Accomunate dal beffardo destino di essere le due franchigie perdenti in quelle che saranno ricordate come le Divisional Series tra le più belle della storia, Phillies e D’Backs si avviano al 2012 con stati d’animo diametralmente opposti, così come diversissime sono state le strade che hanno portato le due squadre al traguardo raggiunto.
La storia
I Phillies sono stati tutta la stagione in modalità “win now absolutely”, nuova categoria creata appositamente per loro dopo la firma di Cliff Lee e la formazione di un super quartetto in rotazione che comprendeva, oltre a Lee, nientepopodimeno che Halladay, Oswalt e Hamels, ovvero 4 top pitchers che, singolarmente, potevano essere numeri uno ovunque.
Tutti pregustavano già la eventuale rivincita contro la altrettanto forte rotazione di San Francisco che nel 2010 aveva avuto la meglio su quella di Philadelphia, anche grazie al momento magico che alcuni membri dei Giants avevano avuto in dono dagli dei del baseball, proprio al momento giusto.
Dopo aver dominato la stagione e centrato la bellezza di 102 vittorie (e con i Giants fuori dai playoff, a scanso di ricorsi storici) l’obiettivo dichiarato erano le World Series ma, come l’anno precedente, l’attacco è arrivato scarico all’appuntamento decisivo.
Dopo aver segnato 11 punti in gara 1, la paralisi è stata quasi totale ed Howard (2 su 19 nella serie) ne è stato l’emblema più significativo; i Phillies hanno segnato 10 punti nelle restanti quattro partite, restando addirittura a secco nel memorabile 1-0 di gara 5, costretti alla dieta più ferrea da uno splendido Carpenter.
Il lineup di Phila è stato messo a cuccia senza andare in base 19 volte negli ultimi 31 innings ed è stato senza segnare in 31 degli ultimi 36.
La beffa finale si è poi concretizzata nell’ultima at bat, nella quale Howard (curiosamente, ancora lui come nel 2010 contro i Giants) si è seriamente infortunato al tendine d’Achille, compromettendo probabilmente parte della prossima stagione.
Da non dimenticare però che Lee ha gettato alle ortiche un vantaggio di 4 runs in gara 2 e Oswalt ha subito 5 punti in sei IP in gara 4, tanto per chiarire che non tutte le colpe sono da attribuire allo slump offensivo.
In ogni caso, la sconfitta è stata vissuta a Philadelphia come si convive con una calamità naturale, ovvero con quella sensazione di rovine fumanti e con la necessità di rimboccarsi le maniche e ricostruire tutto.
Arizona invece veniva da uno sconfortante ultimo posto divisionale, ottenuto a fronte di ben 97 sconfitte in stagione.
Il lavoro che aspettava il nuovo GM Towers ed il coach Gibson non era pertanto dei più semplici ma il duo ha lavorato alla perfezione ed il brutto anatroccolo si è presto trasformato in splendido cigno.
Il merito maggiore del GM è stata la ricostruzione del bullpen, veramente penoso nel 2010 ed adesso discretamente affidabile, mentre al coach va innegabilmente concesso (oltre al più che probabile Manager of the Year) che l’instancabile lavoro sulla mentalità dei giocatori ha riscosso grossi dividendi.
Assolutamente non pronosticati in pre season, i D’backs sono stati sottovalutati costantemente anche per quasi tutta la stagione, fino a che non hanno approfittato delle carenze dei Giants, sorpassandoli e non girandosi più indietro e dimostrandosi una squadra assolutamente “resilient” e le innumerevole vittorie in rimonta stanno lì a dimostrarlo.
Questa forza d’animo Arizona l’ha mostrata per intero anche nelle NLDS, rimontando da 0-2 contro i più quotati Brewers e sfiorando a più riprese una vittoria che sarebbe stata storica, visto che nessuna squadra ha mai rimontato dallo 0-2 iniziale, e probabilmente anche meritata.
La sensazione che si vive a Phoenix adesso è che, nonostante il rammarico per l’occasione persa, il 2011 sia servito a porre le fondamenta per un futuro ancora più brillante e questo ci porta a paragonare di nuovo Arizona con Philadelphia.
Il futuro di Phila
Le prospettive per il 2012 portano ancora sorrisi per Arizona e fosche nubi su Philadelphia, nonostante si parli di una franchigia che un payroll secondo solo a quello degli Yankees.
Rollins, Lidge, Oswalt, Ibanez e Madson andranno in free agency, con 113 milioni già impegnati dai contratti in essere; a questi vanno aggiunti gli aumenti derivanti dalle arbitration, tra cui quelli di Hamels e Pence si preannunciano discretamente pesanti.
Il GM Amaro dovrà fare scelte dolorose perché stiamo parlando di giocatori che hanno fatto la storia recente della franchigia: il caso più spinoso è quello di Rollins che, a 33 anni, chiede 4/5 anni di contratto ma ha già dichiarato che starebbe molto volentieri ancora a Philadelphia.
Nelle minors, scalpita Galvis (minor league player of the year) ma il ragazzo ha solo 21 anni e potrebbe rappresentare un salto nel buio.
Altrettanto critica la situazione del bullpen dove Lidge probabilmente sarà lasciato andare a ricostruirsi una carriera da closer e per Madson si dovrà affrontare il malefico Scott Boras, terrore di ogni GM nelle majors.
Con la qualità di Lee, Halladay e Hamels a disposizione, visto anche l’emergere di Worley in regular season , la conferma di Oswalt potrebbe non essere una priorità così come quella di Ibanez, con Mayberry pronto a giocare da titolare in esterno sinistro e Domonic Brown ormai quasi pronto per le majors.
Ma, oltre alle free agency, ci sono gli infortuni a addensare di nubi la off season di Amaro e Manuel: Howard salterà l’inizio di stagione quasi sicuramente, Polanco, Hamels e Pence si sono appena operati anche se le preoccupazioni maggiori gravano sul veterano terza base, ormai cliente fisso della disabled list.
Probabile quindi un intervento a supporto degli angoli dell’infield, anche se Mayberry può farsi valere anche in prima base, oltre che in esterno.
In conclusione, Phila da adesso è un cantiere aperto ed adesso è assolutamente impronosticabile predirre con quali volti si presenterà al via nel 2012: di sicuro, ci saranno molte novità nella corazzata che ha dominato la NL East negli ultimi cinque anni e probabilmente i favori del pronostico che la accompagnano regolarmente non saranno così netti come nelle passate stagioni.
Il futuro di Arizona
Assolutamente più serena si presenta la off season di Towers, con i soli Hill e Saunders sul piede di partenza.
Hill ha un opzione che, se esercitata dal club, gli farà guadagnare 8 milioni a stagione nei prossimi due anni: probabile che l’opzione venga declinata perché effettivamente costosa ma l’impatto del seconda base arrivato a metà stagione da Toronto è piaciuto a tutti e Towers tenterà di trattenerlo a cifre più ragionevoli.
Anche Saunders si è ricostruito un certo valore e Towers potrebbe offrirgli un contratto che vedrebbe salire lo stipendio ben oltre i 5,5 milioni del 2011 ma molto dipenderà dalla valutazione che il GM farà dei giovani promettentissimi lanciatori che stanno aspettando di essere chiamati a dimostrare il loro valore sul palcoscenico principale.
Stiamo parlando soprattutto di Parker, Bauer, Skaggs e Corbin che potrebbero unirsi ai già affermati (benché anche loro molto giovani) Kennedy ed Hudson ed alla sorpresona Collmenter, chiamato alla conferma.
Da non dimenticare neppure i collaudati Miley e Enright, anche se quast’ultimo è reduce da una stagione difficile.
Con tale profondità nel settore, è possibile che le risorse disponibili vadano a puntellare l’infield nella trattativa con Hill oppure su un forte terza base ed il conseguente spostamento di Roberts in seconda.
Probabile conferme per Bloomquist, la cui versatilità è stata preziosissima in stagione, e Blanco come back up catcher; ambedue hanno mutual option in contratto.
L’outfield è tutto sotto contratto (Upton, Young e Parra) e probabilmente sarà cercato un quarto esterno di esperienza maggiore di quella di Gillespie e Cowgill, impresa non difficilissima e neppure troppo dispendiosa.
Con l’esplosione di Goldschmidt, la prima base è assicurata per diverse stagioni a prezzi stracciati ed il rientro di Drew completerebbe l’infield che potrà contare ancora sul catcher Montero, uno dei migliori nel ruolo.
In questo scenario, non ci sorprenderemmo molto se a dicembre Towers avesse già concluso le operazioni, magari inserendo un paio di rilievi a roster nonostante il bullpen mantenga tutti i protagonisti del 2010.
Gibson potrà così ripartire da dove ha lasciato, senza quel lieve sapore di amaro che ha lasciato la sconfitta con i Brewers ma con tanta, tantissima convinzione in più ed una squadra giovane e forte da mandare in campo.