Dopo il solito periodo di calma che segue la chiusura della stagione, i riconoscimenti individuali resi pubblici in questi giorni hanno ridestato l’interesse e l’attenzione dei tifosi di baseball già intristiti di fronte all’ennesimo lungo inverno che precede lo Spring Training di marzo.
Molti premi, e soprattutto i più reclamizzati, non sono stati ancora ufficializzati e anche il mercato non è ancora entrato nel vivo scatenando la fantasia degli appassionati: quale momento migliore, dunque, per fare un breve passo indietro per tracciare un rapidissimo bilancio di questo 2010 che sta per chiudersi?
La prima, logica, tentazione era di iniziare con i freschi campioni di San Francisco, ma poi le perplessità sull’ordine da seguire, mi hanno fatto optare per un classico recap in rigoroso ordine alfabetico.
Ecco quindi i promossi e bocciati dell’ultima stagione.
1. Arizona Diamondbacks
Tanti infortuni tra i partenti (Brandon Webb e Jarrod Parker in primis) e un bullpen sfortunato e inaffidabile hanno spento sul nascere ogni velleità di post-season per la squadra dell’Arizona. Peccato perché l’attacco, nonostante il record di SO subiti (1529 di cui 211 di Mark Reynolds) ha dimostrato di essere adeguato per una contender. Edwin Jackson, contro i Rays, è diventato il secondo lanciatore nella storia dei D’Backs ha completare un no-hitter.
Stagione tutto sommato in linea con le attese della vigilia e conclusa con la conquista della post-season: tanto pitching di qualità (in particolare tra i rilievi) e un attacco paziente ma leggero è stato il leit motiv della stagione in Georgia. Da ricordare il debutto di Heyward, ma anche il 2010 di Melky Cabrera, che prosegue la tradizione che vede i Braves schierare il peggior giocatore in MLB dal 2008 (Francoeur e Anderson i precedenti). Bobby Cox lascia dopo oltre 4.500 partite come manager.
Sotto la guida di Buck Showalter hanno chiuso 34-23 evitando le 100 sconfitte che sembrano garantite dopo i primi mesi di regular season; le aspettative su Wieters e vari Matusz, Tillman e Arrieta sono state un po’ deluse, e in particolare tutto il lineup ha prodotto poco, come testimoniato dalle varie classifiche offensive dell’American League, che vedono la squadra agli ultimissimi posti, soprattutto alla luce della mancanza di alternative a Nick Markakis e Luke Scott.
Stagione condizionata pesantemente dagli infortuni che hanno letteralmente decimato il lineup, che nonostante tutto ha chiuso la stagione con .790 di OPS, guidando l’intera lega. La rotazione e il bullpen hanno reso secondo le aspettative (4.30 xFIP di squadra), ma giocare nella stessa division di Yankees e Rays è stato un ostacolo troppo complicato da superare, in queste condizioni. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, va applaudita la comunque ottima stagione dei vari panchinari e prospetti chiamati ad un ruolo da protagonisti per quasi tutto l’anno.
Anche in questo caso il cambio di manager, da Piniella a Quade, ha prodotto discreti risultati (24-13) nel complesso di una stagione comunque piuttosto deludente per la franchigia dell’Illinois, che ha chiuso al quinto posto la NL Central. Il “caso Zambiano” è solo la punta dell’iceberg di una stagione chiusa nella più totale mediocrità, sia in attacco sia sul monte. Le note positive arrivano dai due rookie Starlin Castro e Tyler Colvin, quest’ultimo protagonista di un pericoloso incidente nel finale di stagione.
Stagione discreta ma chiusa, per il secondo anno consecutivo, alle spalle di Minnesota: non sono bastate le buone prove sul monte di Buehrle, Danks e Floyd e l’ottima stagione di Paul Konerko, capace di battere .312 con 39 fuoricampo. La difesa è stato uno dei principali punti deboli della squadra, oltre alla mancanza di alternative in attacco, nonostante l’ingaggio estivo di Manny Ramirez.
Dopo qualche anno di attesa, il talento di Joey Votto è esploso in maniera evidente in un 2010 che lo vede tra gli aspiranti al premio di MVP stagionale: il lineup, il migliore come produzione offensiva in NL, è stato il grande protagonista trascinando il team ai playoff a dispetto di una rotazione piuttosto debole, soprattutto se paragonata alle altre contendenti della fase finale. Da seguire, nei prossimi anni, il mancino cubano Aroldis Chapman e la sua veloce da oltre 100 mph.
Tipica stagione di transizione per il team dell’Ohio, impegnato a ricostruire per tornare competitivo nei prossimi anni: il lineup è stato tra i peggiori in AL, con il solo Choo capace di chiudere con almeno .300 di media battuta. Sul monte le cose sono andate solo marginalmente meglio, visto che solo Baltimore e Kansas City hanno terminato la stagione con una xFIP di squadra peggiore in tutta la lega. La nota positiva però c’è stata e risponde al nome di Carlos Santana.
La solita rimonta di settembre non è riuscita, ma la stagione in Colorado non ha mancato di regalare ottime prestazioni dei singoli, dal no-hitter di Ubaldo Jimenez, probabilmente il miglior partente della lega fino all’All-Star Game. Impossibile non citare la stagione di Carlos Gonzalez (336/376/598) e il settembre rovente dell’altro GG Troy Tulowitzki, capace di battere 15 fuoricampo nelle ultime 30 partite di regular season.
Le due stelle principali della squadra, Justin Verlander e Miguel Cabrera, hanno avuto un ottimo rendimento, ma alle loro spalle c’è stato pochissimo, specialmente tra i lanciatori. Non c’è molto dunque da salvare dopo un’annata chiusa in parità (81-81) se si esclude la produzione del prima-base che ha chiuso con .328 AVG, 180 hits, 38 HR e 126 RBI; meritano una menzione la buona stagione di esordio di Austin Jackson come esterno centro e il perfect game da 28 out di Armando Gallaraga.
Stagione senza infamia e senza lode anche in Florida, dove il payroll ridicolmente basso rende problematiche molte ambizioni: il pitching staff è stato decisamente corto, vista la mancanza di elementi positivi alle spalle di Josh Johnson e Ricky Nolasco. Il lineup ha presentato qualche giovane interessante (Stanton e Morrison), ma la poca disciplina al piatto (24.9 K%, 29simo posto in MLB) non ha permesso di sfruttare le buoni doti di potenza di Uggla e compagni.
Dopo la partenza dei due giocatori simbolo, Oswalt e Berkman, la squadra ha migliorato il proprio rendimento, grazie soprattutto ad una rotazione, guidata dal positivo Brett Myers, sorprendentemente efficace e futuribile. In attacco, però, il team texano ha fatto molta fatica come testimoniato dai dati sulle runs segnate (608) e i fuoricampo battuti (108).
Non c’erano molte ambizioni in Ohio per la stagione dei Reali, che hanno confermato sul campo i dubbi che li accompagnavano alla vigilia: rotazione indecifrabile con un Greinke ben al di sotto degli standard del 2009. Con una xFIP di 4.59 il team ha chiuso al penultimo posto nella lega, e anche l’attacco, pur presentando qualche elemento interessante, ha lasciato abbastanza a desiderare. La pessima difesa di squadra ha fatto il resto.
Dopo tre titoli divisionali consecutivi la franchigia della California ha dovuto abdicare nel 2010 a favore dei Rangers: la rotazione, storico punto di forza della squadra, ha risentito notevolmente della partenza di John Lackey e il solo Weaver, pur giocando ottimamente, non è riuscito a fare la differenza. Il lineup ha patito molto la perdita per infortunio di Kendry Morales, principale catalizzatore offensivo della squadra, limitato a sole 51 partite nel 2010.
Doveva essere la stagione della conferma, dopo l’ottimo 2009, per i ragazzi di Joe Torre, e invece si è conclusa con la vittoria finale degli odiati rivali di San Francisco. Gli infortuni e le disavventure di Manny Ramirez e Andre Ethier hanno tolto molto del potenziale offensivo della squadra. Sul monte l’ingaggio di Ted Lilly non è bastato a risollevare una rotazione che si è trovata a schierare Vicente Padilla come partente all’opening day.
Stagione dalle due facce in Wisconsin: sulla carta la squadra era considerata, alla vigilia, molto forte al piatto ma debole sul monte, e il campo ha confermato in pieno le previsioni. Spiccano molte individualità nel lineup, cominciando da Braun e McGehee e terminando con i vari Hart, Fielder e Weeks che hanno portato il team ai vertici di tutte le classifiche offensive di rendimento. Tra i lanciatori, al contrario, dopo il positivo Gallardo c’è stato il vuoto.
La squadra di Minneapolis si è imposta nell’AL Central per il secondo anno consecutivo, ma come nel 2009 l’avventura in post-season si è interrotta rapidamente, in tre partite, contro gli Yankees. Il bilancio, per il 2010, rimane ovviamente più che positivo: il lineup, privo di Justin Morneau, ha prodotto alla grande grazie ad uno straordinario Jim Thome da 1.039 di OPS come DH. Francisco Liriano e Carl Pavano hanno guidato una rotazione poco spettacolare ma solida, e l’eccellente profondità del bullpen ha sopperito benissimo all’assenza di Joe Nathan.
Il quarto posto divisionale con un record di 79-83 è probabilmente un risultato che nemmeno i tifosi newyorkesi più pessimistici si sarebbero aspettati ad inizio anno: impossibile, in poche righe, riassumere tutti i problemi della franchigia della Grande Mela. Bastano i nomi di Beltran, Francoeur, Bay, Castillo e Perez. Non mancano le note positive, Davis, Niese, Dickey e Thole tra le altre, ma diventa francamente difficile non parlare di fallimento per la squadra dell’ex manager Jerry Manuel (terzultima in NL come OBP).
Ancora una buonissima annata per New York, che ha centrato l’ennesimo accesso ai play-off al termine di una regular season chiusa con uno dei migliori record di tutta la lega: il lineup, in cui spicca l’ottima stagione di Robinson Cano, si è confermato tra i migliori in circolazione, come testimoniato dalle varie classifiche di rendimento, a dispetto di qualche infortunio di troppo. Qualche problema in più sul monte, con una rotazione che si è scoperta un po’ corta dopo l’infortunio di Pettitte e i problemi di Burnett.
Il 2010 è stato abbastanza positivo per la squadra della Baia, cui è mancata una mazza pesante nel lineup per impensierire i Texas Rangers (.122 ISO di squadra, 28simo posto in MLB). Tra i lanciatori, quinti in AL come xFIP, da segnalare le ottime stagioni di Trevor Cahill e Brett Anderson, anche se il palcoscenico è tutto per Dallas Braden e il suo perfect game contro Tampa Bay. Menzione d’obbligo, infine, per la difesa, la migliore in assoluto in termini di runs saved.
Annata strana per i campioni 2008, caratterizzata, ed è una novità per i Phillies, da un parco partenti a tratti dominante e un lineup un po’ sottotono rispetto alle scorse stagioni. Il risultato, però, non è cambiato visto il miglior record in RS e l’ennesima vittoria divisionale ad est: sulle prestazioni dell’attacco pesano i numerosi infortuni che hanno colpito la squadra. Monte, come detto, veramente eccellente, grazie al terzetto composto da Halladay, Oswalt e Hamels, con il pitcher canadese autore di un perfect game e un no-hitter e logico candidato al premio di NL CY Young.
Non sono molte le note positive da segnalare in Pennsylvania dopo una stagione chiusa con il peggior record tra tutte le 30 squadre: bene Andrew McCutchen, vero leader della squadra, e i rookie Walker, Alvarez e Tabata. Per il resto, le statistiche parlano di seconda peggior difesa dopo Kansas City (-81 DRS), quartultimo pitching staff (4.53 xFIP) e terzultimo attacco (.678 OPS): in particolare il parco lanciatori ha faticato moltissimo e offre ben poche garanzie anche per il futuro.
Stagione per molti aspetti davvero sorprendente al Petco Park, dove i Padres sono rimasti in corsa per un posto tra le migliori otto squadre fino all’ultimo giorno di regular season. Il motivo è presto detto: un parco partenti eccellente, in cui si segnala il giovane Mat Latos, un bullpen straordinario (primo come xFIP e tERA) e una difesa tra le migliori in tutta la NL. È mancato, come prevedibile, l’attacco che, tolto Adrian Gonzalez, semplicemente non è stato all’altezza (.689 OPS e .125 ISO).
Più che per le pur ottime statistiche di squadra, la stagione sarà ovviamente ricordata per l’emozionante cavalcata finale e per le gesta dei suoi protagonisti. A cominciare da una rotazione stellare che ha visto l’affermazione di Sanchez e Bumgarner al fianco degli ottimi Lincecum e Cain; impossibile non citare, poi, le tante salvezze del barbuto Brian Wilson. In attacco, menzioni sparse per Aubrey Huff e Pat Burrell, per le sorprese Cody Ross e Edgar Renteria, MVP delle World Series; e attenzione a Buster Posey, giovane fenomeno dietro al piatto.
Stagione partita con molte ambizioni ma conclusa in sordina dopo gli ingaggi invernali di Cliff Lee, Chone Figgins e Milton Bradley: la coppia Lee-Hernandez, la migliore sulla carta in tutta la lega, non è riuscita a trascinare un lineup deludente ben oltre le iniziali perplessità di aprile. Il bilancio finale parla di 101 sconfitte e ultimo posto divisionale, dopo una stagione chiusa con appena 513 runs segnate, frutto di una SLG di squadra ferma a quota .339.
In Missouri l’obiettivo era quello di riconfermarsi al vertice nella NL Central dopo la cavalcata del 2009: la buona stagione del rookie Jaime Garcia, che ha affiancato i sempre positivi Carpenter e Wainwright, ha permesso di assorbire bene la partenza di Pineiro e gli infortuni di Penny e Lohse. Il bullpen ha faticato (quartultimo come xFIP in NL) e l’attacco non è riuscito a presentare valide alternative alla solita coppia Pujols-Holliday, specialmente dopo la trade che ha spedito Ryan Ludwick a San Diego.
La franchigia della Florida è riuscita a bissare l’ottimo 2008 imponendosi nell’insidiosa AL East davanti a Yankees e Red Sox in virtù di un roster talentuoso e profondo in ogni reparto, ma arrivato ai playoff con le pile un po’ scariche. Il lineup ha guidato la lega in termini di BB%, e anche il parco lanciatori ha fatto egregiamente la sua parte risultando il migliore, dopo Minnesota e Chicago, come rendimento in American League. Menzione obbligata per Matt Garza e il suo no-hitter contro Detroit.
La squadra texana è arrivata, un po’ a sorpresa, fino all’atto finale, ma si è dovuta inchinare ai Giants: la novità, rispetto alle precedenti deludenti annate, va ricercata in una rotazione che con l’arrivo in estate di Cliff Lee si è ritrovata quanto mai competitiva, dopo le esplosioni di C.J. Wilson e Colby Lewis. Tra i rilievi si è messo in evidenza il rookie Neftali Feliz, ma è in attacco che il team ha fatto, come al solito, la differenza. Josh Hamilton, pur limitato da un paio di infortuni, ha messo insieme una stagione da MVP e i vari Young, Kinsler, Guerrero e Cruz si sono confermati su ottimi livelli.
È stata soprattutto la stagione di Jose Bautista, inatteso re dei fuoricampo con 54 palline spedite oltre le recinzioni: nessun’altra franchigia, nel 2010, è stata così identificabile con un solo giocatore come quella canadese. Le straordinaria prestazione dell’esterno dominicano hanno permesso alla squadra di chiudere la stagione con ben 257 HR (primi in SLG nell’intera MLB); la rotazione si è dimostrata solida e ha pagato il fatto di affrontare avversari di spessore. Oltre a Ricky Romero, menzione per Brandon Morrow, 17 SO e un quasi no-hitter contro Tampa Bay.
Ancora una stagione di transizione per la franchigia della capitale, che continua la costruzione di un roster di qualità attorno ai 2/3 giocatori simbolo: Ryan e Jordan Zimmerman sono state le punte dei rispettivi reparti, ma la mancanza di un supporting cast all’altezza non ha permesso al team di elevarsi dalla mediocrità (.780 OPS e 4.29 xFIP, metà classifica nella lega). Il 2010 è stato anche l’anno dell’esordio di Stephen Strasburg che si è presentato con 14 K in 7 innings contro Pittsburgh; purtroppo un infortunio al gomito lo terrà lontano dal diamante per almeno un anno.
Ragioniere, classe 1983, ho iniziato a scrivere per la redazione MLB di PlayItUsa nel 2009: tifo Atlanta Braves, adoro Oasis e Pearl Jam, oltre naturalmente al prosecco.
io sono stata contenta che hanno vinto i Giants, a San Fransisco chissà’ che festa hanno fatto i miei amici!
complimenti per il blog! anche io ho lo stesso tema!
ciao Miriam