Il titolo, lo ammetto, è piuttosto riduttivo e anche ingannevole: quello che è successo e sta succedendo in quella che dal 1998 è la division più affollata in MLB, però, merita di essere analizzato da vicino. Nonostante sia praticamente impossibile prevedere le possibili conseguenze a breve e medio termine, almeno sul piano sportivo.
Tutto è iniziato il 21 ottobre, con l’ufficialità della nomina di Theo Epstein come nuovo “President of Baseball Operations” dei Chicago Cubs, la franchigia perdente per definizione: non si è trattato certamente di una mossa imprevista, visto che la notizia era nell’aria da almeno una decina di giorni. Nondimeno si è trattato di un grosso colpo a livello di immagine per la franchigia dell’Illinois, che ha deciso di affidarsi all’esperto di “maledizioni” per cercare di interrompere un digiuno che si protrae ormai da oltre un secolo.
Come detto, non c’è dubbio che si sia trattato di un’ottima mossa a livello di immagine del club, i cui tifosi più romantici già pregustano l’immancabile happy ending: il discorso è più complesso dal punto di vista tecnico, non per mancanza di fiducia nelle qualità di Epstein, quanto per l’oggettiva difficoltà nel bissare l’impresa compiuta in Massachussets, almeno in tempi brevi. Prima, cioè, che l’entusiasmo dei tifosi scemi completamente. Che razionalità e sentimento non vadano di pari passo, lo si potrà capire anche tra qualche riga.
Prima c’è spazio per l’unico sconvolgimento esclusivamente sportivo di questi due mesi: curiosamente si tratta dell’unica modifica che avrà effetto solamente dal 2013 e riguarda ovviamente lo spostamento in American League (nella AL West) degli Houston Astros, squadra materasso della division nelle ultime stagioni.
È realistico pensare che si tratterà quasi esclusivamente di un cambiamento formale, visto che le gerarchie interne non dovrebbero essere coinvolte dalle mancate sfide contro i texani delle cinque rivali: la vera rivoluzione riguarderà l’intera MLB, che ritornerà ad avere lo stesso numero di squadre suddiviso in due leghe e il conseguente incremento delle sfide di interleague. Ma si tratta comunque di una svolta per una division abituata da quasi quindici anni ad essere la più numerosa; più di tutti, festeggeranno i tifosi texani, che avranno più di un’occasione per godersi il derby tra Rangers e Astros.
Probabilmente questi ultimi avranno festeggiato solamente fino all’otto dicembre, giorno in cui Albert Pujols è diventato ufficialmente un giocatore dei Los Angeles Angels: in quello che rimane il più clamoroso colpo non solo di questo mercato, infatti, lo slugger dominicano ha abbandonato St. Louis per volare in California, convinto dagli oltre 250 milioni di dollari messi sul piatto dal nuovo GM Jerry DiPoto.
In questo caso la partenza del prima base è stato veramente uno shock, nonostante la possibilità fosse stata paventata fin dalla prima ora dell’off-season: la realtà era che quasi tutti, compreso il sottoscritto, pensavano che il matrimonio tra il giocatore e la franchigia del Missouri fosse di quelli destinati a durare per sempre, soprattutto alla luce delle World Series appena vinte. Difficile, anche a distanza di qualche giorno, capire che influenza possa avere avuto sulla scelta, l’addio di Tony LaRussa.
Non è certo più facile, soprattutto per i tifosi dei Cardinals, trovare una spiegazione razionale alla notizia: il senso di fiducia tradita è stato ampiamente pubblicizzato, com’era facile prevedere, su internet. Al netto di tutte queste “rimostranze”, alcune delle quali esternate in maniera anche piuttosto incivile, però, rimane un dato di fatto semplice: la scelta di una retribuzione migliore per il proprio lavoro.
Infatti, com’è indubbio che chiunque cerchi, salvo casi estremi, di migliorare costantemente la propria situazione salariare, è altrettanto vero che le due offerte messe sul piatto da Angels e Cardinals non siano paragonabili. Magari si può discutere quanta differenza facciano i circa 40 milioni di dollari di differenza, ma additare come traditore una persona che sceglie di guadagnare di più per il proprio lavoro mi sembra quantomeno incoerente e ingeneroso.
Le recenti dichiarazioni della moglie del giocatore, poi, che parlano di una prima offerta da parte di St. Louis di 130 milioni di $ per cinque anni, depone, se confermata, a favore del giocatore, che si è visto offerto un contratto “ridicolo” per il suo valore. Che sia stato questo il motivo che lo ha spinto a firmare un contratto con una clausola che lo legherà agli Angels per 10 anni anche dopo il ritiro? Difficile da dire, sia per l’unicità della clausola sia per la pochezza dei dettagli a disposizione.
L’intera vicenda, però, è quasi immediatamente passata in secondo piano, dopo i primi tweets che sabato scorso hanno portato alla luce la presunta positività ai test antidoping di Ryan Braun, simbolo dei Brewers, e fresco MVP della National League. Il condizionale è ovviamente d’obbligo in questi casi, soprattutto prima di conoscere l’esito delle contro analisi.
Due fatti, però, rappresentano già delle certezze: il primo è che il giocatore sia ormai irrimediabilmente segnato, ma, cosa ancora più grave, è lampante la mancanza di riservatezza che limiti il diffondersi di notizie come queste che, dopo appunto l’esito contro analisi, potrebbero rivelarsi enormi bolle di sapone. Come invece spesso accade in questi casi, la notizia è trapelata e diventata di dominio pubblico in tempi rapidissimi: scatenando, come da copione, gli immancabili commenti dei moralisti di turno.
Intendiamoci, il sottoscritto è assolutamente contrario all’uso di sostanze dopanti e, anzi, la squalifica prospettata di 50 partite rimane forse una pena fin troppo leggera: il tutto, però, dopo che l’iter a disposizione del giocatore per dimostrare la sua eventuale “innocenza” si sia concluso. E visto che le contro analisi servono proprio per ribaltare i possibili errori dei primi risultati, un minimo di pazienza e prudenza nei giudici mi sembra sia dovuto.
Anche perché le ultime notizie, che parlano di sostanze proibite e non P.E.D. (Performance Enhancing Drug) presenti in misura insanely high, non fanno altro che alimentare i dubbi sulla validità dei primi esami: aspettiamo, quindi, a tratte ogni qualsivoglia giudizio sulla vicenda, perché il rischio di una smentita è davvero dietro l’angolo.
Per chi se lo fosse chiesto, il premio di MVP non verrà revocato dalla BBWAA, che si è già pronunciata in merito: né, d’altro canto, si può sperare che intervenga la lega essendo gli awards di proprietà dell’associazione dei giornalisti. L’eventuale punizione pratica, si dovrebbe concretizzare, come detto, in una squalifica di cinquanta partite nella prossima stagione: non una bella prospettiva per una squadra che, verosimilmente priva di Prince Fielder, potrebbe già dover dire addio ai sogni di repeat prima della pausa di metà stagione.
Questo, in definitiva, è la situazione che si presenta a poco meno di quattro mesi dall’inizio dell’ultima Regular Season con sei squadre nella stessa division: i Cinccinati Reds, forse, potrebbero esultare viste le disgrazie altrui, ma il loro pitching staff non da, ad oggi, adeguate garanzie di successo per il 2012.
Il mercato, spesso unico fattore in grado di cambiare l’aspetto di una division tra un’annata e l’altra, non ha ancora sparato tutte le sue cartucce, sia ovviamente a livello di trades, sia sul fronte dei FA. Chissà che ad aprile, magari, lo scenario non si sia nuovamente ribaltato.
Perché dopo un inverno iniziato con i botti, è lecito attendersi una conclusione altrettanto spettacolare.
Ragioniere, classe 1983, ho iniziato a scrivere per la redazione MLB di PlayItUsa nel 2009: tifo Atlanta Braves, adoro Oasis e Pearl Jam, oltre naturalmente al prosecco.