Se c’è una cosa che questi strani playoffs nella Bolla ci stanno insegnando, è quella di non dare nulla per scontato.
Puoi anche chiamarti Kawhi Leonard, ed aver avuto per tutta la vita questa faccia da duro, ma un bel giorno incontri un ragazzo slavo, ex falso magro, e ti ritrovi fuori dalla post season.
Si, perchè per Nikola Jokic non è mai stato facile farsi prendere sul serio, vuoi per il fisico non proprio da atleta naturale, vuoi per il carattere estroverso e per alcuni troppo giocherellone.
Nel 2012 ancora giocava negli Juniores in Serbia, per poi trovarsi 2 anni dopo scelto alla 41 dai Nuggets e l’anno successivo catapultato direttamente in NBA.
Il suo talento, evidente quasi fin da subito per le sue doti innate di passatore e il suo tocco magico al tiro, è cresciuto in questi anni mano a mano che è riuscito a migliorare la sua condizione atletica e la sua capacità di performare sotto pressione, in questo aiutato da un player’s coach come Mike Malone ma soprattutto dall’intesa telepatica col suo giovane playmaker Jamal Murray.
Quest’ultimo, arrivato nella Lega come combo-guard potente ma con limiti di visione di gioco e di range di tiro, nel giro di pochi anni si è trasformato in una point guard simil-Curry per range di tiro nonché nel bersaglio preferito degli assist del Joker.
Qui l’abilità di coach Malone si è rivelata fondamentale: che bisogno c’è che la tua point guard sia un grande passatore quando il creatore di gioco è comunque il tuo centro ed il tuo playmaker può fare ciò che sa far meglio, ovvero il finalizzatore?
Jokic, come Murray, come in fondo tutti i Nuggets da Gary Harris a Monte Morris, sono la rappresentazione plastica che la fiaba del brutto anatroccolo può diventare realtà: non avendo sostanzialmente niente da perdere, giocano ogni partita, ogni azione, con grande leggerezza di spirito ma al tempo stesso con infinita fiducia e perseveranza.
Come hanno imparato a loro spese i Jazz e i Clippers, i Nuggets non si battono da soli, imparano dai propri errori, sono adattabili a vari stili di gioco e non perdono mai fiducia in loro stessi e in quello che sanno fare. Ovvero giocare insieme, muoversi senza palla intorno al loro centro boa, e sbattersi come matti in difesa.
Ora il muro che si trovano davanti è il più alto possibile in NBA a livello di star power: Lebron James e Anthony Davis sono 2 dei primi 5 giocatori della Lega, e gli stessi Rajon Rondo, Danny Green e Dwight Howard hanno status ed esperienza ineguagliabili per il roster delle Pepite.
Gli sprazzi mostrati dai gialloviola nelle prime 3 partite sono sembrati inarrivabili per i ragazzi di Malone, ma si può vincere una serie giocando bene solo a sprazzi? Oppure si può vincerla cercando di allungarla il più possibile, contando sulle gambe giovani, sulle magie del Joker e sulla freddezza sotto pressione di Murray?
I Lakers, a differenza di Jazz e Clippers, sono avvisati: sanno di cosa sono capaci i loro avversari, gli ex brutti anatroccoli. D’altra parte, LBJ, brutto anatroccolo non lo è mai stato…
Max Giordan
segue l’NBA dal 1989, naviga in Internet dal 1996.
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