Dopo il ritiro di Toe Blake nel 1969, il posto di allenatore capo fu assegnato a Claude Ruel, il quale vinse la coppa al primo tentativo, la quarta per Montreal in una striscia di cinque anni: l’unica delusione accadde nel 1967, quando i Canadiens furono sconfitti in sei partite dai Toronto Maple Leafs; quello fu il tredicesimo e ultimo successo per Toronto, che, nella classifica delle Stanley Cup vinte, occupa la seconda posizione.

Durante il periodo delle Original Six (dal 1942-43 al 1966-67), la rivalità tra Toronto e Montreal fu così forte e sentita che tra gli appassionati canadesi si erano create due distinte fazioni: chi sosteneva i Canadiens, chi sosteneva i Maple Leafs; sicuramente non va dimenticata la classica e storica ostilità tra francesi e inglesi.

Nonostante il successo nella Stanley Cup, la carriera di Ruel sulla panchina di Montreal fu molto breve e terminò nella stagione 1970-71, quando dopo 23 partite mediocri fu sollevato dalla dirigenza e sostituito con Al MacNeil; il nuovo tecnico riuscì a condurre i Canadiens ai playoff, dove avrebbero incontrato al primo turno un avversario durissimo: i Boston Bruins di Bobby Orr e Phil Esposito, detentori della Stanley Cup.

La battaglia tra le due compagini fu splendida e si chiuse dopo sette partite appassionanti: importantissima fu la seconda sfida giocata al Boston Garden, in cui i Bruins (vittoriosi in gara 1) presero un vantaggio di 5-1; incredibilmente i Canadiens riuscirono in un’insperata rimonta, aggiudicandosi la partita 7-5.

Dopo quel successo i Canadiens continuarono la loro corsa nella post-season, qualificandosi per la finale, dove li avrebbero attesi i Chicago Black Hawks; la serie fu molto controversa, nonostante la vittoria finale: Henri Richard, infatti, non aveva accettato il suo mancato utilizzo durante il terzo periodo di gara 5 e accusò pesantemente il proprio coach, definendolo il peggiore tecnico che lui avesse mai avuto.

Ovviamente scoppiarono le polemiche, soltanto mitigate dalla vittoria finale dei Canadiens; durante la conferenza stampa al termine di gara 7 Pocket Rocket, autore di due reti decisive, affermò che tutto era stato dimenticato e sperava, addirittura, che MacNeil venisse confermato per la stagione successiva.

Ciononostante la dirigenza decise di sollevare MacNeil dall’incarico e di sostituirlo con Scotty Bowman, che era riuscito a portare i nuovi St. Louis Blues a tre finali di Stanley Cup consecutive nei primi tre anni di esistenza.

(Quando avvenne l’espansione del 1967, le nuove squadre furono inserite nella Western Division, mentre le Original Six nella Eastern, in modo tale che le formazioni debuttanti potessero disputare fin dal primo anno la finale di Stanley Cup).

Scotty Bowman si rivelò una scelta davvero azzeccata e i Canadiens, sotto la guida del nuovo coach, continuarono la loro straordinaria tradizione vincente: in otto anni gli Habs avrebbero alzato cinque Stanley Cup, riuscendo a vincere in tutte le stagioni almeno 45 partite. Bowman era un maestro non solo a livello tecnico e tattico, ma anche dal punto di vista psicologico: mai i suoi giocatori subirono dei cali di concentrazione (normali dopo tanti successi), anzi ogni partita era una sfida da vincere assolutamente.

Il capolavoro di Bowman sono le quattro Stanley Cup consecutive tra il 1976 e il 1979, che fecero rinverdire i fasti di Richard, Beliveau e Plante; i Canadiens (diventati proprietà nel 1978 della Molson Breweries), inoltre, stavano combattendo una sfida a distanza con i New York Yankees per il maggior numero di titoli conquistati: alla fine degli anni ’70 la situazione era di 22 pari.

Tra gli anni ’60 e ’70 la gloriosa divisa dei Canadiens fu indossata da numerosi campioni, che raccolsero degnamente l’eredità delle leggende del passato: gli Habs erano sempre i più forti della NHL e i tifosi del Forum poterono ancora gioire ed esultare; nel 1976-77 Montreal, totalizzando 132 punti in regular season (60 vittorie, 8 sconfitte, 12 pareggi), stabilirono un record ancora imbattuto.

Il primo fuoriclasse che ci viene in mente è senza dubbio Yvan Cournoyer, il Roadrunner (l’avversario di Will Coyote) della NHL; originario di Drumondville, Quebec (quindi il suo nome va pronunciato Curnuaié), iniziò la sua carriera con la maglia dei Montreal Jr. Canadiens a soli diciotto anni, dimostrandosi un’autentica minaccia per i portieri avversari: nel 1963-64 riuscì a realizzare addirittura 111 punti con 63 reti, meritandosi una chiamata da parte degli Habs.

Cournoyer non era molto alto (1.70), ma era dotato di due gambe talmente grosse e muscolose che nel magazzino dei Junior Canadiens non c’erano dei pantaloni adatti alla sua misura; nonostante l’enorme talento diventò membro stabile degli Habs soltanto nel 1965-66, ma da quel momento nessuno gli avrebbe più tolto il posto in squadra.

I primi anni, tuttavia, non furono particolarmente piacevoli (parzialmente mitigati da tre Stanley Cup) per Cournoyer, poiché Coach Toe Blake preferiva utilizzarlo in fase difensiva, senza dargli la possibilità di sfoggiare le sue incredibili doti; quando Ruel subentrò a Blake, le cose cambiarono.

Cournoyer poté esprimere la sua abbagliante velocità e il suo meraviglioso talento, trasformandosi nella più pericolosa ala destra della lega: nel 1968-69 il Roadrunner segnò 43 reti, dimostrandosi molto utile anche in fase difensiva; quello che impressionava maggiormente era il perfetto controllo del puck, pur pattinando ad una velocità notevole.

Ma Cournoyer non era solo veloce, ma anche dotato di un tiro molto potente, che poteva trasformarsi in un’arma pericolosissima per le difese avversarie, in particolare nei power play, di cui era spesso il regista: la stagione migliore fu quella del 1971-72, la prima di Scotty Bowman, in cui segnò 47 reti e 83 punti; quando nel 1975 Henri Richard si ritirò, Cournoyer diventò il Capitano dei Canadiens, ruolo che ricoprì con grande classe e maestria.

Con il passare degli anni, i tifosi si resero purtroppo conto che forse Cournoyer stava perdendo quella velocità che lo aveva contraddistinto negli anni precedenti: in verità un problema alla schiena gli causò fortissimi dolori alla gamba, rendendo necessaria un’operazione chirurgica.

Gli anni successivi furono tutt’altro che esaltanti (nonostante le Stanley Cup conquistate) e Jean Beliveau gli suggerì addirittura di ritirarsi: Yvan inizialmente sembrava poco incline ad accettare i consigli del vecchio Capitano, ma dopo un’ulteriore operazione alla schiena dovette cedere; dopo 16 stagioni ad altissimo livello (e la decima coppa personale), Cournoyer lasciò l’hockey professionistico con 968 partite giocate, 428 gol e 435 assist e solamente 77 minuti di penalità.

Come al solito, la porta era sempre difesa da un giocatore fenomenale, Ken Dryden: dopo aver disputato alcune ottime stagioni nelle leghe minori, fu chiamato nella prima squadra nel 1970-71; sebbene avesse giocato appena sei partite, Dryden poteva considerarsi fortunato, poiché ai rookie (specialmente se portieri) difficilmente veniva dato spazio.

Il coach Al McNeil, invece, rimase molto soddisfatto dalle prestazioni del giovane goalie e decise di promuoverlo titolare nei playoff, dove i Canadiens avrebbero affrontato i possenti Boston Bruins; gli addetti ai lavori rimasero molto perplessi riguardo alla scelta del tecnico, anche perché i Bruins, avendo il fattore campo a favore, disponevano di un chiaro vantaggio: il Boston Garden era uno degli impianti più rumorosi della NHL e aveva sempre messo in crisi gli avversari.

Invece Dryden, che aveva già giocato al Garden a livello universitario, rispose alla grande: Phil Esposito, autore di 76 gol in 78 incontri durante la regular season, fu limitato a sole tre reti in sette gare e tantissime volte i tifosi dei Bruins gridarono “GOL”, prima di vedere il puck respinto dal giovane portiere; Dryden fu molto efficace anche nelle altre serie di playoff e, non a caso, fu premiato con il Conn Smythe Trophy.

Dryden era diventato il portiere titolare dei Canadiens, ma dopo la vittoria della Stanley Cup nel 1973, annunciò a soli 26 anni il proprio ritiro, per lavorare come apprendista presso uno studio legale di Toronto (con uno stipendio di 7.500 dollari l’anno); la stagione successiva fu molto difficile per gli Habs, che pregarono il loro portiere di ritornare.

Dryden accettò l’offerta e i Canadiens tornarono la squadra dominante di qualche anno prima: Montreal, con Ken a difesa della gabbia, vinse quattro Stanley Cup consecutive, ma dopo l’ultimo trionfo, il portiere si ritirò. definitivamente.

Le sue statistiche finali sono impressionanti: sei coppe vinte in otto stagioni, una media gol subiti di 2.24, 46 shutout e un bilancio finale di 258 vittorie, 57 sconfitte e 47 pareggi con una percentuale di vittoria pari a 75,8% (la migliore nella storia della NHL); la sua annata migliore fu il 1976-77, quando in stagione regolare compilò una media di 2.14 con 10 shutout, e nei playoff una media di 1.56 con 4 partite senza subire gol.

Ma la vera star degli anni ’70, il simbolo dei Canadiens, colui che diventò l’idolo dei tifosi fu senza ombra di dubbio The Flower Guy Lafleur, una delle più fantastiche ali destre e uno dei più eccitanti giocatori mai apparsi sul ghiaccio della NHL.

Soprannominato anche le Demon Blond per via dei lunghi capelli biondi, iniziò la propria carriera professionistica nel 1971 con i Montreal Canadiens, i quali lo ottennero grazie ad una serie di scambi con i California Golden Seals. Jean Beliveau notò subito il grande talento del giovane giocatore e per questo gli propose di utilizzare il suo numero 4; Lafleur, tuttavia, rifiutò, preferendo il 10.

Da sempre tifoso degli Habs, il Fiore diventò un beniamino degli spettatori del Forum dopo pochissimo tempo, sebbene molti critici fossero scettici sulle reali abilità di Lafleur; tuttavia nella sua prima stagione segnò subito 29 reti, per poi esplodere nel 1975 quando chiuse l’annata con 53 gol: Lafleur diventò il primo giocatore nella storia dell NHL a realizzare 50 reti (60 nel 1978) e 100 punti in sei stagioni consecutive.

Lafleur era un giocatore spettacolare, dotato di una velocità abbagliante che gli permetteva di volare sul ghiaccio; sicuramente non è stato il miglior hockeista di sempre (dodicesimo nella classifica all-time), ma forse può essere considerato il più eccitante: ogni volta che Guy prendeva possesso del puck saltava i difensori avversari come se fossero semplici birilli, lasciando gli spettatori senza parole.

Nel 1985 a 33 anni Lafleur si ritirò dalla NHL, lasciando gli Habs dopo 14 stagioni magnifiche, coronate da cinque Stanley Cup, due Hart Trophy (MVP), tre Art Ross Trophy (miglior cannoniere); con la maglia degli Habs il Flower giocò 961 partite, segnando 518 gol, con 728 assist (record di squadra) e 1246 punti (altro record).

La dirigenza degli Habs concesse l’ultimo omaggio al Fiore, ritirando la maglia numero 10: soltanto Howie Morenz (7), Maurice (9) e Henri (11) Richard, Jean Beliveau (4), Doug Harvey (2), Jacques Plante (1) hanno potuto ricevere questo grandissimo onore.

In effetti, dopo tre anni d’inattività, Lafleur rientrò sul ghiaccio con la maglia dei New York Rangers, diventando il secondo giocatore dopo Gordie Howe a disputare una partita NHL dopo l’elezione nella Hall of Fame; in seguito rifiutò un contratto milionario con i Los Angeles Kings (e la possibilità di giocare con Wayne Gretzky), per chiudere definitivamente la propria carriera con i Quebec Nordiques.

Un giocatore moderno paragonabile a Lafleur potrebbe essere Pavel Bure, proprio per l’abilità del Russian Rocket di volare sul ghiaccio, saltare la difesa tutto da solo con finte e deke e poi segnare.

Parlando della difesa, aspetto fondamentale del gioco, menzione particolare meritano i Big Three, Serge Savard (soprannominato the Senator per via degli interessi politici), Guy Lapointe e Larry Robinson, che, per oltre 15 anni, crearono davanti ai loro portieri delle barriere praticamente insormontabili; dal 1979-80 Serge Savard diventò ufficialmente Capitano dei Canadiens, ruolo comunque già ricoperto durante i playoff della stagione precedente, a causa dell’infortunio di Cournoyer: la quarta Stanley Cup consecutiva, infatti, fu alzata proprio dal Senator.

Altri giocatori degni di nota sono Steve Shutt, autore di 60 reti e 105 punti nel 1977 (record per un’ala sinistra) e Jacques Lemaire, compagni di linea (la celeberrima Dynasty Line) di Lafleur, e i fratelli Frank e Pete Mahovlich, che, avendo indossato nella loro carriera la maglia di diverse altre squadre, non possono essere considerati bandiere dei Canadiens.

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