Sono ormai 3 anni che i commentatori chiamano l’anno in corso “The Year of the Pitcher”, pertanto la riflessione deve essere estesa almeno all’intero periodo.

Al 14 giugno abbiamo già visto 2 perfect game (21esimo e 22esimo della storia) e 3 no hitter (di cui il decimo “combined” della storia): mai fino ad ora vi erano stati 5 no-hitter nei primi 2 mesi e mezzo di stagione.

Inoltre nel giorno (13 giugno) del perfect game di Matt Cain [il quale ha lanciato il maggior numero di lanci per un perfect game (125), ha ricevuto il maggior run support per un perfect game (10), ed ha eguagliato il maggior numero di K per un perfect game (14)], vi è stato anche un one-hitter (R.A. Dickey), ed è solo la seconda volta nella storia che ciò accade (il 18.5.2004 infatti, oltre al perfect game di Randy Johnson ci fu anche il one hitter di Jason Schmidt).

E nella stessa settimana, vi è stato un altro giorno (il 16 giugno 2012) con 2 one-hitter (Jason Hammel ed Ervin Santana), evento che non accadeva da 10 anni (26 aprile 2002).

Per tornare un momento su Dickey, egli ha lanciato un one-hitter anche nell’uscita successiva (non succedeva dal 1988) ed è il primo lanciatore dal 1900 con due one-hitter consecutivi con almeno 10 K per uscita. Dickey ha prodotto una striscia di 44 inning e 2/3 senza concedere punti, la seconda striscia della storia dei Mets (Dwight Gooden 1985, 49 IP) e la migliore della MLB dal record di Orel Hershiser di 59 IP stabilito nel 1988. Inoltre si è fermato a 7 uscite consecutive con almeno 8 K e non più di 2 BB, eguagliando il record MLB di Randy Johnson, Curt Schilling e Sandy Koufax.

Ma non sono solo le statistiche sulle singole prestazioni ad impressionare, ma i numeri complessivi: rispetto all’anno 2000, in questa stagione si segnano oltre 2 punti in meno di media a partita, la media battuta è passata da .270 a .253 e gli HR per partita sono scesi da 2.34 a 1.97. E negli ultimi tre anni le medie ERA, BA e HR/game sono in costante diminuzione.

Per non parlare del numero di K, in costante aumento da 5 stagioni: i K per 9 IP sono passati da 6.8 nel 2008, a 7.0 nel 2009, a 7.1 nel 2010 e 2011, a 7.5 nel 2012, e sono il 5°, 4°, 3°, 2° e 1° risultato ogni epoca.

Quanti cartelli di questo tipo verranno alzati quest’anno? E il prossimo?

In questo 2012, comunque, ci sono anche delle strane eccezioni: Tim Lincecum, con 2 CY in bacheca, ha una media ERA oltre 6.00 e l’intera rotazione dei Rockies è pericolosamente vicina a 6.50, ed è la seconda peggior media ogni epoca, dietro ai Tigers del 1996 (6.64). Da pochi giorni, per disperazione, Jim Tracy ha spostato nel bullpen il loro miglior partente (teorico), Geremy Guthrie, ed è passato ad una rotazione a 4, limitata a 75 lanci per partita. Vedremo cosa combineranno, ma le prime due serie con Phillies e Rangers sono state negative.

Tornando al tema centrale, diversi analisti concordano nel ritenere che il gioco si sia modificato negli ultimi anni in modo duraturo. Sul perché di questo cambiamento, però, vi sono diversi pareri, non tutti condivisibili.

Prima di tutto spazziamo via l’idea che dieci o quindici anni fa non ci fossero lanciatori di pregio: anzi è forse stato il periodo in cui si sono visti tutti insieme un numero enorme di talenti purissimi, che hanno fatto la storia di questo sport, a partire da Randy Johnson, Roger Clemens, Pedro Martinez, John Smoltz, Tom Glavine e Greg Maddux, per passare a Kerry Wood, Curt Schilling, Barry Zito, Mark Mulder, Tim Hudson, Andy Pettitte, Mike Mussina e Mariano Rivera per citare solo i principali (e certamente ne avremo dimenticato qualcuno). In quegli anni Eric Gagne ha stabilito il record  di salvezze consecutive, 84, senza ricordare i record di strike out per partita, tutti di quel periodo (20, messi a segno da Johnson, Clemens e Wood).

Alcuni ricordano che per un periodo difficilmente circoscrivibile vi è stato un impatto dovuto agli anabolizzanti, e ciò avrebbe gonfiato i valori degli attacchi a discapito dei lanciatori. Se questo può essere vero per il numero di HR, non siamo convinti che abbia potuto influire sulle medie in battuta, per non parlare del fatto che anche alcuni pitcher ne hanno beneficiato (per citare solo uno dei migliori, Roger Clemens).

Vero invece è che le prestazioni dei battitori, gonfiate dagli steroidi, hanno spinto diverse franchigie, prima fra tutte i San Francisco Giants, a scegliere in diversi draft consecutivi uno straordinario numero di lanciatori, per tentare di arginare gli attacchi avversari, ed ovviamente i risultati dei draft si vedono ad anni di distanza. Tesi interessante.

Certamente un elemento che ha modificato le prestazioni è stato l’inserimento del pitch count tra le statistiche da seguire, oltre al passaggio alle rotazioni a 5 uomini: fino a non molti anni fa i lanciatori partenti erano in realtà anche i propri rilievi ed i propri closer, senza un limite di lanci. La quantità di partite complete era enorme, mentre ora è bassissima. In questo momento la striscia di partenze con almeno 100 lanci è di Verlander con 68, ma la seconda è di C.C. Sabathia con 23! Il pitch count permette non solo allo SP di spremersi nei 100 lanci circa che andrà a fare, ma anche di veder comparire nel settimo, ottavo e nono inning diversi lanciatori freschi.

Il numero di lanciatori con oltre 95 miglia orarie nel braccio, poi, è cresciuto a dismisura, l’età in cui i lanciatori esordiscono nelle majors è aumentata, a tutto vantaggio del controllo, della qualità e diversità dei lanci in repertorio: ora praticamente nessun lanciatore ha una sola arma a disposizione, come invece ha Mariano Rivera. Lance Berkman commentava qualche giorno fa che praticamente ogni giorno uno o più rilievi che si trova ad affrontare lanciano la fastball oltre le 95 miglia orarie, e lui non ha mai sentito pronunciare il loro nome.

Da un punto di vista puramente teorico, è abbastanza intuitivo infine che se i lanciatori riescono a perfezionarsi ulteriormente, ci sarà sempre meno margine per i battitori, dato che aumentando la velocità e la precisione dei lanci, il tempo per la reazione del battitore si riduce e di conseguenza le sue possibilità di centrare la pallina in modo profittevole.

Ad ogni buon conto pensiamo che ci vogliano più di tre anni per avere certezze circa l’evoluzione del gioco in una determinata direzione, anche se il calo di punti per partita è veramente significativo. In ogni caso non possiamo che gioirne, dato che, da puristi di questo gioco, preferiamo un incontro che finisce 1-0 ad una slug-fest con 10 cambi sul monte.

Buon terzo anno dei pitcher a tutti!

One thought on “Teorie sull’ennesimo “Anno dei pitcher”

  1. La teoria del draft non regge però, o stai dicendo che Cain, Bumgarner e Lincecum non sarebbero stati draftati altrimenti?
    Così come il concetto del doping non regge, visto che è dal 2004 che i controlli sono molto rigidi, ma per 6 anni non è cambiato nulla.
    Sicuramente è giusto sostenere che servano più di 3 anni per un’analisi approfondita, ma la teoria più semplice è che sia successo quanto accaduto già più volte nella storia MLB (come nel 1977 per esempio): un cambio di attrezzo. Una palla più morbida, come indicano anche diversi giocatori. Già in epoche passate ci sono stati salti offensivi da un anno all’altro imputabili al cambio di attrezzo. Una palla più dura viaggia più lontano, mentre con la palla più morbida non solo ci sono meno fuoricampo, ma anche le palle messe in gioco vengono colpite più piano, col risultato che vengono trasformate in out più comodamente.

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