In un recente articolo, John Sickels parlando di Matt Moore, unanimemente considerato il miglior pitching prospect prima del 2012, ha paragonato l’attesa spasmodica per il debutto a tempo pieno del mancino dei Tampa Bay Rays a quella, altrettanto snervante, che precedette quasi due anni fa l’esordio di Stephen Strasburg in MLB. Questo per far capire l’impatto, più mediatico che tecnico, dell’ex prima scelta assoluta del draft 2009, che d’altra parte, al momento può vantare appena 111 innings lanciati nelle majors.
La carriera di quello che Sport Illustrated ha definito “the most hyped and closely watched pitching prospect in the history of baseball” ha inizio in California, a San Diego per la precisione: è con il team della San Diego State University che nel 2008 inizia a farsi notare. Una fastball che raggiunge la tripla cifra, una marea di SO e un eccellente controllo dei lanci: questo il suo mix vincente, che si unisce ad un fisico che sembra fatto apposta per stare sul monte di lancio.
Dopo la conquista del bronzo olimpico con la nazionale statunitense alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, l’anno successivo serve solamente per ritoccare le sue già eccellenti cifre al college e prepararsi a diventare quella che è forse la più scontata delle prime scelte di un draft MLB, almeno in tempi recenti. I Washington Nationals sono i fortunati che dispongono del primo pick e non possono esimersi dallo sceglierlo: la firma, costata la somma record di 15.1 milioni di dollari, arriva pochi istanti prima della deadline.
Mentre scrivo queste righe penso all’attuale situazione del draft, sconvolto dal nuovo accordo collettivo firmato in inverno: quest’anno gli Houston Astros, per la prima scelta, potranno spendere al massimo 7.2 milioni per non incorrere in penalità (luxury tax e perdita di scelte). Meno della metà, quindi. Ma questa è un’altra storia.
La storia di Strasburg, invece, riparte da Harrisburg, capitale della Pennsylvania: i Senators, infatti, sono l’affiliata della Eastern League (AA) di Washington. L’aver saltato direttamente i due livelli inferiori, low-A e A+, rappresenta un piccolo record, anche se non si tratta ovviamente di un’eccezione. La promozione in triplo-A è una formalità e già qualcuno invoca il passaggio diretto tra i “grandi”: a impressionare maggiormente, oltre agli ottimi numeri messi insieme, sono stuff e command. L’uso dei termini in inglese è voluto, per evitare di snaturare due parole che difficilmente si possono tradurre in maniera adeguata: chi mastica baseball non avrà problemi a capirne il significato.
È molto più difficile comprendere come queste due qualità possano convivere con una fastball che tocca le 100 mph: per la prima volta dal biennio magico 1999/2000 di Pedro Martinez si ha la sensazione che un pitcher possa dominare in maniera imbarazzante i lineup avversari. Il paradosso, anche in questo caso, è che gli avversari più impegnativi affrontati da Strasburg fino ad allora sono una mezza dozzina di lineup di AA/AAA.
Il battesimo del fuoco per lui arriva l’8 giugno, meno di un anno dopo la firma del suo primo contratto da professionista: l’avversario, i Pittsburgh Pirates, non è dei più temibili, come testimoniato dalla presenza di Lastings Milledge come n° 3, ma la cosa passerà ben presto in secondo piano.
L’inizio non sembra promettente, con Andrew McCutchen che si porta avanti 2-0 nel conto prima di venire eliminato al volo da Ian Desmond; anche Neil Walker lavora bene il conto, 3-1, ma la sua grounder non trova il buco a destra. Il già citato Milledge finisce K in soli tre lanci: a fine serata non sarà l’unico. Andy LaRoche, con 2 out nel secondo, trova una linea in campo opposto e batte la prima valida, ritagliandosi un piccolo spazio di notorietà.
Va anche meglio a Delwyn Young, una breve carriera in MLB da 344 partite spalmate in cinque stagioni: è principalmente un 2B che vanta una SLG di .393, frutto di 17 HR. Il più famoso è quello battuto proprio l’otto giugno nella parte bassa del quarto inning che vale il provvisorio vantaggio per i pirati.
Il giovane RHP non la prende bene: i successivi 10 hitters non riescono a mandare la pallina fuori dall’infield, otto di loro non riescono nemmeno a metterla in gioco. Dopo 94 lanci, sette riprese lanciate e 14 SO, compresi gli ultimi 7 battitori affrontati, si conclude l’esordio di Strasburg. Solo tre giocatori di Pittsburgh arrivano ad incassare almeno 3 balls in un AB, ma nessuno otterrà il free-pass in prima. I dodici strikeout swinging non impressionano meno delle 0 BB concesse.
Dieci giorni dopo, contro i Chicago White Sox, sforna una prestazione da 7 IP, 4 H, 0 BB e 10 K che sembra il preludio ad un gran finale di stagione: non ci saranno più performances con SO in doppia cifra, ma poco importa. L’era di Stephen Strasburg sta per iniziare, o almeno così sembra.
Infatti, il 21 agosto, contro Philadelphia, scende dal monte senza aver completato il quinto inning: si parla di un infortunio al gomito, tappa quasi obbligata nella carriera di moltissimi lanciatori. Circa una settimana dopo, i Nationals confermano quello che molti davano già per scontato: TJS e stop di almeno un anno.
La notizia, anche se sembra brutto da dire, rappresenta quasi una vittoria per i pionieri della biomeccanica, un’analisi su base medica che tenta di ripercorrere la strada aperta dalla sabermetrica in un mondo, quello del baseball, in cui le tradizioni sono dure a morire.
Questo interessante articolo apparso recentemente sul sito di ESPN dipinge un quadro che in molti forse avevano già previsto, ma che in pochi volevano ammettere: sostanzialmente i movimenti del pitcher californiano rappresentano una bomba ad orologeria, già esplosa una volta ma che rimane ancora una minaccia concreta. Lanciare dopo due operazioni al gomito non sarebbe una novità, chiedere a Scott Mathieson o Chris Capuano, ma certamente non rappresenta l’ambizione di ogni pitcher.
Quanto queste previsioni siano pessimistiche ce lo dirà solamente il tempo: l’unica cosa certa è che Washington dovrà tenere sotto osservazione non solo le cifre del suo asso (quelle del campo e quelle del conto bancario), ma anche la salute delle sue giunzioni. Il rischio di bruciare un talento così cristallino è troppo alto per poter permettersi scarsa attenzione ai dettagli.
Il suo rientro, avvenuto il 6 settembre dello scorso anno contro i Dodgers, è stato senz’altro positivo e il lungo periodo di stop non sembra aver intaccato l’ottimo command dei suoi lanci, come testimoniato dalle 2 BB concesse nei 24 innings finali della stagione.
L’ultimo e più recente capitolo di una carriera tanto breve quanto intensa è storia di qualche settimana fa: Stephen Strasburg ha ricominciato da dove aveva lasciato, vincendo due delle prime tre partenze e mandando K 19 battitori in altrettanti innings.
La sua nuova sfida sarà portare i Nationals per la prima volta alla post-season, evento mai verificatosi con lo spostamento della franchigia nella capitale statunitense: la dirigenza durante l’off-season non ha badato a spese per costruire una squadra competitiva. Ora tutto, o quasi, è sulle spalle del lanciatore californiano. In tutti i sensi.
Ragioniere, classe 1983, ho iniziato a scrivere per la redazione MLB di PlayItUsa nel 2009: tifo Atlanta Braves, adoro Oasis e Pearl Jam, oltre naturalmente al prosecco.