cleveland pareggiano la sua uscita più corta in una gara di playoff. Era il 2008 e sulle spalle indossava la jersey di Milwaukee.
Per vedere la prima valida degli ospiti bisogna attendere la parte alta del sesto inning, quando uno Scherzer a corto di benzina concede un triplo, un doppio e una BB quasi in successione: Drew Smyly spegne sul nascere le speranze di rimonta eliminando Alex Rodriguez in quella che potrebbe essere stata l’ultima partita in maglia pinstripes per il 3B nativo di New York.
Nel finale c’è spazio per gli homeruns di Austin Jackson e Jhonny Peralta – secondo di giornata – utili solamente per le statistiche: il divario finale in termini di valide, 16 a 2, è impietoso quanto lo sweep stesso, il primo incassato dagli Yankees (sulle 7 gare) dal 1976.
Il match, come la serie, non è mai stata in discussione visto che New York mai, nelle quattro gare, si è trovata a condurre anche solo per una ripresa: ancora più impressionante il fatto che in 36 dei 39 innings disputati il lineup di Girardi non abbia messo a referto runs.
Non sono bastati la pioggia – prima – e Sabathia – dopo – a evitare lo sweep: e se il meteo ha avuto il merito di allungare almeno di un giorno la stagione di New York, lo stesso non si può dire dell’asso mancino, che non è riuscito a ripetere le ottime prove contro Baltimore mettendo i suoi in una buca da cui non sono riusciti ad emergere.
I più cinici diranno che forse è meglio così, piuttosto che prolungare l’agonia ma è pur sempre vero che fino all’ultimo out dell’ultimo match tutto è sempre possibile. Basta chiedere a St. Louis, giusto per non andare troppo lontano.
I riflettori di gara-4 erano tutti puntati sul lineup di New York, tema principale di tutti i dibattiti sportivi degli ultimi giorni e apparso in tutte le sue possibili combinazioni come espressione del pensiero del giornalista/analista di turno; francamente non sarei sorpreso se qualcuno avesse anche proposto di mandare in campo Derek Jeter su una gamba sola.
Il tutto si è risolto in una bolla di sapone, per la delusione di chi profetizzava una rimonta stile WS 1996: il lineup newyorkese, con una coerenza di cui sono sicuro tutti i tifosi avrebbero fatto volentieri a meno, ha continuare a fare quello che ha fatto in tutta questa post season, terminando la gara con appena 2 hits e una misera run.
L’off season, iniziata sui giornali e su internet negli ultimi giorni con una tempistica piuttosto fastidiosa, ora è una realtà anche per Brian Cashman e soci, che quest’inverno saranno chiamati a molte scelte importanti.
Sarebbe però terribilmente ingiusto non soffermarsi sulla prova di Detroit, che torna alle World Series dopo sei anni: l’avversario potrebbe essere lo stesso del 2006, ma in questo momento è probabilmente l’ultimo dei pensieri nella testa di Jim Leyland.
La rotazione, oltre all’asso Verlander si è scoperta solida ma, non me ne vogliano i tifosi di Detroit, il banco di prova in queste C.S. non è stato dei più probanti; Jose Valverde, forse l’unica nota negativa di questa serie, rimane ancora – misteriosamente – il closer titolare, oltre che un motivo di speranza per gli avversari.
Ben poche le speranze, invece, per i pitchers avversari di uscire indenni dopo aver affrontato un lineup che, oltre ai soliti Miguel Cabrera e Prince Fielder, può contare sulle prestazioni convincenti di Jackson e Peralta, oltre a Delmon Young. Proprio l’esterno sinistro, giocatore che dimostra almeno dieci anni in più dei suoi 27 a discapito del cognome, è il battitore che più è migliorato rispetto alla serie contro Oakland, se così si può dire in un campione statistico minuscolo.
La sua linea finale di 353/421/765 contro New York gli è valsa il titolo di MVP: i suoi 6 RBI pareggiano il totale messo assieme da tutto il lineup degli avversari, un dato che la dice lunga sull’andamento della serie. Il difficile, non solo per lui, sarà riconfermasi sul palcoscenico più importante tra qualche giorno.
La prossima fermata, infatti, è quella delle World Series.
Ragioniere, classe 1983, ho iniziato a scrivere per la redazione MLB di PlayItUsa nel 2009: tifo Atlanta Braves, adoro Oasis e Pearl Jam, oltre naturalmente al prosecco.