E’ tempo di bilanci per il Team USA 2016, tornato in patria ancora una volta imbattuto e con la medaglia al collo, ed in generale per il ciclo di Coach Mike Krzyzewski, che lascia dopo 11 anni col discreto record di 52-1, 3 medaglie d’oro olimpiche e 2 medaglie d’oro mondiali.
Chiamato d’urgenza alla guida della nazionale dopo la figuraccia rimediata ad Atene 2004 da Larry Brown (ed i suoi assistenti Greg Popovich e Roy Williams), Coach K non ha rivoluzionato il gioco della squadra americana, che rimane inevitabilmente legata in attacco agli isolamenti, al contropiede ed al tiro da fuori, ma ha puntato su 2 obiettivi:
- cambiare l’atteggiamento dei campioni NBA nei confronti dell’impegno estivo con la Nazionale, portandolo da noiosa incombenza ad appuntamento cool e momento di aggregazione;
- creare una squadra più cinica e più adatta al basket Fiba: più tiro da 3, più small ball, più difesa
Al termine di questo decennio, lo scopo è stato perfettamente raggiunto, sia a livello di risultati, sia per il modo con il quale sono arrivati, e quest’ultima squadra incarna perfettamente lo spirito che l’allenatore, e soprattutto il grande burattinaio Jerry Colangelo si erano prefissati di dare.
Rispetto ai Mondiali 2014 il roster si presentava sicuramente meno talentuoso, senza Harden, Curry ed Anthony Davis, solo in parte compensati dal ritorno di Durant.
Tuttavia la filosofia di Coach K era ormai già perfettamente assimilata ed implementata dal gruppo: largo spazio per cui agli attaccanti Durant ed Anthony, che a turno hanno aperto il fuoco dalla posizione di 4, ruolo in cui sono già immarcabili in NBA, figuriamoci in area Fiba – e per il resto grande attenzione alla difesa, con gente come Thompson, Butler e George a dettare il ritmo per gli altri.
Sarà inoltre sicuramente balzato agli occhi l’impatto avuto dalla sottovalutata ma ben assortita coppia di centri Cousins, immarcabile in attacco, e Jordan, illegale in difesa a questi livelli.
Per il resto, tanti minuti per Kyle Lowry, al suo esordio in nazionale e fisicamente inarrivabile per le guardie avversarie, e pochi invece per gli ormai ex compagni a Golden State Green-Barnes, a dimostrazione che, fuori dal sistema Warriors, la vita non è poi così facile, e che i meriti della coppia Curry-Kerr sono decisivi per innalzare il livello del resto della truppa.
In questo contesto, il Durant versione Alpha-Dog visto a Rio mette già molto in chiaro le cose in ottica 2016-2017: KD non sarà una versione extra lusso di Harrison Barnes, ma rivoluzionerà completamente l’attacco della squadra di Oakland, essendo abituato ad essere efficace palla in mano ed in isolamento, cioè tutto il contrario dell’ex UNC.
Complessivamente, è stata una squadra magari non bella, ma cinica, efficace e perfettamente adattata alle regole Fiba: mentre per anni si è parlato, anche a sproposito, di oceano che si restringeva e di Internationals che si avvicinavano inesorabilmente al livello delle stelle NBA, ma ora che la nazionale USA si è “fatta furba” a livello Fiba, l’oceano appare all’improvviso di nuovo molto largo.
Fa però piacere, finalmente, leggere le dichiarazioni di un Melo, o di Jordan, che affermano di andare orgogliosi della propria medaglia (addirittura come e più di un anello…) e del gruppo che si è consolidato ed affiatato nel corso di un’estate di lavoro.
E’ un fatto che mentre nel Dream Team originale (ed anche in quelli successivi) c’era si grande rispetto fra le stelle ma un cameratismo ed uno spirito di unità di squadra limitato – anche per via delle forti personalità che lo componevano – nelle ultime versioni del Team USA sono nate vere e proprie amicizie e rapporti di stima reciproci.
A livello di elite, quindi, si sta formando uno zoccolo duro di giocatori del “giro della nazionale” che sostanzialmente sono tutti amici, e che quando si tratterà di scegliere la propria destinazione potrebbero essere influenzati anche dalla conoscenza personale, cosa che infatti è appena successa con Kevin Durant.
Max Giordan
segue l’NBA dal 1989, naviga in Internet dal 1996.
Play.it USA nasce dalla voglia di unire le 2 passioni e riunire in un’unico luogo “virtuale” i tanti appassionati di Sport Americani in Italia.
Email: giordan@playitusa.com
Bell’articolo!
Alcune domande, anche se ho visto solamente un paio di partite.
Sull’avvicinamento dell’Europa all’NBA: non trovi che, nonostante i giocatori NBA siano fisicamente e tecnicamente nell’1vs1 inarrivabili, ci sia stato un arbitraggio a metà strada tra NBA e FIBA che ha consentito qualche passi e qualche contatto di troppo?
In queste olimpiadi ho per la prima volta visto tantissimo come la scuola americana abbia influenzato tutto il mondo del basket mondiale – a dire il vero spero che certe scuole, come quella serba, riescano a mantenere una certa indipendenza.
Si, qualche passi è scappato, ma sempre meno di quelli che scappano in NBA… Sui contatti, l’arbitraggio Fiba medio e l’arbitraggio NBA medio non sono molto distanti…
Le scuole non americane continueranno ad esistere – quella Serba ma anche quella Argentina, quella Spagnola, quella Croata – anche per il semplice motivo che se non hai il fisico, devi giocare per forza una pallacanestro diversa da quella americana…
Il tuo articolo è stato meraviglioso come quello di ANdrea, ma come nel suo articolo voglio fare alcuni appunti:
Si parla tanto del miglioramento del resto del mondo ma io penso che:
1) Io credo che il problema di Team Usa sia anche il fatto che cambiano ogni volta il quintetto titolare, impedendo una certa chimica di squadra, mentre nel Team Usa femminile questo non succede (oltre al fatto che al femminile partecipano quasi sempre le migliori giocatrici)!
2) So che voi dissentite da me su questo, ma io non mi sono particolarmente invaghito nè di Sergio Lull, nè di Alex Abrines, nè di Ricky Rubio, nè di Willy Hernangomez i quali ritengo siano buoni giocatori ma non li vedrei mai come fuoriclasse in NBA, perciò il ricambio generazionale della Spagna non mi sembra così valido e non credo potranno essere più competitivi come lo sono stati finora.
3) Il ricambio generazionale dell’Argentina, invece, mi pare del tutto inesistente.
Ciao Max.
Io vorrei sollevare un dubbio: ma Pop sarà adatto a questo clima, ad un gioco con pochi schemi offensvi, poco corale e, per l’appunto, più furbo e prammatico? Mmmmh!
Io ho un po’ l’impressione che Melo ci tenga tanto all’oro olimpico perchè potrebbe essere l’unico suo trofeo in carriera…oh, poi 3 ori olimpici sono un sogno inarrivabile per qualunque umano eh!
Deandre potrebbe essere sulla sua stessa strada, anche se la sua carriera ha una data di scadenza più lunga