“In principio era Mikan. George Lawrence di nome, Mr. Basketball per soprannome. Occhialuto viso pallido di 6’10” per 240 libbre. Classe 1924. College De Paul.
Sette stagioni in NBA, ai Minneapolis Lakers. Cinque titoli. Quelli ufficiali, almeno. Complessivamente gli almanacchi ne contano sette in nove anni. L’unico giocatore della storia a vincere almeno un anello in ognuna delle tre leghe che hanno fatto la storia del professionismo americano: NBL, BAA e ovviamente l’attuale NBA.
Le sue medie in carriera parlano di 23.1 punti e 9.5 rimbalzi a partita. Inarrestabile per i suoi tempi. Con lui nacque il concetto di giocatore dominante.”
Così iniziava un mio vecchio pezzo di NBA Legendary Games. Un omaggio alla prima grande superstar del basket a stelle e strisce. Quella che ha avuto l’impatto maggiore, difficilmente misurabile. Oseremmo dire, incalcolabile. Superiore a quello di Jordan, paragonabile forse solo a quello di Bill Russell.
Fa effetto a dirsi, ma prima di George Mikan il basket era considerato uno sport più adatto ai giocatori piccoli, agili e veloci che non ai giganti, lenti e dalla scarsa coordinazione. Poi arrivò lui e tutto cambiò.
Cambiò talmente tanto che l’ufficio competizioni della lega dovette modificare alcune regole per limitarne lo strapotere. Dapprima nel 1951 raddoppiò l’area dei tre secondi, cosicché George per non incorrere nell’infrazione era costretto a stare più lontano da canestro, avendo meno possibilità di dominare sotto i tabelloni.
In seguito adottò l’abolizione della stoppata in parabola discendente. Infine il cambiamento più importante. Quello che ha stravolto il gioco del basket, rendendolo quello sport meraviglioso che tutti noi amiamo. L’introduzione nel 1954 del limite dei 24 secondi per il tiro.
Provvedimento reso necessario perché le squadre che affrontavano i Lakers si ritrovavano a tenere la palla più a lungo possibile per evitare che finisse nelle mani dei giallo-viola e quindi di Mikan per due punti sicuri.
Eppure gli inizi per il ragazzo nato a Joliet nell’Illinois non furono dei migliori.
George fu scartato dalla squadra di basket del suo liceo, perché portava gli occhiali ed i suoi piedi non erano sufficientemente veloci per questo sport. Finite le superiori, tenne un provino presso il college di Notre Dame, ma anche lì gli andò male.
A questo punto George sembrò accantonare definitivamente l’idea del basket, nonostante i suoi due metri ed otto centimetri che per l’epoca erano un’altezza notevole. Si iscrisse alla migliore università di Chicago per diventare avvocato: De Paul.
Il coach della squadra di basket era Ray Meyer (colui che ne abbandonò la guida solo nel 1984, quarantadue anni dopo la nomina).
Meyer convinse il giovanissimo George a provare a giocare per loro. Fu lui a costruire passo dopo passo lo splendido giocatore che in seguito sarebbe stato il 99 dei Lakers.
Lo sottopose ad una serie di allenamenti al limite dell’impossibile. La corsa, la danza, il salto della corda, il pugilato. Ne voleva fare innanzitutto un atleta. Voleva rendere coordinato quel ragazzone enorme, goffo e miope.
Sul campo da basket gli tirava contro palloni di varie dimensioni (da quello da basket alle palline da tennis) a velocità elevatissime per svilupparne la reattività.
Lo faceva andare in uno contro uno con il play della squadra alto poco più di un metro e mezzo, lo costrinse a migliorare il trattamento di palla, gli insegnò l’uso del gancio sinistro e destro.
“Fu come vedere sbocciare un fiore” il commento di Meyer molti anni dopo.
Ricambiato da un Mikan che più volte si è ritrovato ad affermare: “Nella mia vita di cestista nessuno è stato prezioso per me come Ray Meyer. Nessuno.”
Mikan sbocciò e fu migliore marcatore della NCAA nelle sue ultime due stagioni (1944-45 e 1945-46). Nel torno NIT del ’45 surclassò la concorrenza, segnando 40 punti di media nelle 3 partite che portarono De Paul a vincere il titolo.
Così, colui che nel 1946 si apprestava a varcare le soglie del professionismo era ormai un giocatore completo, veloce, tecnicamente valido, dai movimenti inarrestabili, agonisticamente cattivo e dotato di una notevole competitività e tenacia.
Il 16 marzo George firmò un contratto quinquennale con i Chicago American Gears, squadra della NBL, la National Basketball League. Sessantacinquemila dollari complessivi, una cifra astronomica per l’epoca.
Arrivò subito il titolo a coronamento di una stagione in cui il rookie realizzò 16.5 punti a partita in un contesto dai punteggi bassissimi.
Subito dopo la vittoria, Maurice White, proprietario dei Gears decise di fondare una lega tutta sua, composta da 24 franchigie, di cui lui stesso era unico proprietario. Nacque così la Professional Basketball League of America.
I Gears e Mikan dovevano esserne la principale attrattiva. Ma il sogno di White durò esattamente un mese. La lega si sciolse ed i giocatori liberi vennero divisi fra le varie franchigie della NBL.
Mikan finì ai Minneapolis Lakers, per un connubio vincente che dominerà il basket professionistico americano per parecchi degli anni a venire.
Nella prima stagione a Minneapolis (1947-48) arrivò nuovamente un titolo. Il secondo consecutivo per il ventiquattrenne centro da De Paul. Per lui 21.3 punti in Regular Season. In finale la sua media salì fino a 27.5.
Subito prima dell’inizio della stagione successiva, cinque squadre tra cui i Minneapolis Lakers abbandonarono la NBL per approdare nella lega concorrente, la più competitiva BAA (Basketball Association of America), dove già militavano franchigie di città importanti, quali New York, Chicago, Philadelphia, Boston.
Ma il cambio di lega non apportò variazioni di sorta al leit-motiv del basket americano di quegli anni, nonostante la concorrenza più spietata. Mikan dominava. Mikan vinceva. Un altro titolo, il terzo consecutivo in tre stagioni. Il primo riportato sugli almanacchi ufficiali della attuale NBA per il centro giallo-viola.
Durante la Regular Season, George fece registrare lo strabiliante bottino di 28.3 punti a partita, cifra resa ancora più impressionante dal fatto che solo altri due giocatori avevano superato i 20 punti di media in stagione: il leggendario Jumpin’ Joe, al secolo Joe Fulks, di Philadelphia, e Max Zaslofsky di Chicago.
I Lakers vinsero la serie finale contro i Washington Capitols per 4 gare a 2. A guidare la squadra capitolina era un ebreo di origini russe, futura conoscenza del basket a stelle e strisce. Il suo nome era Arnold Jacob “Red” Auerbach, uno che in tutta la sua vita non sarà mai troppo tenero nei confronti dei giocatori che non vestiranno la gloriosa maglia verde dei Celtics, eppure anni dopo quelle finali, spenderà parole al miele nei confronti del 99 giallo-viola.
Nelle dieci gare complessive di post-season, Mikan realizzò la bellezza di 30.3 punti a partita quando il secondo realizzatore dei Lakers, tale Herm Schaefer, chiuse i playoffs con poco più di 12 punti ad allacciata di scarpe.
George non aveva letteralmente rivali di sorta. Altezza, fisico, spalle larghe, gomiti appuntiti, determinazione, tenacia, tecnica, velocità ne facevano un’arma impropria.
Era la superstar assoluta di un’epoca, colui che attirava le folle nei vari palazzetti d’America, colui che il 13 dicembre del 1948 a New York ebbe l’onore di leggere sul celebre tabellone del Madison Square Garden l’altrettanto celebre e storica dicitura: “Tonight George Mikan Vs. Knicks”.
Quando quella stessa sera Mikan entrò negli spogliatoi del Garden trovò i suoi compagni di squadra ancora in abiti borghesi. Uno di loro lo accolse con la gelida frase: “Ci hanno avvisato che stasera giocherai contro i Knicks. Corri ad affrontarli. Noi ti aspetteremo qui!”.
Alla fine di quella stagione, il grande evento: NBL e BAA si fusero per dare vita alla National Basketball Assosiacion. Diciassette squadre divise in tre division.
Minneapolis finì nella Central, quella con la concorrenza più spietata.
George guidò la lega in punti con 27.4 a partita. Ancora una volta numero che fa sensazione paragonato con gli score dei suoi compagni ed avversari.
Minnie chiuse la Regular Season con un record di 51 vittorie e 17 sconfitte. Arrivò in finale senza perdere neanche una partita di playoffs. Ad attendere i Lakers c’erano i temibili Syracuse Nationals, guidati da un’altra leggenda del basket a stelle e strisce, Dolph Schayes.
Mikan oscurò compagni e avversari con una prestazione da 32.2 punti a partita, quasi il doppio di quelli di Schayes. Arrivò così il quarto anello in quattro stagioni da professionista per George.
Quello stesso anno fu eletto miglior giocatore nella storia del gioco davanti ad Hank Luisetti e alla leggenda degli Original Celtics, Nat Holman.
La stagione successiva (1950-51) fu però la prima in cui il 99 in maglia Lakers fallì l’appuntamento con il titolo. Fu anche la prima in cui la NBA iniziò a tenere il conto dei rimbalzi. George ne catturò 14.1 a partita, secondo solo a Schayes. Si rifece alla voce punti dove non poteva avere rivali (28.4 a partita).
Durante qui playoffs George subì una frattura alla tibia. Ma era un’epoca eroica. Nella decisiva gara 4 contro i Rochester Royals in finale di Division, scese in campo comunque. Giocò quasi da fermo ma realizzò ugualmente 20 punti. Minnie perse la gara e la serie, ma la leggenda del gigante miope ne uscì ancora più marcata.
Dal 1951 al 1954, George disputò i primi 4 All Star Game nella storia delle lega, divenendo MVP dell’incontro nel ’53 dopo una prestazione da 22 punti e 16 rimbalzi.
Vinse altri tre anelli consecutivi e i Minneapolis Lakers furono la prima squadra a centrare l’impresa della tripletta.
Fino alla fine del ventesimo secolo, solo altre due franchigie avrebbero ripetuto l’impresa. I Celtics di Russell e i Bulls di Jordan.
Al termine del 1954, dopo soli 8 anni da professionista e 7 titoli complessivi conquistati, il pluridecorato Mikan annunciò al mondo il suo ritiro. Aveva trenta anni.
Voleva trascorrere del tempo con la famiglia, cimentarsi con la vita normale, quella di tutti i giorni, lontana dalla gloria che la pallacanestro gli aveva portato. Da allora passeranno 18 lunghissimi anni prima che i Lakers tornassero sul tetto del mondo.
George rimase fuori dai campi di gioco poco più di un anno.
A metà della stagione 1995-56 rivestì la maglia dei Minneapolis Lakers. Giocò appena 37 partite, ma era appesantito, fuori forma. Segnò poco più di dieci punti a partita. Poi disse basta definitivamente.
https://www.youtube.com/watch?v=wcS4DNO2S5o
Divenne allenatore dei Lakers l’anno successivo, ma senza fortuna. Abbandonò la panchina dopo un record negativo di 9 vittorie e 30 sconfitte.
Nel 1959, nell’anno di fondazione della Hall of Fame di Springfield, entrò a far parte del club dei grandissimi.
Nel 1971, in occasione dei 25 anni della NBA fu eletto fra i primi 10 giocatori della storia.
Stesso onore lo ebbe nel 1981.
Il 9 febbraio del 1996 è stato incluso fra i primi 50 giocatori di sempre, nella famosa premiazione di Cleveland, in occasione del cinquantennale della lega.
Meno di dieci anni dopo, il primo giugno del 2005 il grande vecchio George, all’età di 81 anni, lasciava il mondo terreno per entrare definitivamente fra le leggende contemporanee.
Onore e gloria per lui. Per il primo grande centro della storia della pallacanestro. Colui che ne ha stravolto il gioco, i concetti, le basi. Colui senza il quale probabilmente la pallacanestro non sarebbe stata la stessa e che, secondo l’autorevole parere del grande e mai troppo tenero Red Auerbach, sarebbe stato in grado di dominare in qualsiasi epoca.
Un punto quest’ultimo da non sottovalutare, perché è ovvio come Mikan sia stato, al pari del solo Jordan, il padrone indiscusso della sua era.
Chamberlain aveva Russell. West aveva Robertson. Jabbar ha avuto in serie Chamberlain, Reed, Cowens, Walton, Moses Malone e Parish. Magic aveva Bird e Thomas. Bird aveva Magic e Erving.
Mikan e Jordan no. Non avevano rivali alla loro altezza. Erano nettamente sopra la concorrenza.
Se però questo per Jordan è stato storicamente un punto di forza, considerando l’epoca in cui ha giocato e i rivali che ha affrontato, per Mikan si trasforma senza ombra di dubbio in un punto debole.
Quando George evoluiva sui parquet di mezza America, l’accesso ai giocatori di colore nel mondo del basket professionistico non era ancora consentito e questo ne ha indubbiamente accresciuto il dominio.
Se ci basiamo sui freddi numeri un ruolino di marcia come quello di George lo catapulterebbe di diritto fra i primissimi giocatori di sempre.
Se tuttavia analizziamo nel complesso la sua carriera ed il contesto, George perde molte posizioni, anche a vantaggio di giocatori che non hanno avuto né il suo palmares, né tanto meno la sua importanza per il basket, ma che si sono trovati ad interagire in un contesto decisamente differente.
Eppure, quando chi vi scrive ripensa a Mikan, non può fare a meno di tornare a quella notte di Febbraio del 1997, in quel di Cleveland.
A quell’uomo anziano e sorridente, dai capelli bianchi e l’aria distinta, che saliva per ultimo e con l’aiuto di Bill Russell il piccolo banchetto della gloria per ricevere l’ovazione e l’applauso dei presenti.
E solo al pensare che tutti gli altri 46 giocatori premiati (mancavano all’appello West, Maravich e Shaq) erano lì anche e soprattutto per merito suo, e che a lui dovevano parecchio, in barba a qualsiasi classifica di questo tipo, ci sono solo brividi.
Brividi e un grazie di cuore a George Mikan.
Il signor Basketball per antonomasia.
Ha esordito su Play.it nel 2004 con la rubrica “NBA Legendary Games”. Dopo una trentina di pezzi ha lasciato perdere le partite per dedicarsi alla nuova rubrica “25 Legendary Players”. Ha mollato anche questa sul più bello per mettersi a scrivere romanzi noir. Il successo, probabilmente vittima di paresi, gli ha arriso e sorriso.
Perde molte posizioni non tanto per il fatto che non ci fossero afro americani che lentamente cominciarono ad arrivare in nba come Earl lloyd…nat clifton.chuck cooper…dezonia …walter dukes o ray felix…( oggi volendo fare una battuta e il contrario …il 90% sono di colore :)ma quanto per la mancanza di un antagonista credibile e una “breve” longevità. ..e tanti altri asterischi che non possono proiettarlo in una top 10 nonostante sia stato il primo vero dominatore di questo gioco e colui che per primo cominciò a cambiare questo sport.