Non tutte le storie hanno un lieto fine, e questa, al di là di tribunali e commissioni che con una sentenza ne hanno spazzato ogni traccia, un lieto fine cestistico non ce l’ha. Eppure questa storia merita, eccome, di essere raccontata, perché segna l’inizio del basket come lo conosciamo oggi.
Un passo indietro e siamo negli anni ’90: nel campus della Michigan University sta per succedere qualcosa.
E’ il giorno di ripresa di allenamenti dopo la pausa estiva e negli spogliatoi si respira l’aria e il clima tipico dei primi giorni: volti distesi, grandi sorrisi, saluti e high five per tutti.
C’è chi ripensa all’anno passato chiuso miseramente con l’uscita prematura al NIT (torneo di consolazione per gli esclusi dal tabellone NCAA), chi si prepara per il suo ultimo anno di vita da atleta collegiale e chi si scambia i racconti di un estate passate ognuno nella propria città.
Poi c’è un gruppo di 5 ragazzi, i 5 freshmen che sconvolgeranno il mondo del college basketball.
“History in the making” si dice negli States: non è esagerato perché i fortunati che sono là per la prima sgambata stagionale dei Wolverines, stanno per assistere alla nascita dei Five Times.
Ora chi questa storia già la conosce penserà ad un mio errore, ma non è così: i 5 freshmen pronti a cambiare la storia del basket collegiale, sono (per ora) i Five Times.
E la loro storia inizia così: un 5 contro 5 tutto campo, voluto a tutti i costi dalle 5 matricole, in cui annientano i veterani dalla squadra.
E’ la prima esibizione di quella che da molti è considerata “The greatest class ever recruited”: ma anche questa partita, come tutte le altre di li a venire, non è mai esistita. La storia dei Five Times, come si dice in America, è stata cancellata: proprio per questo merita di essere raccontata.
Jalen e Chris sono amici da sempre, uniti da una passione per la palla a spicchi che gli ha resi come fratelli.
Tutti e due di Detroit ma mai rivali nei tornei statali: Jalen gioca per la Southwestern, scuola pubblica dove si respira l’aria delle sfide dei playground; è figlio di una ex prima scelta assoluta, Jimmy Walker, giocatore per 9 stagioni e All Star NBA, ma non lo sa ancora e con il padre non avrà mai nessun rapporto; Chris invece gioca per la Detroit Country Day, scuola privata ed è atteso a grandi cose sin da quando,12enne già uomo, gli osservatori lo vedono dominare schiacciando ad ogni possesso.
Juwan e Chris, invece, si sono conosciuti in in un torneo AAU e sin da subito si sono piaciuti: il fenomeno della scuola privata di Detroit e il ragazzo cresciuto nel ghetto di South Side Chicago si piacciono e si stimano, e rimangono in contatto.
Quando i Wolverines ottengono la firma di Juwan e lo convincono a giocare per la loro università, le loro attenzioni si spostano su due ragazzi del Texas: Jimmy della Plano High School e Ray della Lindon Johnson HS in Austin, Tx. Le loro due firme sulla lettera di impegno arrivano in fretta e, se questa fosse una storia come tutte le altre, finirebbe qua, con 3 ottimi prospetti pronti a giocare la loro prima stagione di college basketball.
La casa di Chris è invasa da lettere provenienti da tutti i migliori programmi d’America, e lui sembra orientato verso Duke, la squadra di Grant Hill e Christian Laettner, futuro membro dell’ Original Dream Team dei Giochi Olimpici del 1992.
Ma a fargli cambiare idea e a convincerlo a restare vicino a casa ci pensano Juwan e le sue chiamate settimanali: nello stesso giorno di marzo del 1991, Chris e l’amico fraterno Jalen annunciano di aver firmato per i Wolverines.
E sono 5: a detta di molti, la più forte recruiting class di sempre.
Ma procediamo con i numeri e le presentazioni:
– Chris Webber, high school all american, prospetto numero 1 nella lista dei migliori liceali d’America della sua annata.
– Juwan Howard, high school all american, prospetto numero 4
– Jalen Rose, high school all american, prospetto numero 9
– Jimmy King, high school all american, prospetto numero 11
– Ray Jackson, prospetto numero 46.
Sappiamo già quale sarà il loro biglietto da visita con i compagni di squadra, per cui passiamo oltre e andiamo all’inizio della stagione.
Le prime 4 partite della stagione coincidono con altrettante vittorie: Jalen Rose, Juwan Howard e Chris Webber sono schierati come titolari sin dalla gara d’esordio.
Coach Fisher mette in chiaro sin da subito e pubblicamente che i 5 freshmen non partiranno in quintetto tutti insieme: “That’s not gonna happen”, questa la sua risposta alle continue domande dei cronisti.
Alla quinta partita i Wolverines ricevono la visita dei campioni in carica: i Duke Blue Devils guidati in campo da Bobby Harley, play bianco poi sfortunato nella sua carriera NBA con i Kings, Grant Hill e Christian Laettner, e in panchina da coach K.
E’ uno scontro tra due diverse filosofie di pallacanestro: con le parole di Jalen Rose “hated versus accepted”, odiati contro accettabili (per la società).
Il risultato non è favorevole a Michigan, che perde all’OT, ma la partita in diretta nazionale segna la nascita ufficiale dei Fab Five: con buona pace dei 5 che preferiscono il soprannome da loro stessi scelti, Five Time, d’ora in avanti loro sono i favolosi cinque, i Fab Five.
L’atteggiamento delle matricole è sprezzante, cocky in inglese, prepotente al limite dell’arroganza cestistica: non hanno paura degli avversari e non hanno paura di dirlo. Nel mondo del college basket è entrato di prepotenza lo stile di strada, il trash talk che sulle note del fenomeno hip hop che dilaga in tutta America fa da sfondo ad ogni esibizione di Michigan.
I ragazzi che li vedono in TV ne sono entusiasti, un po’ meno i puristi del basket che vedono un gruppo di ragazzotti esuberanti prendere possesso del gioco.
Ma è un processo che non si può arrestare: nell’immaginario collettivo i Fab Five sono la novità di cui non si può fare a meno; il loro è lo stile da seguire, sul campo con le loro giocate che cercano lo spettacolo, e fuori, pantaloni baggy, cioè almeno un paio di taglie più grandi del normale, e calzini neri.
E’ basket a ritmo di Hip Hop, loro sono i ragazzi del ghetto che si prendono la loro rivincita sull’America benpensante che li teme ma non può fare a meno di guardarli.
httpv://www.youtube.com/watch?v=0mAi8Tq5UDI
Arrivano poi le partite della propria Conference e coach Fisher decide di schierare in quintetto anche Jimmy King, lasciando il solo Jackson a partire dalla panchina. Le partite si susseguono e la squadra gioca e vince ma sembra mancare ancora qualcosa per fare il salto di qualità definitivo.
La scintilla scatta quando MIchigan gioca con Notre Dame: a sorpresa il coach prima della partita comunica il quintetto e finalmente anche Ray Jackson può scendere in campo dall’inizio.
E’ un trionfo: la partita è vinta e tutti i punti dei Wolverines sono tutti messi a segno dalle cinque matricole. Quello che tutti aspettavano si è finalmente realizzato: i Fab Five, tutti titolari giocano alla grande, si cercano e si esaltano come squadra,.
I veterani, tra cui alcuni reduci dalla vittoria al torneo NCAA di due anni prima, si rendono conto che qualcosa di incredibile sta accadendo e si mettono al servizio della squadra.
La stagione si conclude con un record di 20-8 ma il tabellone del Torneo riserva un non soddisfacente seed numero 6.
Poco importa per i Fab Five che anzi vi trovano una motivazione ulteriore che nella loro cavalcata alle Final Four di Minneapolis sconfiggono Temple, East Tennesse State, Oklahoma State e la numero 1 Ohio State, dopo un tempo supplementare.
Nessuna storia si regge se non c’è un nemico da sconfiggere, ma siccome questa è una grande storia, il nemico c’è ed è anche forte: sono i Duke Blue Devils che sono l’ultimo ostacolo verso il trionfo e la retina da tagliare e portarsi a casa.
In semifinale infatti Michigan si sbarazza agevolmente di Cincinnati e arriva all’epilogo pronta per scrivere la storia: loro sono i cinque che hanno promesso di scioccare il mondo e ora sono pronti a farlo.
Il basket di esecuzione di Duke contro la libera espressione di talento di Michigan; il volto del bravo ragazzo americano Laettner contro il trash talk incessante ed irriverente dei ragazzi di Michigan; il figlio del campione NFL e della compagna di stanza di Hillary Clinton Grant Hill contro il figlio non riconosciuto Jalen Rose.
Mille contraddizioni e altrettanti motivi di interesse in questa sfida che infatti lascia nella prima metà ben poco spazio allo spettacolo e si chiude con un primo tempo spigoloso che finisce 31 a 30 per Michigan.
Nel secondo tempo la maggiore esperienza di Duke ha la meglio sulla freschezza di Michigan, e l’abitudine alle sfide che valgono una stagione maggiore dei Blue Devils consegna a loro il secondo titolo consecutivo.
La partita si chiude con Laettner che taglia la retina e si appresta a partire per Barcellona come dodicesimo del primo Dream Team e con Webber che dapprima inveisce contro le telecamere e poi lascia gli spogliatoi in lacrime che tradiscono non solo la frustrazione ma anche la giovane età.
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Nonostante la sconfitta all’ultima partita, i Fab Five sono ormai delle rock star fuori dal campo: tutti gli cercano e tutto vogliono avere una parte del loro successo.
Loro però sono normali ragazzi di college che sono attesi alla loro più grande sfida: se l’anno prima avevano promesso di sconvolgere il mondo e sono andati molto vicini a farlo, quest’anno qualunque risultato che non sia il titolo nazionale sarebbe considerato insoddisfacente.
I Fab Five sono una macchina da soldi: magliette, scarpe, calze. La Nike e l’Università di Michigan guadagnano milioni di dollari (si parla di 10 milioni in due anni solo di merchandising per la loro università).
C’è qualcosa per chiunque salga sul carro dei Fab Five, tranne che per loro: i 5 non ci stanno e scatta la protesta; scendono in campo per il riscaldamento senza alcun logo sulla maglia, nè il baffo Nike nè il logo della loro squadra.
Non bastassero questi problemi, ecco quello che viene ricordato come “The crack house incident”: Jalen Rose viene trovato in quella che per i media è una crack house (casa, di solito disabitata dove si spaccia e consuma crack) in compagnia di alcuni amici.
Quella che secondo il giocatore era una serata a casa di amici, non certo un centro di spaccio, si trasforma in un caso nazionale: sui giornali e sulle tv non si parla d’altro e il nome di Jalen viene sbattuto in prima pagine al fianco delle parole drug e dealing, ovvero droga e spaccio.
Il giocatore risponde sul campo, e zittisce i cori impietosi dei tifosi di Illinois con una prestazione maiuscola, la migliore in termini realizzativi della sua carriera universitaria sino a quel momento, che consegna ai suoi la vittoria all’overtime.
I compagni fanno di tutto per dare a Jalen la possibilità di zittire ogni volta possibile il pubblico e lo spirito di squadra e l’affiatamento del gruppo escono da questa faccenda ancora più rafforzati, come se fosse possibile.
La stagione prosegue e Michigan si presenta al Torneo NCAA con un record di 26-4 che garantisce loro il seed numero 1 e l’investitura di squadra da battere, che si erano portati avanti per tutta la stagione, assume i crismi dell’ufficialità.
La pressione è alta e comporta una partenza non troppo convincente, sino ai brividi del secondo turno quando Michigan sotto di 19 riesce a rimontare e a vincere all’ultimo secondo contro UCLA.
La paura carica la squadra che si sbarazza di George Washington University prima e Temple poi, sino alla Final Four dove in semifinale vincono ai supplementari contro Kentucky.
Ancora una volta i Wolverines sono arrivati sino in fondo e la loro ultima partita stagionale coincide con quella decisiva per l’assegnazione del titolo: questa volta l’avversario è UNC, guidata dal leggendario coach Dean Smith.
Il 5 aprile si scende in campo per l’epilogo stagionale e i 5 sophmore sono pronti a dimostrare quello che vanno dicendo da due anni: sono i migliori e lo dimostreranno sul palcoscenico più ambito.
Per il secondo anno di fila chi si aspetta spettacolo in campo resterà deluso: la partita è dura e si va avanti punto a punto, fino all’ultimo minuto.
Sotto di sei punti, una tripla di Jackson riporta Michigan a meno tre a 40 secondi dalla fine: coach Fisher chiama l’ultimo timeout e prepara i suoi per le ultime azioni.
Sulla rimessa UNC perde palla e Webber segna da sotto per il meno uno. Nell’azione seguente Michigan commette fallo e UNC segna il primo ma sbaglia il secondo.
Webber prende il rimbalzo, rinuncia all’apertura e commette una palese infrazione di passi, non fischiata dagli arbitri; parte allora in palleggio, supera la metà campo e si va’ chiudere nell’angolo proprio davanti alla sua panchina.
E’ un attimo: timeout Webber, la panchina si alza in piedi e i coach sono disperati.
Fallo tecnico: i timeout sono finiti e sono due liberi a segno per UNC che vince ed è campione nazionale.
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A lungo i media parleranno di cosa è successo e siamo ancora qui a parlarne: una cosa è certa però, tra di loro i Fab Five non ne hanno mai parlato.
I coach sostengono di aver avvisato che i timeout a disposizione erano finiti, alcuni giocatori confermano mentre qualcuno sostiene che dalla panchina sia stato suggerito a Webber di chiamare l’interruzione.
La camminata carica di rabbia e di imprecazioni rivolte alle telecamere della finale passata lasciano lo spazio all’incredulità: Chris Webber esce dal campo a testa china, la telecamera lo segue nel tragitto che lo porta dal campo allo spogliatoio inquadrandolo da davanti e mai una volta Chris alza lo sguardo.
Nello spogliatoio Jalen Rose lo trova disteso a pancia in giù che piange disperato, dimostrando tutto il suo dolore e i suoi 19 anni, così come nelle risposte alla conferenza stampa del post partita a cui giunge tremando sorretto da un vice allenatore.
Sono le ultime immagini di Chris Webber in maglia Michigan e l’ultima esibizione dei Fab Five: la settimana dopo Webber si dichiara per il draft NBA, e l’anno dopo lo stesso faranno Howard e Rose.
Jackson e King resteranno per tutti e quattro gli anni universitari, al termine dei quali il solo King viene scelto rendendo Jackson l’unico dei Fab Five a non essere andato nella NBA.
Dicevamo appunto che a questa storia manca un lieto fine, infondo non sono riusciti a portare a casa il titolo nazionale. Ma di questa squadra e delle loro esistenza cestistica non vi è traccia alcuna in nessun libro o negli annali della NCAA. Poiché, come dicono in America “when it rains it pours”, cioè quando piove poi grandina, la storia non finisce con l’ultima partita persa con UNC.
Qualche anno dopo, Chris Webber è una delle più grandi e affermate stelle della NBA, dove ha avuto modo di ricongiungersi per un breve periodo con Juwan Howard in maglia Bullets e dove Jalen Rose raggiunge con un ruolo da primo attore una finale in maglia Pacers, quando viene accusato di aver mentito di fronte al Grand Jury: parliamo di un crimine federale e della più alta autorità del sistema giudiziario a stelle e strisce.
La vicenda è molto semplice e, se può stupire chi non conosce la realtà statunitense tanto collegiale quanto sociale, non sorprenderà chi invece questo mondo lo conosce: un booster, un cosiddetto sostenitore della squadra, tale Ed Martin, conosciuto anche come Big Money E, avrebbe consegnato denaro e regali, violazione del regolamento NCAA, allo stesso Webber che poi ha negato, mentendo, il fatto davanti alla Corte.
Altri compagni del periodo non vengono coinvolti direttamente, ma la decisone di Michigan è perentoria e la punizione viene auto-inflitta, nel tentativo di scampare conseguenze ancor peggiori inflitte dal board NCAA: gli anni in cui giocatori coinvolti con Martin hanno vestito la maglia dei Wolverines vengono cancellati e così anche i risultati conseguiti sul campo. Cancellati significa a tutti gli effetti che non sono esistiti. Mai esistiti.
Ma Jalen. Chris, Juwan, Ray e Jimmy sono esistiti eccome: hanno entusiasmato sul campo ma la loro influenza non può essere circoscritta al campo da gioco.
Sono entrati nel mondo del basket come un ciclone e hanno rivoluzionato il gioco stesso: la “generazione x” del basket ha spalancato le porte al basket del nuovo millennio, ha portato lo stile della strada in arene stracolme di gente, in attesa di una schiacciata strapotente e strafottente, di un no look pass che nessun allenatore può insegnare; hanno alzato il livello della competizione e l’hanno fatto come una squadra; hanno portato sul campo l’orgoglio di chi ha qualcosa o qualcuno da sconfiggere e vuole farlo sul campo, a suon di giocate spettacolari e di trash talk.
5 rivoluzionari di cui non c’è traccia nella storia ufficiale del basket, ma che hanno mantenuto la loro promessa: hanno scioccato il mondo.
Come dicevano in quegli anni gli NWA, notissimo gruppo della scena hip hop losangelina, “don’t be another sequel, express yourself”.
Grandissimo articolo…lacrime…
Sono sconvolto.
Ammetto la mia ignoranza,
ma la storia che tutte le loro statistiche siano state cancellate dalla stessa Università non la sapevo ancora!!!
incredibile.
E anche questa storia dimostra che le favole non esistono…
Bellissimo articolo, scritto molto bene. Userei il controllo ortografia però
Meravigliosa storia collegiale
Come già detto da Caiaz.. lacrime..
Mi unisco al coro di lodi (strameritate). Bravissimo
Grazie ragazzi..davvero troppo gentili..
(E perdonatemi per gli errori di ortografia..)
Grandissimo pezzo Gio, i miei più sinceri complimenti.
Complimenti, davvero un grandissimo lavoro!
Bravissimo, grande articolo!
Rinnovo i ringraziamenti..
visto l’interesse che la storia sta suscitando, consiglio la visione del documentario ESPN sui Fab Five, la principale fonte di questo articolo..
Bellissimo articolo, complimenti.
Per noi vecchi amanti della Ncaa, un articolo su UNLV 1990-91? Johnson, Augmon, Antony, Hunt…. ce ne sarebbe da scrivere.
raga ma sto documentario non esiste almeno con i sottotitoli in italiano?
non me ne intendo di basket… ma questo articolo mi fa venire voglia di “intendermene” ;) bella storia, ottima lettura