Le origini dell’hockey su ghiaccio
La ricerca e lo studio delle origini dell’hockey su ghiaccio costituiscono senza dubbio un’avventura affascinante, ma al tempo stesso complessa: fin dai tempi più antichi, i paesi con clima freddo sono stati teatro di giochi con pattini e bastoni, quindi è praticamente impossibile definire con precisione il punto di partenza dell’hockey su ghiaccio moderno; storici e ricercatori hanno spesso presentato opinioni contrastanti e forse l’unica certezza risiede nel fatto che l’hockey non sia un’invenzione estemporanea, quanto piuttosto una lunga evoluzione di giochi.
Prima di iniziare la nostra ricerca, è sicuramente interessante analizzare la parola HOCKEY, cercando di capirne l’origine: ci sono testimonianze scritte (risalenti alla fine del XVIII secolo) in cui vengono descritte discipline su ghiaccio chiamate appunto “hockey“, sebbene questo termine fosse già utilizzato da diverso tempo per indicare alcuni giochi su prato.
Riguardo all’effettiva origine del nome Hockey, esistono alcune ipotesi:
a) hockey deriva dall’antico germanico hok (oppure hak), il cui significato è “pezzo di metallo o legno ricurvo”; da questo termine deriva hook, gancio nell’inglese moderno.
b) hockey deriva dall’antico francese hoquet, che significa “bastone di legno ricurvo” o “bastone del pastore”; con hoquet si indicava anche un primordiale gioco su prato con bastoni tipico della Francia.
c) hockey deriva da hoo-gee, che nella lingua dei Nativi Americani presenti in Canada significa “che male!”
d) nella tradizione popolare canadese, spesso vengono raccontate le vicende di un certo Colonnello Hockey, il quale a metà del XIX secolo avrebbe ideato un passatempo per i suoi soldati: il gioco di Hockey ben presto sarebbe diventato semplicemente hockey.
Tuttavia, soltanto le prime due ipotesi hanno un fondamento storico, mentre le altre due sono piuttosto improbabili, soprattutto quella del Colonnello Hockey.
Dopo aver analizzato il nome, possiamo finalmente iniziare il nostro studio sulle origini del gioco, ponendoci alcune domande fondamentali:
1. Che cos’è l’hockey su ghiaccio?
2. Considerati i numerosi giochi, quale di questi può essere considerato il vero progenitore dell’hockey su ghiaccio moderno?
3. Quali città o paesi possono reclamarne la paternità?
La risposta alla prima domanda ci è presentata dalla Society of International Hockey Research(SIHR), che il 19 maggio 2001 fornì questa definizione: l’hockey su ghiaccio è un gioco che possiede le seguenti caratteristiche:
– Superficie ghiacciata
– Due squadre
– Utilizzo di pattini
– Utilizzo di mazze ricurve
– Piccolo oggetto da muovere con le mazze
– Scopo del gioco: portare il piccolo oggetto all’interno della porta avversaria.
Quindi, per rispondere alla seconda domanda dobbiamo cercare un gioco o passatempo che rispecchi questi punti: è molto importante notificare che la SIHR non ha creato alcuna restrizione riguardo al numero di giocatori presenti sul ghiaccio o sulla specificità dell’oggetto, che può essere un disco, ma anche una pallina o una piccola pietra.
Prima di iniziare la ricerca è necessario sottolineare un aspetto fondamentale: l’hockey su ghiaccio, in un certo senso, deriva dall’hockey su prato, le cui forme più antiche risalgono addirittura a quattro mila anni fa, quando veniva praticato sulle rive del Nilo; sicuramente nel 5 secolo a. C. i Greci si dilettavano con un gioco con mazze e pallina, il quale poi si espanse non solo in Europa, ma anche in Asia.
Gradualmente, questi passatempi acquisirono grande popolarità anche nei paesi dell’Europa Settentrionale, dove tuttavia le proibitive condizioni climatiche durante l’inverno rendevano impossibile la pratica sull’erba: di conseguenza, fu ovvio per quelle popolazioni trasferire il gioco sul ghiaccio; la quasi totalità dei giochi con mazze e pallina tipici dell’Europa del Nord veniva praticato in estate sui prati erbosi e nei mesi freddi sulle superfici ghiacciate.
Dopo aver presentato questo fondamentale aspetto, la nostra ricerca sull’hockey su ghiaccio può avere inizio: nell’Europa Centro-Settentrionale, il pattinaggio era praticato da lunghissimo tempo (si pensa che i Vichinghi fossero abili pattinatori), mentre le prime testimonianze di giochi con mazze o bastoni provengono da alcuni pittori olandesi e fiamminghi del XVI e XVII secolo; tramite quei dipinti possiamo ipotizzare che, a quei tempi, discipline simili al moderno hockey su ghiaccio fossero già esistenti.
Nota: da questo momento in poi, il termine hockey identificherà soltanto discipline sul ghiaccio.
Un gioco molto comune in Olanda era il kolf (kolven), praticato sui campi ghiacciati, e che nel XVII secolo acquisì enorme popolarità non solo nei Paesi Bassi, ma anche in altre nazioni dell’Europa Settentrionale; in verità, le somiglianze tra Kolf e hockey sono praticamente nulle, quindi è necessario spostare la nostra attenzione su altri paesi, in particolare il Regno Unito e l’Irlanda, in cui erano presenti il field hockey inglese (anche se diverso da quello moderno), lo shinty scozzese e l’hurleyirlandese: nonostante fossero stati originariamente concepiti come giochi estivi su erba, durante l’inverno questi passatempi erano praticati con regolarità sulle superfici ghiacciate.
Nel XVIII secolo, in Inghilterra emerse il bandy, una disciplina giocata da due squadre di 11 uomini su di un campo simile a quello del calcio completamente ghiacciato: il bandy, che per alcuni storici è il vero progenitore dell’hockey moderno, si espanse gradualmente in tutta l’Europa Settentrionale fino alla Russia, diventando ben presto il principale gioco invernale del Vecchio Continente; tuttavia, nonostante la grande popolarità, soltanto nel 1891 fu fondata la National Bandy Association, l’organismo che fissò le regole del gioco e che in seguito avrebbe istituito i principali tornei internazionali.
Tra il XVIII e il XIX secolo, il Nord America accolse numerosi soldati ed immigrati britannici, che continuarono a praticare i loro tipici giochi anche nel paese straniero: sebbene tra i Mi’kmaq(popolazione di Nativi Americani presenti in Canada) fossero presenti alcuni passatempi sul ghiaccio, quei movimenti migratori dall’Europa si rivelarono la base dello sviluppo dell’hockey moderno.
Nel Continente Americano, l’hockey prese definitivamente le forme che conosciamo oggi, anche se il processo di trasformazione fu lungo, complesso tanto che spesso gli storici hanno presentato teorie e opinioni contrastanti tra loro: a contendersi la paternità dell’hockey ci sono addirittura quattro città (Windsor ed Halifax in Nova Scotia, Kingston in Ontario e Montreal in Quebec) ed ognuna di queste ha sicuramente delle valide ragioni dalla propria parte.
La Nova Scotia fu, probabilmente, la provincia che risentì maggiormente dell’influsso britannico, infatti, le principali città (Windsor, Halifax, Darthmouth) accolsero numerosi emigranti inglesi, oltre che parecchi battaglioni dell’esercito di Sua Maestà; la geografia della Nova Scotia presenta diversi fiumi e laghi, i quali, ghiacciandosi durante l’inverno, diventano automaticamente luoghi adatti al pattinaggio: non sorprende, quindi, che proprio in questa provincia i giochi con mazze e pallina si diffusero con molta facilità all’interno della popolazione locale.
La città che ultimamente ha reclamato con più insistenza la paternità dell’hockey è Windsor, in cui qualche anno fa è stata addirittura fondata la Windsor Hockey Heritage Society, il cui scopo è promuovere la località della Nova Scotia come birthplace of hockey: il principale fautore di Windsor è il Dr. Garth Vaughan, che in numerosi dossier e testi scritti ha cercato di spiegare ed argomentare le proprie ragioni.
Le teorie del Dr. Vaughan si fondano su un racconto dello scrittore canadese Thomas Chandler Haliburton (1796-1865), “The Attaché”, in cui compare una frase riferita ai ragazzi del King’s College di Windsor: “hurly on the long pond on the ice”. Haliburton aveva frequentato quell’Università e nel racconto volle presentare un ricordo della propria gioventù: l’hurley era il gioco preferito dai ragazzi del King’s College, i quali non potendolo praticare sull’erba durante i mesi invernali, lo trasferirono sul ghiaccio.
Per il Dr. Vaughan quella citazione è la prima testimonianza riguardo ad un gioco su ghiaccio in territorio canadese (e non solo) e può essere fatta risalire all’inizio del XIX secolo: gli studenti del King’s College, quindi, iniziarono la tradizione dell’hockey, per poi espanderlo nel resto della Nova Scotia e nelle altre province, insegnandolo ad amici e conoscenti.
Nonostante abbia ricevuto numerosi consensi (tra cui quelli degli autori di Total Hockey, the Official Encyclopedia of the National Hockey League), questa teoria non è stata accettata dalla SIHR, che ha considerato le documentazioni in possesso del Dr. Vaughan insufficienti per assegnare a Windsor l’assoluta paternità sull’hockey: quel passaggio di Haliburton è troppo vago, poiché manca qualunque riferimento a pattini, a squadre, a partite. Inoltre, il Dr. Vaughan non ha offerto delle motivazioni valide per escludere la contemporanea presenza di giochi simili in altre zone del Canada e del resto del mondo; la sua teoria che l’hockey sia uscito dai confini della Nova Scotia soltanto nel 1865 è stata categoricamente smentita dalla SIHR.
Ad ogni modo, la Nova Scotia fu probabilmente la provincia canadese più attiva nello sviluppo dell’hockey, grazie non solo a Windsor, ma anche ad Halifax e Darthmouth, che accolsero numerosi militari dell’esercito britannico; i soldati inglesi, che praticavano nella loro patria il bandy, trasferirono questa disciplina in Canada, riscotendo un incredibile successo.
Gradualmente, l’hockey raccolse sempre più popolarità in Nova Scotia, e ben presto sui giornali (compresi quelli statunitensi) comparvero alcuni resoconti a riguardo: l’articolo più interessante fu sicuramente quello pubblicato nel 1859 da un corrispondente della Boston Gazette, che raccontò l’abilità degli abitanti della Nova Scotia nel pattinaggio, ma soprattutto descrisse questo eccitante passatempo. Va inoltre ricordato che nei primi sessant’anni del XIX secolo, il gioco era indifferentemente chiamato hockey, hurley, ma anche ricket, termini (in particolare hockey e hurley) che indicavano non solo la disciplina, ma anche il bastone.
Un’altra località molto importante ai fini della nostra ricerca è Kingston, Ontario, che soprattutto in passato ha fortemente reclamato la paternità sull’hockey: situata tra Montreal e Toronto, Kingston era un importante centro commerciale e culturale, in cui erano presenti due prestigiose istituzioni quali laQueen’s University e il Royal Military College, che ricoprirono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’hockey non solo in Ontario, ma anche in Canada e negli Stati Uniti.
Il principale sostenitore di Kingston fu il Capitano James Thomas Sutherland, che, nel 1903, preparò un dettagliato dossier circa i rapporti tra la propria città natale e l’hockey: la teoria di Sutherland si basava sugli archivi di Edwin Horsey (storico di Kingston), che riportavano alcuni estratti importanti; leggendo i diari del padre di Horsey risalenti al 1846-47, si può trovare un passaggio molto indicativo riguardo lo shinty (shinny), il gioco scozzese: Most of the boys were quite at home on skates. They could cut the figure eight and other fancy figures, but “shinny” was their delight!
Per il Capitano Sutherland, quelle partite di shinny si sarebbero rivelate la partenza dello sviluppo dell’hockey; inoltre, Sutherland, ignorando completamente i documentati eventi di Montreal (di cui parleremo più avanti), affermò che il primo incontro di hockey ufficialmente riconosciuto si era disputato nel 1888 (in verità 1886) tra la Queen’s University e il Royal Military College.
In verità, nonostante la scarna documentazione del Capitano Sutherland, esistono altri archivi che potrebbero assegnare la paternità dell’hockey a Kingston: nel gennaio 1843, l’ufficiale dell’esercito britannico Arthur H. Freeling scrisse sul proprio diario un appunto molto interessante: “Began to skate this year, improved quickly and had great fun at hockey on the ice”.
Questa frase (tra l’altro ignorata da Sutherland) potrebbe essere una prova che l’hockey sia nato a Kingston, tuttavia è troppo vaga e imprecisa: come affermato da numerosi storici, questo estratto non prova né l’utilizzo di pattini da parte dei giocatori (elemento fondamentale), né l’assenza di giochi simili in altre zone canadesi.
Un’altra testimonianza interessante su Kingston è quella che riguarda i Royal Canadian Rifles, che nel 1855, dopo aver spazzato il ghiaccio su lago Ontario intorno alle Tête du Pont Barracks, organizzarono una partita, utilizzando mazze di hockey su prato e palline da lacrosse.
Nonostante la documentazione piuttosto incerta, Kingston acquistò sempre più popolarità, tanto che nel 1943 la Canadian Amateur Hockey Association le conferì l’onore della Hockey Hall of Fame, il museo che avrebbe dovuto ricordare i grandi campioni e personaggi dell’hockey mondiale; in verità la Galleria sarebbe stata inaugurata diversi anni dopo a Toronto, tuttavia a Kingston fu aperto l’International Hockey Museum, in cui sono conservati numerose maglie, dischi e cimeli vari.
Un’ulteriore menzione è necessaria per la Queen’s University e il Royal Military College, che ricoprirono un ruolo decisivo per lo sviluppo e la diffusione dell’hockey non solo nella Provincia dell’Ontario, ma anche in molte città statunitensi; inoltre, la Queen’s University invitò nella propria sede diverse squadre di Ice Polo, il gioco su ghiaccio tipico degli Stati Uniti.
Come afferma lo storico J. W. Fitsell, forse Kingston non fu il vero birthplace of hockey, tuttavia pochissime altre città sono così amate dagli appassionati: ancora oggi vengono organizzate manifestazioni il cui scopo è quello di ricordare e presentare la grande eredità hockeistica di Kingston.
Dopo aver illustrato la situazione di Kingston, possiamo ritornare ad Halifax, soffermandoci su un’importante istituzione, l’Halifax Hockey Club: nella seconda metà del XIX secolo, questo circolo preparò le celeberrime Halifax Rules, una serie di norme che possono essere considerate il primo regolamento ufficiale dell’hockey. Tra le regole più interessanti possiamo presentare:
– La partita era suddivisa in due tempi da 30 minuti l’uno, con un breve intervallo di 10 minuti.
– Ogni squadra era composta di nove giocatori.
– Dopo ogni gol, era previsto il cambio di campo.
Il membro più famoso dell’Halifax Hockey Club fu James George Alwyn Creighton, un pattinatore e hockeista, che per alcuni storici è addirittura l’autore di quelle regole: negli anni ’70, Creighton si trasferì a Montreal, dove insegnò il gioco ai nuovi appassionati, trasformando la città del Quebec nel punto di riferimento dell’hockey; in verità, i primi riferimenti riguardo discipline sul ghiaccio a Montreal risalgono addirittura al 1837, ma queste testimonianze sono molto imprecise (oltre che piene di incongruenze) e di conseguenza la SIHR ha espresso numerosi dubbi sulla loro veridicità.
Il 3 marzo 1875, invece, il Victoria Rink di Montreal ospitò un evento che avrebbe acquisito un’importanza storica senza eguali: due formazioni locali si sfidarono in una partita di hockey, rispettando le Halifax Rules. L’evento fu reclamizzato dalla Montreal Gazette, che pubblicò un articolo di presentazione e, il giorno seguente, il resoconto della sfida, in cui comparve un appunto molto interessante: “Hockey is played usually with a ball, but last night, in order that no accident should happen, a flat block of wood was used, so that it should slide along the ice without rising”.
Indubbiamente il gioco era molto diverso da quello che conosciamo oggi, tuttavia quell’incontro di Montreal è il primo di cui abbiamo riferimenti precisi ed esatti riguardo il numero dei giocatori e sul punteggio; e proprio sulla base di questa partita che Montreal reclama la paternità sull’hockey, senza dimenticare che la città del Quebec sarebbe stata l’indiscussa protagonista nel futuro sviluppo della disciplina.
La Gazette, nella cui redazione era presente anche Creighton, offrì tutto il proprio contributo per la diffusione del gioco: nel 1877 su questo giornale fu pubblicato il regolamento ufficiale, probabilmente utilizzato per lo storico incontro del 1875.
Negli ultimi 25 anni del XIX secolo, l’hockey acquisì sempre più popolarità, come dimostrato dalla creazione di nuove squadre: la prima formazione ufficiale fu quasi sicuramente quella della McGill University di Montreal nel 1877, i cui giocatori furono immortalati in una storica foto; inoltre molti studenti di tale università furono presenti nella memorabile partita del 1875.
Con l’aumento della diffusione del gioco, fu sentita la necessità di cambiare e migliorare il regolamento e questo compito fu raccolto dagli studenti della McGill University, che presentarono gran parte delle modifiche: le nuove Montreal Rules erano sicuramente ispirate alle Halifax Rules, ma presentavano anche delle differenze, come ad esempio il passaggio in avanti, legale a Halifax, vietato a Montreal.
Dopo queste prime analisi, possiamo riprendere le domande iniziali, cercando di confrontare le risposte presentateci dagli storici: sebbene questi quesiti non sempre abbiano offerto pareri uniformi, nessuna ipotesi è veramente sbagliata e ognuna di essa contiene una parte di verità.
A Montreal l’hockey acquisì molte delle proprie caratteristiche definitive, tuttavia ci sono parecchi detrattori che rilevano giustamente che la famosa partita del 3 marzo 1875 fu organizzata da Creighton e giocata rispettando le Halifax Rules: ciò sarebbe una dimostrazione evidente che la città del Quebec subì l’influsso della Nova Scotia, in particolare di Halifax; infine, ci sarebbe anche Kingston, che può offrire le proprie valide ragioni.
Per chiudere questa prima parte dell’articolo, è molto interessante citare una provocazione presentata qualche anno fa da alcuni membri della McGill University: se la paternità dell’hockey su ghiaccio non fosse assegnata a Montreal, allora questa disciplina non potrebbe dichiararsi canadese, bensì europea, visto che i giochi praticati all’inizio del XIX secolo in Nova Scotia, da cui emerse l’hockey moderno, erano di chiara origine britannica.
Teoricamente, questa provocazione (che va intesa come tale) ha un fondo di verità, ciononostante i giochi praticati nel Vecchio Continente erano ancora troppo differenti perché possano essere paragonati all’hockey moderno; per questo motivo, si può concludere che tutta la nazione Canadese è la patria dell’hockey, visto che ogni sua provincia ha dato il proprio contributo alla diffusione e allo sviluppo dello spettacolare gioco sul ghiaccio.
Dal primo torneo del 1883 alla fondazione della NHL
Il 1883 è un anno fondamentale ai fini della nostra ricerca, poiché, in occasione del Winter Carnival di Montreal, fu organizzato il primo torneo ufficiale di hockey: sul St. Lawrence River, l’Università di McGill prevalse sui Montreal Victorias ed una compagine di Quebec City, aggiudicandosi la Birks Cup. Quella manifestazione fu importante anche per un altro aspetto, che sicuramente influenzò lo sviluppo dell’hockey: poiché la formazione di Quebec City non aveva a disposizione sufficienti atleti, gli organizzatori del torneo decisero di ridurre a sette il numero di giocatori per squadra.
La tradizione del Winter Carnival si prolungò anche negli anni successivi, fino a quando l’8 dicembre 1886 fu fondata la Amateur Hockey Association of Canada; in verità la AHAC non fu la prima lega presente sul territorio canadese, infatti, tra il 1885 e il 1886, il Kingston Hockey Club, i Kingston Athletics, la Queen’s University e il Royal Military College si erano accordati per disputare un campionato comune, vinto dalla Queen’s University. Tuttavia questa lega di Kingston mancava di uno statuto, di un’organizzazione stabile, presente invece nella AHAC, cui si iscrissero i Montreal Victorias, la McGill University, la Montreal Amateur Athletic Association, i Montreal Crystals e una squadra di Ottawa e, a partire dal 1887, una formazione di Quebec City.
La prima partita fu disputata il 7 gennaio 1887 e presentò la sfida tra i Crystals e McGill, con i primi vincenti per 3-1; il titolo fu assegnato tramite un Challenge System, in cui la vincente continuava a giocare e aspettava una nuova sfidante: al termine di sette incontri, i Crystals si laurearono campioni, dopo aver battuto in trasferta i Victorias per 3-2.
Il 1888 è un anno molto importante nella storia dell’hockey, infatti, quell’anno Sir Frederick Arthur, Lord Stanley of Preston, dopo aver ricevuto la nomina a Governatore del Canada per conto del Regno Unito, lasciò l’Europa per trasferirsi in Nord America: tutta la famiglia di Lord Stanley era appassionata di sport, in particolare i suoi figli, abilissimi pattinatori, che, poco dopo l’arrivo in Canada, fondarono gli Ottawa Rideau Rebels; in questa nuova formazione era presente anche James Creighton, che da qualche anno si era trasferito nella capitale canadese.
Nel 1890, gli Ottawa Rideau Rebels si recarono a Toronto per disputare alcune partite contro il Granite Club e il Victoria’s Club, due importanti circoli della città dell’Ontario; quegli incontri furono caratterizzati da un’estrema violenza, tanto che da più parti si levarono critiche verso l’hockey, che avrebbe potuto rischiare l’abolizione.
Tuttavia, queste proteste spinsero i dirigenti delle principali squadre dell’Ontario a creare una forte lega che avrebbe dovuto controllare l’hockey nella Provincia: il 27 novembre 1890, durante una riunione al Queen’s Hotel di Toronto, fu fondata la Ontario Hockey Association (OHA), che sarebbe stata controllata dalla famiglia di Lord Stanley e a cui s’iscrissero 13 formazioni.
Con la nascita della OHA, il numero di giocatori per formazione fu stabilmente fissato a sette: un portiere, due difensori, tre attaccanti ed un rover, che non aveva una precisa posizione sul campo e spesso fungeva da punto intermedio tra difesa e attacco; inoltre, il rover era il giocatore maggiormente dotato dal punto di vista tecnico e spesso era il miglior marcatore della squadra.
Nei primissimi anni ’90, l’hockey si era espanso in quasi tutto il Dominion, diventando il gioco invernale nazionale; analizzando la situazione, nel 1892 Lord Stanley decise di preparare un trofeo con cui premiare la migliore squadra del Canada: durante una cena alla Ottawa Amateur Athletic Association, Lord Kilcoursie pronunciò il seguente discorso per conto del Governatore:
“I have for some time been thinking that it would be a good thing if there were a challenge cup which should be held from year to year by the champion hockey team in the Dominion (of Canada). There does not appear to be any such outward sign of a championship at present, and considering the general interest which matches now elicit, and the importance of having the game played fairly and under rules generally recognized, I am willing to give a cup which shall be held from year to year by the winning team.”
Inizialmente, il trofeo era chiamato “The Dominion Challenge Cup”, tuttavia ben presto s’identificò con il nome del suo ideatore, diventando la Lord Stanley Hockey Cup o più semplicemente Stanley Cup; nel 1893 la Montreal Amateur Athletic Association, dopo aver conquistato il titolo della AHAC, battendo 1-0 Ottawa, ricevette in premio il trofeo del Governatore, senza dover giocare altri spareggi o partite: la leggenda della Stanley Cup era iniziata.
In realtà la Coppa era una semplice scodella, ma la tradizione di incidere i nomi dei giocatori vincenti provocò diverse modifiche al trofeo originale: la Stanley Cup prese la forma attuale (pezzo unico con sedici lamine d’argento e la scodella in alto) nel 1958; quando lo spazio per scrivere i nomi si esaurisce, una lamina viene tolta (e portata nella Hall of Fame) e sostituita da una nuova. Nel 1969 la scodella originale, estremamente fragile, fu tolta (e spedita alla Hall of Fame) e sostituita da una copia perfetta.
Poco dopo l’assegnazione del prestigioso trofeo alla Montreal AAA, Lord Stanley lasciò definitivamente il Canada, rientrando in Europa: purtroppo non poté mai assistere ad un incontro valevole per il proprio trofeo, poiché soltanto dal 1894 la Stanley Cup sarebbe stata assegnata tramite una sfida tra due squadre. Prima della propria partenza, Lord Stanley conferì a Philip Dansken Ross e John Sweetland la carica di “trustees” della Stanley Cup, il cui compito era quello di organizzare e controllare gli incontri per la Coppa.
La Stanley Cup, tuttavia, non era riservata solamente alle squadre della AHAC, ma ad ogni formazione canadese: chiunque avesse vinto il titolo di una lega presente sul territorio del Dominion avrebbe potuto richiedere la possibilità di sfidare i detentori del trofeo ai trustees, che in seguito avrebbero valutato le varie candidature e scelto le contendenti.
Esistevano, dunque, due sistemi per potersi assicurare la Stanley Cup:
1. Vincere il titolo della lega di cui faceva parte la squadra detentrice della Stanley Cup.
2. Sfidare la detentrice della Stanley Cup in una serie al di fuori della lega.
A cavallo tra il XIX e il XX secolo, l’hockey aveva ormai conquistato popolarità non solo in Canada, ma anche negli Stati Uniti, dove rispettivamente nel 1901 e nel 1904 furono fondate la Western Pennsylvania Hockey League e l’International (Pro) Hockey League, le prime leghe interamente professionistiche; queste organizzazioni attirarono diversi giocatori canadesi, che lasciarono il loro paese per gli USA, dove avrebbero potuto ottenere contratti più vantaggiosi.
In Canada, invece, il dilettantismo rimase una prerogativa indiscutibile per più tempo, infatti, le prime organizzazioni professionistiche, tra cui la Eastern Canada Hockey Association (ECHA), la Ontario Professional Hockey League e la New Ontario Hockey League, comparvero qualche anno dopo.
Analizzando la situazione, i trustees decisero, nel 1907, di aprire le sfide per la Stanley Cup anche alle formazioni professionistiche: Lord Stanley, infatti, aveva preparato quel trofeo per premiare la migliore squadra della nazione, senza distinzioni tra professionisti e dilettanti! Le compagini amatoriali si dovettero, quindi, accontentare della Allan Cup, premio donato da Sir Hugh Montagu Allan nel 1908.
Negli anni successivi alla sua istituzione, gli incontri valevoli per la Stanley Cup erano molto frequenti: gli Ottawa Senators (che non vanno confusi con gli attuali nati nel 1992) vinsero il trofeo nel 1903 contro i Montreal Victorias, per poi difenderlo otto volte consecutive fino al 1906, meritandosi l’appellativo di The Silver Seven. Anche i formati delle serie cambiavano spesso, sebbene quello più utilizzato fosse una doppia sfida in cui erano sommati i gol realizzati nelle due partite.
Sul finire della prima decade del XX secolo, una squadra proveniente da Renfrew (Ontario) conquistò le luci della ribalta: dopo alcune vittorie nella Ottawa Valley Hockey League, i dirigenti di questa formazione, Michael John O’Brien e il figlio Ambrose, ritenevano di meritare la sfida per la Stanley Cup, ma purtroppo le loro richieste furono ignorate dai trustees.
Dopo alcuni rifiuti, Ambrose O’Brien cercò di iscrivere la squadra di Renfrew alla ECHA, sperando nell’ammissione in quella che era una delle leghe più importanti del Dominion; in verità, il 25 novembre 1909 la ECHA fu sciolta, ma dalle sue ceneri fu creata la Canadian Hockey Association (CHA), che comprendeva i Montreal Shamrocks, i Montreal Nationals (squadra francofona), gli Ottawa Senators, i Quebec Bulldogs e un’altra compagine di Montreal: nonostante le richieste e proposte di O’Brien, Renfrew fu esclusa.
Delusi dagli eventi, O’Brien e Jimmy Gardner, dirigente dei Montreal Wanderers (anch’essi lasciati fuori dalla CHA), decisero di fondare una nuova lega, così il 2 dicembre 1909, i Wanderers Renfrew, Cobalt (Ontario) e Haileybury (Ontario) crearono la National Hockey Association (NHA); qualche giorno più tardi, a queste quattro formazioni se ne aggiunse un’altra, rappresentante la comunità francese di Montreal: quelli furono i primi passi de le Canadiens, la più celebre squadra di hockey di tutti i tempi.
Lo scontro tra le due leghe per assicurarsi i migliori giocatori fu molto aspro, ma quando il 28 dicembre 1909 Renfrew ingaggiò il fuoriclasse Cyclone Taylor, la NHA prese il sopravvento: il 19 gennaio 1910, durante un meeting tra i dirigenti delle due organizzazioni, fu stabilito che la NHA avrebbe accolto gli Ottawa Senators e i Montreal Shamrocks, diventando una lega a sette squadre e provocando lo scioglimento della CHA; poiché la formazione della capitale era la detentrice della Stanley Cup, chi avesse conquistato il titolo della NHA, si sarebbe automaticamente aggiudicato il prestigioso trofeo. Il successo finale arrise ai Montreal Wanderers, che al termine di un’eccellente stagione da 11 vittorie ed appena 1 sconfitta, si laurearono campioni della NHA, ricevendo la Stanley Cup.
La NHA era diventata la principale lega della Nazione, ma tuttavia i costi e le perdite finanziarie si rivelarono fatali per alcune formazioni, quali Cobalt, Haileybury, i Montreal Shamrocks, ma anche Renfrew, i cui diritti furono acquisiti dalla città di Toronto. Con la fondazione della NHA, furono effettuate alcune importanti modifiche al regolamento, come ad esempio l’abbandono dei due tempi da 30 minuti in favore di tre periodi da 20 e l’eliminazione del rover, che ridusse il numero di giocatori presenti sul ghiaccio da sette a sei.
Se la NHA era la principale organizzazione ad Est, l’altra parte del Dominion era controllata dalla Pacific Coast Hockey Association (PCHA), lega fondata nel 1911 da Joseph Patrick assieme ai figli Frank e Lester; i dirigenti della PHCA istituirono molte regole interessanti, tra cui possiamo ricordare:
– I portieri potevano tuffarsi per compiere le parate
– La creazione di due linee blu per dividere il campo in tre parti
– La legalizzazione del passaggio in avanti nella zona neutrale
– L’istituzione del tiro di rigore (anche se battuto in maniera diversa da come lo conosciamo noi)
– L’usanza di accreditare un assist a chi eseguiva un passaggio vincente.
La PCHA, tuttavia, continuò sempre ad utilizzare la regola dei sette uomini sul ghiaccio.
Dal momento che la NHA e la PCHA erano con certezza le migliori leghe del Nord America, nel 1914 i trustees stabilirono che la Stanley Cup sarebbe stata assegnata in una sfida tra i campioni di quelle due organizzazioni; per ovviare al problema del diverso numero di giocatori in campo, fu deciso che:
– Nelle partite giocate in casa dalla NHA, ogni squadra avrebbe potuto utilizzare solamente sei giocatori.
– Nelle partite giocate in casa dalla PCHA, ogni squadra avrebbe potuto utilizzare sette giocatori, quindi anche il rover.
Nel 1915, Eddie Livingstone, proprietario dei Toronto Shamrocks, acquistò anche i Toronto Blueshirts, assumendo il controllo di due squadre, evento che non fu apprezzato dagli altri proprietari e dirigenti: intimato a cedere almeno una formazione, Livingstone fece fallire gli Shamrocks.
Il 10 febbraio 1917, i dirigenti della NHA estromisero i Blueshirts dal campionato, distribuendo i giocatori tra le altre quattro squadre; finita la stagione, la NHA chiuse la propria esistenza, ma i vari proprietari e dirigenti crearono la National Hockey League (NHL). Livingstone cercò di far valere le proprie ragioni, ma alla fine dovette rassegnarsi, tanto che la squadra di Toronto che avrebbe giocato nella NHL fu assegnata alla Mutual Street Arena.
Oltre alle diatribe e gli scontri tra i proprietari, nel 1916 e nel 1917 avvennero due eventi importanti: nel 1916, infatti, i Montreal Canadiens vinsero la loro prima Stanley Cup della storia, mentre dodici mesi dopo i Seattle Metropolitans della PCHA diventarono la prima squadra a portare il prestigioso trofeo al di fuori dei confini canadesi.
Sebbene la NHL fosse appena nata, i trustees non esitarono ad invitarla alle sfide contro la PCHA per la Stanley Cup; tuttavia, la prima serie tra NHL e PCHA, disputata tra Canadiens e Metropolitans nel 1919, fu interrotta dopo cinque partite (due vittorie a testa e un pareggio) a causa di un’epidemia influenzale, che colpì diversi giocatori di Montreal: la sfida non poté essere ripresa e per la prima e ultima volta dal 1893 la Stanley Cup non fu assegnata.
Nel 1921 fu fondata la Western Canada Hockey League, organizzazione che cercava di contendere alla PCHA il controllo dell’hockey sulla costa occidentale, partecipando alle sfide per la Stanley Cup: tre anni dopo la PCHA fu sciolta, ma due delle tre squadre provenienti da quella lega furono inserite nella WCHL, che si trasformò in Western Hockey League; la nuova WHL, purtroppo, chiuse la propria esistenza al termine della stagione 1925-26.
Essendo l’unica major league rimasta, la NHL poté premiare dal 1926-27 i suoi campioni con la Stanley Cup, senza successivi spareggi con formazioni provenienti da altre leghe: i Victoria Cougars rimarranno per sempre l’ultima squadra non appartenente alla NHL ad alzare il famoso trofeo (1924-1925) e a partecipare ad una sfida per aggiudicarselo (1925-26); inoltre con lo scioglimento della WHL, il numero di giocatori presenti in campo fu stabilmente fissato a sei.
Nel 1926-27 le squadre della NHL (alcune delle quali provenienti dalla WHL e trasferite in altre città) furono distribuite in Canadian Division e American Division; purtroppo negli anni ’30 molte franchigie si ritirarono, tanto che nel 1938 i due raggruppamenti furono cancellati. Tra le squadre estinte, una menzione è necessaria per gli Ottawa Senators (vincitori tra l’altro di quattro Stanley Cup negli anni ’20), che nel 1934 si trasferirono a St. Louis, dove diventarono gli Eagles; purtroppo una stagione più tardi, questa squadra si sciolse definitivamente.
Tuttavia, nel 1929 era stata presentata la regola che avrebbe cambiato completamente lo svolgimento delle partite: a causa dell’eccessivo aumento degli shut-out, i massimi dirigenti della NHL si resero conto che il gioco stava diventando sempre più noioso e decisero di agire, legalizzando completamente il forward pass; d’ora in poi, il passaggio in avanti sarebbe stato ammesso non solo nella zona neutrale (1918) e nel terzo difensivo (1927), ma anche nel terzo d’attacco. Qualche anno più tardi furono fissate alcune regole sul fuorigioco (per evitare che un giocatore si piazzasse davanti alla porta avversaria), sul tiro di rigore e sulla liberazione vietata (icing).
Intanto, anche in Europa l’hockey canadese stava raccogliendo sempre più successo: ritornato in Gran Bretagna nel 1893, Lord Stanley si impegnò a diffondere la disciplina nordamericana nel Vecchio Continente, che gradualmente abbandonò il bandy per dedicarsi all’hockey.
Nel 1908 alcuni delegati provenienti da Gran Bretagna, Francia, Belgio e Svizzera fondarono a Parigi la Ligue International de Hockey sur Glace, che qualche anno più tardi sarebbe diventata la International Ice Hockey Federation (IIHF). Nel 1910 fu organizzato il primo Campionato Europeo, ma la vera svolta avvenne nel 1920, quando l’hockey fu inserito (anche se come disciplina dimostrativa) all’interno dei Giochi Estivi di Anversa. Quattro anni più tardi, Chamonix ospitò i primi Giochi Invernali della storia, che nel proprio programma comprendevano anche l’hockey su ghiaccio; in verità, le medaglie di Anversa non sono considerate ufficiali, tuttavia la IIHF ha assegnato a quel torneo olimpico lo status di Campionato del Mondo, manifestazione che dal 1930 avrebbe preso la classica cadenza annuale.
La prima potenza europea fu sicuramente la Gran Bretagna, che tra l’altro vinse la medaglia d’oro ai Giochi di Garmisch Partenkirchen nel 1936, interrompendo i successi canadesi: tuttavia, negli anni ’20, comparvero le vere forze del Vecchio Continente, quali la Cecoslovacchia, la Svezia, la Finlandia, che imposero il loro marchio nelle competizioni internazionali, mentre i Britannici lasciarono gradualmente le posizioni di prestigio. Ad ogni modo, la vera dominatrice, l’unica compagine in grado di competere contro i maestri canadesi, l’Unione Sovietica, si sarebbe avvicinata all’hockey diversi anni più tardi, debuttando ai Campionati del Mondo soltanto nel 1954.
Per chiudere il discorso sui tornei internazionali, è necessario ricordare che ai giocatori NHL era vietata la partecipazione, in quanto professionisti: di conseguenza, i colori canadesi erano difesi dalla vincitrice della Allan Cup, il trofeo per le compagini dilettanti; tra queste formazioni, quelli che avrebbero raccolto più onori furono i Penticton Vees (British Columbia), che nel 1955 a Krefeld (Germania) si laurearono Campioni del Mondo, battendo 5-0 l’URSS, detentrice del titolo.
Dalle Original Six alla fondazione della WHA
Dai grandi New York Islanders ai Giochi Olimpici di Torino
Dalle origini alla fondazione della NHL
Per gli appassionati di hockey su ghiaccio, uno dei luoghi più amati e venerati è senza dubbio Montreal: tra la città del Quebec e questa disciplina esiste, infatti, un fortissimo legame, che parte dal XIX secolo e che arriva ai Montreal Canadiens, la più celebre squadra di tutti i tempi.
I primi riferimenti a giochi su ghiaccio a Montreal risalgono al 1837, quando si sarebbero disputate alcune partite di Ice Hurley: tuttavia, queste testimonianze non solo sono piuttosto imprecise, ma contengono anche numerosi anacronismi, di conseguenza la Society of International Hockey Research ha espresso molti dubbi riguardo la veridicità di quegli incontri.
La nostra ricerca, quindi, inizia il 3 marzo 1875, quando al Victoria Rink di Montreal fu organizzata una partita di hockey su ghiaccio, che tra l’altro fu presentata anche dalla Montreal Gazette, un importante quotidiano locale: questo evento ha un significato storico molto importante, poiché, nonostante le evidenti differenze con il gioco moderno, è considerato il primo incontro ufficiale di hockey su ghiaccio.
Indipendentemente dal reale luogo di nascita, la città di Montreal recitò un ruolo da protagonista nella diffusione dell’hockey, soprattutto grazie alla McGill University: gli studenti di questa università, infatti, erano assidui giocatori di hockey e, grazie alle loro proposte, diedero un grande impulso allo sviluppo della disciplina nel resto della nazione.
Nel 1883, durante il Winter Carnival di Montreal (un’importante manifestazione che attirava spettatori da tutto il Nord America), fu organizzato il primo torneo ufficiale di hockey su ghiaccio, cui parteciparono la McGill University (che si aggiudicò la Bedouin Cup), i Montreal Victorias e una compagine di Quebec City: poiché il pubblico apprezzò lo spettacolo offerto dalle tre squadre, la competizione fu ripetuta per altri sei anni.
La popolarità dell’hockey era in continuo aumento e ben presto furono fondate le prime leghe, tra cui la Amateur Hockey Association of Canada nel 1886: a questa organizzazione si iscrissero quattro formazioni di Montreal, i Victorias, i Crystals, la McGill University e il Montreal Hockey Club, squadra appartenente alla Montreal Amateur Athletic Association (MAAA), che nel 1893 ricevette dal Governatore del Canada la prima Stanley Cup.
La Montreal AAA, prima squadra premiata con la Stanley Cup
La MAAA mantenne la Coppa anche nel 1894, ma nella stagione successiva dovette cederla ai Montreal Victorias, i quali nel febbraio 1896 furono sconfitti dagli omonimi Winnipeg Victorias; il prestigioso trofeo rientrò a Montreal qualche mese dopo, rimanendoci fino all’inizio del XX secolo; tra le squadre vittoriose ricordiamo, oltre alla Montreal AAA e i Victorias, gli Shamrocks, compagine rappresentante la minoranza irlandese, che si aggiudicò la Coppa nel 1899 e nel 1990.
Nel 1902 la Montreal AAA vinse la quarta (e ultima) Stanley Cup della propria storia, battendo in finale i Winnipeg Victorias: quello fu l’ultimo successo di una compagine di Montreal prima del dominio degli Ottawa Senators (i famosi Silver Seven), che vinsero nove sfide consecutive.
Nel 1906 i Silver Seven affrontarono per la seconda volta in due anni i Montreal Wanderers, una compagine fondata nel 1903 e che comprendeva numerosi giocatori della Montreal AAA, tra cui il celebre Dickie Boon: i Wanderers sono considerati la prima squadra professionistica di Montreal.
La sfida per la Stanley Cup fu molto spettacolare: i Wanderers vinsero la gara di andata 9-1, ma furono battuti 9-3 nel ritorno; il punteggio complessivo della serie (12-10) fu favorevole alla compagine di Montreal, che quindi poté riportare la prestigiosa coppa in Quebec.
Come si può intuire facilmente, l’hockey a Montreal era praticato dalla popolazione di lingua inglese, anche perché i francesi non sembravano molto interessati: soltanto grazie a dei contatti con la minoranza irlandese, i francofoni iniziarono ad appassionarsi al nuovo gioco; nel 1894 fu creata la Association Athletique d’Amateurs Nationale, la prima squadra completamente francese, nota anche come le Nationale, e pochi anni dopo comparve le Montagnard.
Queste due squadre ebbero un discreto successo nei primi anni del XX secolo, sebbene i due giocatori più rappresentativi, Jean Baptiste “Jack” Laviolette e Didier Pitre, si fossero trasferiti negli USA per passare al professionismo: nel 1906-07 fu addirittura considerata un’ipotetica sfida per la Stanley Cup tra i Montreal Wanderers, detentori del trofeo, e appunto le Montagnard. Purtroppo dopo alcuni reclami e proteste, la formazione francese fu privata di due vittorie all’interno della propria lega e per questo si ritirò.
Essendo le Nationale ormai scomparso, i francofoni rimasero senza squadre per due stagioni, ma quando anche in Canada prese piede il professionismo, molti giocatori “emigrati” negli Stati Uniti rientrarono in patria: il 10 marzo 1909 i Montreal Wanderers, detentori della Stanley Cup, sfidarono in un’amichevole una selezione formata dagli atleti francesi più rappresentativi, quali Jack Laviolette, Didier “Cannonball” Pitre, Edouard “Newsy” Lalonde, Emile Coutu, Joseph Dostaler e Alphonse Jette.
La partita finì 9-8 per i Wanderers, ma la prestazione dei loro avversari (che indossavano le vecchie divise de le Nationale) fu sicuramente ottima e contribuì all’ingresso della squadra francese all’interno della Canadian Hockey Association, la nuova lega che si proponeva di “governare” l’hockey nel Canada Orientale.
Tuttavia quest’ipotesi non si realizzò, infatti, nel dicembre 1909 J. Ambrose O’Brien istituì un’ulteriore organizzazione, la National Hockey Association, cui s’iscrissero anche i Wanderers e il Club de Hockey Canadien: questa compagine francese era stata fondata il 4 dicembre 1909 proprio da J. Ambrose O’Brien, che successivamente aveva incaricato Laviolette di preparare la formazione. La maglia della nuova squadra era blu, con una banda bianca che copriva le spalle e il petto, su cui era posto una lettera C, mentre i pantaloni erano sempre di colore bianco, mentre le calze rosse: la squadra di hockey più celebre del pianeta, i Montreal Canadiens, aveva appena mosso i primi passi!
Inevitabile fu lo scontro (anche in tribunale) tra le Nationale e i Canadiens per assicurarsi i migliori talenti, ma alla fine le Nationale fu sconfitto e scomparve: i Canadiens rimasero gli unici rappresentanti della Montreal francese; il 5 dicembre 1909 i Canadiens giocarono, contro i Cobalt Silver Kings, la loro prima partita vincendo 7-6 in overtime.
Intanto la diatriba tra le due leghe si chiuse con la vittoria della NHA, che attirò tre squadre dalla CHA, ormai prossima alla fine: sette formazioni componevano l’organizzazione rimasta e ben tre (Shamrocks, Wanderers e Canadiens) erano originarie di Montreal; il 15 gennaio 1910 i massimi dirigenti della NHA stilarono un nuovo calendario e quattro giorni più tardi i Canadiens affrontarono Renfrew, perdendo 9-4.
Nella NHA giocavano anche gli Ottawa Senators, che, la stagione precedente, avevano riconquistato la Stanley Cup: il primo titolo della nuova lega fu assegnato ai Wanderers, che poterono ricevere il prestigioso trofeo. Poche settimane dopo l’importante successo, la compagine inglese di Montreal accettò la sfida dei Berlin Union Jackets, campioni della Ontario Professional League, battendoli agevolmente 7-3; i Wanderers poterono alzare la Stanley Cup per l’ultima volta.
Un evento molto importante avvenne nel novembre del 1910 quando, al termine di una contesa finita davanti al giudice, la franchigia francofona fu acquisita da George Kendall-Kennedy, diventando il Club Athlétique Canadien; inoltre dopo lo scioglimento degli Shamrocks, soltanto Wanderers e Canadiens continuarono la loro attività a livello professionistico a Montreal.
Nel 1914 la compagine francofona cambiò per la terza volta la propria divisa di gioca, presentando quella che è utilizzata ancora oggi: rossa, con al centro una banda blu (con bordi bianchi) e il logo della franchigia. In verità per molti anni i Canadiens utilizzarono solamente la maglia rossa, presentando quella bianca per la prima volta soltanto nel 1945; dal 1968 la squadra disputa regolarmente gli incontri casalinghi, indossando la divisa chiara.
Nel 1916 i Canadiens vinsero il titolo della NHA, qualificandosi per la finale della Stanley Cup dove avrebbero affrontato i Portland Rosebuds, campioni della Pacific Coast Hockey Association: dopo cinque combattute partite, i Canadiens conquistarono il leggendario trofeo per la prima volta; leader indiscusso era Didier Pitre, miglior marcatore della squadra.
In verità altri giocatori francesi avevano avuto il piacere di vedere il loro nome inciso sulla Stanley Cup gli anni precedenti: Antoine “Tony” Gingras dei Winnipeg Victorias nel 1901 e Henri Menard dei Montreal Shamrocks nel 1906.
La stagione del 1916-17 fu divisa in due metà: i Canadiens e gli Ottawa Senators, vincitori rispettivamente della prima e della seconda parte, si affrontarono in un playoff per l’assegnazione dell’ultimo titolo NHA della storia; la squadra francofona vinse la sfida ma perse in quattro partite con i Seattle Metropolitans la serie per la Stanley Cup, che, per la prima volta, lasciò il Canada per gli Stati Uniti.
Nel 1917 fu fondata, dalle ceneri della NHA, la National Hockey League, cui s’iscrissero sia i Canadiens, sia i Wanderers; il Club Athlétique Canadien si trasformò in Club de Hockey Canadien, presentando il celebre logo CH, che, ancora oggi, è il simbolo della franchigia.
Purtroppo il 2 gennaio 1918, la Montreal Westmount Arena fu distrutta da un incendio, obbligando i Canadiens a trasferirsi nella piccola Jubilee Arena e provocando la scomparsa dei Wanderers: in verità, molti critici ritengono che i veri motivi del ritiro fossero di natura economica e che l’incendio non fosse altro che una copertura per nascondere i problemi finanziari; soltanto nel 1924 la comunità inglese poté festeggiare l’ingresso di una nuova formazione, i Maroons.
La stagione successiva vide i Canadiens conquistare per la prima volta il titolo NHL, aggiudicandosi il diritto di disputare la finale della Stanley Cup contro i Seattle Metropolitans; in quel periodo un’epidemia influenzale stava pericolosamente contagiando il continente americano, ciononostante la serie fu regolarmente disputata: tuttavia dopo cinque incontri (due vittorie per parte e un pareggio) molti giocatori dei Canadiens si ammalarono e lo scontro finale dovette essere sospeso. Il manager di Montreal George Kennedy propose di utilizzare alcuni hockeisti provenienti da Victoria per poter continuare la serie, ma con grande sportività la dirigenza dei Metropolitans rifiutò l’offerta: per la prima volta la Stanley Cup non fu assegnata.
Qualche tempo dopo anche la Jubilee Arena andò in fiamme e per un periodo di quattro anni i Canadiens, passati nel 1921 nelle mani di Léo Dandurand, Joseph Cattarinich e Louis A. Létourneau, disputarono le loro partite interne alla Mont-Royal Arena, costruita in meno di sei mesi.
Dalla costruzione del Forum a Maurice Richard
Il 1924 vide l’inaugurazione del mitico Forum, costruito inizialmente per i debuttanti Maroons: in effetti, i Canadiens vi entrarono ufficialmente soltanto nel 1926, ma ebbero la fortuna di disputare il primo incontro del nuovo impianto (vinto 7-1 contro i Toronto St. Pats). Il Forum sarebbe rimasto la casa dei Canadiens per oltre settant’anni, quando nel 1996 fu sostituito dal moderno Molson Centre; tuttavia va ricordato che il Forum fu sottoposto a due rinnovamenti (1949, 1968), che ne aumentarono la capienza e lo modernizzarono.
Sempre nel 1924 (così si dice) comparve il soprannome Habs, con cui i tifosi incitano, ancora oggi, la propria squadra: il reporter americano Tex Rickard era stato informato che la lettera H presente nel logo significasse Habitants, un termine con cui s’indicavano gli agricoltori francesi del Quebec; Rickard riferì che gran parte dei giocatori dei Canadiens erano contadini, quindi Habitants o più brevemente Habs.
E proprio nel 1924 i Montreal Canadiens vinsero per la seconda volta il titolo della NHL, per poi aggiudicarsi la Stanley Cup, sconfiggendo i Vancouver Millionaires e i Calgary Tigers, rispettivamente campioni della PCHA e della WCHL: l’anno successivo i Canadiens bissarono il titolo NHL, ma non riuscirono a difendere la Stanley Cup, conquistata dai Victoria Cougars.
Nonostante la sconfitta, i Canadiens erano già diventati una formazione importantissima, ma forse il vero protagonista che si distinse sugli altri fu il portiere Georges Vezina, unico giocatore ad aver partecipato a tutte le stagioni della squadra francese: fin dalla prima annata Vezina difese con estrema classe la gabbia dei Canadiens; le sue prese erano sempre molto sicure, nonostante i portieri dell’epoca fossero privi di guanti e protezioni varie, oltre ad essere obbligati a restare in piedi (il regolamento vietava loro di buttarsi sul ghiaccio per compiere una parata).
Durante il training camp della stagione 1925-26, il Chicoutimi Cucumber (questo il soprannome) si sentì molto affaticato, evidenziando uno stato di salute precario: nonostante la febbre altissima, Vezina decise di disputare la partita inaugurale contro i Pittsburgh Pirates, ma dovette essere sostituito alla fine del primo periodo, interrompendo una striscia di 367 partite consecutive.
I medici gli diagnosticarono una forma di tubercolosi in stadio molto avanzato: il 24 marzo 1926 a soli 39 anni, Georges Vezina si spense, lasciando un vuoto incolmabile nella squadra e tra i tifosi; non è un caso che gli anni successivi alla sua morte furono molto difficili per i Canadiens.
Per onorare lo sfortunato campione, i massimi dirigenti della franchigia donarono alla NHL un trofeo (dedicato alla memoria di Vezina) con cui premiare il portiere che avesse compilato la media gol subiti più bassa; dal 1981-82, il riconoscimento viene assegnato da una giuria di addetti ai lavori al miglior goalie della stagione, indipendentemente dal numero di reti concesse.
Sebbene i Canadiens entrassero in un periodo di crisi, la Stanley Cup ritornò a Montreal, grazie ai Maroons, che si aggiudicarono il trofeo, dopo aver battuto i Cougars in finale: ovviamente tra Canadiens e Maroons la rivalità era molto accesa e creò durissime battaglie sia sul ghiaccio, sia sugli spalti.
I Canadiens si aggiudicarono due Coppe consecutive (ricordiamoci che dal 1926-27 il trofeo veniva consegnato direttamente alla squadra campione NHL, senza successivi spareggi con formazioni provenienti da altre leghe) nel 1930 e 1931, mentre i Maroons replicarono nel 1935, quando sconfissero i Toronto Maple Leafs 3-0; tra i protagonisti dei Canadiens ricordiamo Sylvio Mantha, Howie Morenz, Aurele Joliat e George Hainsworth (degno erede di Georges Vezina), mentre tra i Maroons non ci si può dimenticare di Nels Stewart, Howie Smith e Babe Siebert.
Una menzione particolare meriterebbe Howie Morenz, protagonista dei Canadiens negli anni ’20 e nei primi anni ’30: per tre volte fu premiato con l’Hart Trophy e in due occasioni vinse il titolo dei marcatori; nel 1934 fu ceduto ai Chicago Black Hawks, i quali poi lo scambiarono con i New York Rangers. Tuttavia nel 1936 Morenz rientrò a Montreal, ma il 28 gennaio 1937, in una partita proprio contro Chicago, si fratturò la gamba, mettendo fine alla propria carriera; l’8 marzo, a causa di complicazioni dopo l’infortunio, Howie Morenz si spense e ben 15.000 tifosi si recarono al Forum per rendere omaggio al loro beniamino.
Qualche mese dopo, per aiutare la famiglia dello sfortunato giocatore, fu organizzata un’amichevole tra una selezione mista di Canadiens e Maroons e una formata dai migliori giocatori della NHL: la squadra di Montreal fu sconfitta 6-3.
Il 17 marzo 1938 si disputò l’ultima sfida tra le due grandi rivali, vinta dai francesi per 6-3: poco tempo dopo i Maroons chiusero la loro esistenza, lasciando la città di Montreal interamente ai Canadiens; gli Habs, ad ogni modo, avrebbero dovuto aspettare alcuni anni prima di ritornare a dominare la NHL.
Momento chiave della storia degli Habs accadde il 31 ottobre 1942, quando Maurice Richard, un giovane di ventuno anni, debuttò con la maglia rosso-blu; Richard giocò le prime partite della sua carriera con la maglia numero 15 ma dopo la nascita della sua primogenita (che pesava 9 libbre), decise di cambiarlo, scegliendo appunto il 9.
Nonostante le attese, gli inizi furono complessi e costellati di infortuni e il manager degli Habs pensò addirittura ad una cessione; tuttavia Richard si era già messo in luce, tanto che un giornalista locale lo aveva soprannominato “The Comet”: questo nomignolo scomparve ben presto, poiché il suo compagno Ray Getliffe, sconvolto dalla velocità di Richard, lo ribattezzò The Rocket.
Superate le difficoltà iniziali, Richard impose il suo talento nel mondo dell’hockey su ghiaccio, diventando il dominatore della NHL: per 18 anni the Rocket avrebbe intimorito i difensori avversari con la sua velocità e la sua fisicità, di cui spesso abusava per umiliarli. Al termine della carriera Richard aveva segnato 544 reti (record ancora imbattuto per i Canadiens), diventando il primo giocatore a superare il muro dei 500; inoltre nel 1945, il mitico numero 9 riuscì a realizzare 50 gol in 50 partite, impresa eguagliata da Mike Bossy (star dei New York Islanders) soltanto nel 1981.
Memorabile fu la partita contro i Chicago Black Hawks del 19 ottobre 1957, quando Richard segnò la cinquecentesima rete nella NHL; teniamo presente che nessun altro giocatore era ancora riuscito a superare il muro dei 400 gol!
Richard, oltre ad essere un fenomeno in attacco, era anche un giocatore aggressivo, rissoso, spesso coinvolto in scazzottate e battaglie: nel 1955 fu addirittura squalificato dal presidente della NHL Clarence Campbell per l’intera post-season dopo aver rotto la mazza sulla schiena del Bruin Hal Laycoe e preso a pugni l’arbitro; l’intero stato del Quebec si ribellò alla decisione, protestando vivacemente.
Richard sapeva incutere timore negli avversari e questo commento del portiere Glenn Hall ci fa capire molte cose: “What I remember most about the Rocket were his eyes. When he came flying toward you with the puck on his stick, his eyes were all lit up, flashing and gleaming like a pinball machine. It was terrifying”.
Richard si ritirò nel 1960 dopo la finale vinta 4-0 sui Toronto Maple Leafs: quella era la dodicesima coppa vinta dai Canadiens, la decima alzata dal Rocket; nella classifica dei 50 migliori giocatori NHL di tutti i tempi, Richard occupa la quinta posizione, dietro solo a Wayne Gretzky, Bobby Orr, Gordie Howe e Mario Lemieux.
Nel 1999 fu istituito il Maurice Richard Trophy, riconoscimento destinato al giocatore con più gol realizzati al termine della stagione regolare.
Ma per diventare una squadra così dominante un solo giocatore non è sufficiente: come ci si può dimenticare di un fuoriclasse come Hector “Toe” Blake, soprannominato “The Lamplighter”?
Dopo aver giocato nei Maroons, Blake si aggregò nel 1935 ai Canadiens, diventandone capitano nel 1940; vestì la maglia degli Habs fino al 1948, quando un infortunio ad una gamba lo costrinse al ritiro (in effetti, giocò altre due stagioni in alcune minor leagues). La sua carriera nella NHL presenta 235 gol e 292 assist; nel 1946 Blake ricevette il primo Lady Bing Trophy, riconoscimento consegnato al giocatore che dimostra più sportività; nel 1955 Blake diventò allenatore dei Canadiens, posizione mantenuta fino al 1968, quando regalò agli Habs la quindicesima Stanley Cup della loro storia.
Compagno di linea (la celeberrima Punch Line) di Blake e Richard era il centro Elmer Lach, originario di Nokomis, Saskatchewan: dopo aver debuttato nel 1940-41 totalizzando 21 punti ed aver giocato solo una partita nel 1941-42, Lach esplose definitivamente la stagione successiva quando collezionò 18 gol e 40 assist; il Nokomis Flash diventò una pedina chiave nello scacchiere di Montreal, anche perché molti dei suoi passaggi erano trasformati in gol da Richard.
Nel 1944-45 Lach, grazie a 80 punti (26 gol e 54 assist), si laureò miglior marcatore della NHL, davanti ai suoi compagni di linea Richard e Blake: i tre fuoriclasse segnarono complessivamente 220 punti, un record battuto solamente molti anni più tardi, grazie al prolungamento della stagione; incredibilmente, dopo aver dominato in regular season, i Canadiens furono sconfitti dai Toronto Maple Leafs nella semifinale per la Stanley Cup!
Nonostante numerosi infortuni, Lach continuò ad eccellere anche nei campionati successivi, ma fu costretto al ritiro nel 1953 al termine della finale vinta 4-1 contro i Boston Bruins; la quinta partita della serie terminò 1-0 ai supplementari grazie alla rete realizzata proprio dal Nokomis Flash.
Un altro giocatore degno di nota fu il portiere Bill Durnam: nella sua breve carriera a livello professionistico (1943-1950), Durnam vinse sei Vezina Trophy e due Stanley Cup; purtroppo lo stress e il logorio dovuti alla difficile posizione lo costrinsero ad un ritiro prematuro. Tra le caratteristiche di Durnam spiccava il suo ambidestrismo: riusciva a bloccare i dischi e a maneggiare la mazza sia con la mano destra sia con la sinistra.
Non va dimenticato il difensore Ken Reardon, difensore famoso per il suo coraggio e per la sua cattiveria; giocatore duro e aggressivo, fu però vittima di innumerevoli infortuni che lo obbligarono al ritiro nel 1950 a soli 30 anni.
Un altro momento chiave nella storia dei Canadiens avvenne il 1° agosto 1946, quando Frank Selke diventò il Manager della squadra: dopo aver guidato i Toronto Maple Leafs da dietro la scrivania, Selke era pronto a creare la leggenda degli Habs; gli anni ’50 videro la definitiva ascesa di Montreal, che, ben presto, diventò l’autentica regina della NHL, vincendo sette coppe in nove stagioni. I Canadiens erano riusciti a completare una clamorosa cinquina tra il 1956 e il 1960, performance mai più eguagliata in seguito; soltanto i New York Yankees (cinque World Series tra il 1949 e il 1953) e i Boston Celtics (otto titoli NBA tra il 1959 e il 1966) hanno saputo vincere così tanti campionati consecutivi nello sport professionistico nordamericano.
Nel 1952-53 il coach Dick Irvin, Sr e il Manager Selke istituirono una delle più belle e principali tradizioni dei Canadiens, incidendo sulla porta dello spogliatoio del Forum alcuni versi della poesia di guerra “In Flanders Field”, scritta dal Luogotenente Colonnello dell’Esercito Canadese John McCrae: “To you from failing hands we throw the torch; be yours to hold it high.” oppure in francese “Nos bras meurtris vous tendent le flambeau. À vous toujours de le porter bien haut”. La torcia diventò il simbolo della tradizione dei Canadiens e il legame tra i giocatori del passato, del presente e del futuro.
Nel 1956 i dirigenti della NHL decisero di cambiare la regola della superiorità numerica, per cercare di arginare il dominio dei Canadiens, che riuscivano a segnare anche tre o quattro volte in un solo Power Play: le nuove norme stabilirono che, in caso di rete, la penalità sarebbe automaticamente terminata, permettendo al giocatore punito di rientrare sul ghiaccio.
Nel 1957 ci fu un importante passaggio di proprietà della franchigia: il Club de Hockey Canadien passò nelle mani dei fratelli Hartland e Thomas Molson.
I Grandi Canadiens degli anni ’50 – ’60
Andiamo ora a conoscere brevemente i campioni principali che vestirono la mitica maglia rosso-blu degli Habs tra gli anni cinquanta e sessanta: il posto d’onore è sicuramente occupato da Jean Beliveau.
Beliveau nacque a Trois Riviers, Quebec il 31 agosto 1931 e fin da giovane mostrò un talento al di fuori del comune: nel 1953 firmò un contratto da 100.000 dollari con i Montreal Canadiens, anche se in verità aveva già giocato cinque partite con la maglia degli Habs nel 1950-51 e 1952-53.
Quell’ingaggio, tuttavia, fu ampiamente meritato, poiché in 18 stagioni Beliveau, soprannominato Le Gros Bill, sarebbe diventato una delle più grandi stelle nella storia della NHL; Beliveau era un giocatore molto fisico e robusto (190 cm; 92 kg), ma anche velocissimo sui pattini: praticamente immarcabile per gli avversari, accumulò 507 reti e 712 assist in stagione regolare e 176 punti (record degli Habs) nei playoff. Nel 1965 fu istituito il Conn Smythe Trophy, riconoscimento assegnato al miglior giocatore della post-season: Jean Beliveau fu il primo a ricevere il prestigioso premio.
Nel 1971, dopo aver alzato la decima Stanley Cup personale (la quinta come capitano, ruolo ricoperto dal 1961-62), Beliveau si ritirò, lasciando negli appassionati di hockey dei ricordi stupendi: il suo comportamento sul ghiaccio fu sempre molto apprezzato e per questo additato come esempio per i più giovani; nel 1971 i Canadiens organizzarono una serata speciale per celebrare il ritiro del loro campione e poco tempo dopo istituirono il Jean Beliveau Fund, dedicato ai bambini in difficoltà.
Un altro fuoriclasse degli anni ’50 fu Doug Harvey, considerato dopo Bobby Orr il migliore difensore di sempre; il suo debutto con la maglia degli Habs avvenne nel 1948, ma gli inizi non furono facili poiché, secondo i tifosi del Forum, giocava in modo pigro e svogliato.
Tuttavia a partire dagli anni ’50 Harvey diventò il punto di riferimento della squadra: aveva grande intelligenza, poiché sapeva decidere quando rallentare il ritmo di gioco, oppure scatenare l’attacco Run and Gun; inoltre evitava passaggi inutili o attacchi improbabili che avrebbero permesso agli avversari di prendere possesso del disco.
Per sette volte tra il 1955 e il 1962 ricevette il Norris Trophy (premio per il miglior difensore), “rubatogli” dal compagno Tom Johnson nel 1959: solamente il leggendario Orr avrebbe collezionato un numero maggiore di riconoscimenti (8); durante la stagione 1960-61, quella successiva al ritiro di Maurice Richard, Doug Harvey ricoprì il ruolo prestigioso di Capitano dei Canadiens.
Tuttavia i difficili rapporti con Selke convinsero il manager a cedere Harvey ai New York Rangers nel 1961: dopo aver giocato tre stagioni nella Grande Mela, Harvey lasciò la NHL per qualche lega minore; nel 1966-67 fece qualche apparizione con la maglia dei Detroit Red Wings, mentre nel 1968-69 giocò ben 70 partite per i St. Louis Blues, con cui giocò (e perse) la finale di Stanley Cup proprio contro i Canadiens.
Molto importante, invece, in attacco fu il contributo di Bernie “Boom Boom” Geoffrion, ala destra dei Canadiens per quasi 14 anni: fu uno dei più pericolosi attaccanti della lega e nel 1960 diventò il secondo giocatore a segnare 50 gol (anche se in 64 partite) in una stagione; sempre in quel campionato Geoffrion realizzò ben 95 punti. Al termine del 1963-64 si ritirò dalla NHL, per andare ad allenare i Quebec Aces della AHL; tuttavia qualche anno più tardi rientrò nel circuito principale con la maglia dei New York Rangers.
Nel 1953 un altro giocatore importante fece il debutto con la maglia degli Habs, Jacques Plante, forse il portiere più innovativo nella storia dell’hockey su ghiaccio: innanzi tutto fu il primo goalkeeper che usciva dalla gabbia e prendeva possesso del disco dietro la linea di porta per poi passarlo a difensori; inoltre fu sempre il primo che, con il braccio alzato, segnalava ai compagni una situazione di liberazione vietata.
Ma forse fu un altro aspetto che distinse Plante dai portieri della sua epoca: già dal 1956 utilizzava durante gli allenamenti una maschera di protezione per la faccia, che però non poteva essere indossata in gara; tuttavia il 1° novembre 1959, in una partita contro i Rangers, Plante fu colpito violentemente dal puck, rimediando una brutta ferita sul volto.
Plante rientrò in partita, indossando una maschera per lo stupore dei presenti e continuò ad utilizzarla anche nelle gare successive: inizialmente il coach Toe Blake non era molto favorevole a questa consuetudine, ma poi si rassegnò, anche perché i Canadiens con Plante “mascherato” avevano completato una striscia di 18 incontri senza sconfitte; di lì a poco, tutti gli altri portieri copiarono l’idea di Plante.
Nel 1963 Plante lasciò Montreal per i New York Rangers, che lo tagliarono al termine del 1964-65: dopo quattro stagioni senza NHL, Plante rientrò nel 1968 giocando con la maglia dei Blues, dei Maple Leafs, dei Bruins e poi con quella degli Edmonton Oilers della WHA.
A fine carriera Plante aveva collezionato sette Vezina Trophy, di cui cinque consecutivi tra il 1956 e 1960 e uno a pari merito con Glenn Hall nel 1969, ma soprattutto l’Hart Trophy nel 1962: soltanto nel 1997 un altro portiere, Dominik Hasek, sarebbe riuscito a ricevere il prestigioso trofeo.
Tornando agli attaccanti, un posto speciale nel cuore dei tifosi è occupato da Dickie Moore: dopo aver disputato, appena ventenne, un’ottima stagione da rookie nel 1951, con 33 punti in 33 partite, incontrò diverse difficoltà negli anni successivi; soltanto nel 1954 Moore fu utilizzato in pianta stabile all’interno della formazione.
La sua carriera fu molto spettacolare e Moore si trasformò in uno delle più pericolose ali sinistre della NHL: nel 1957-58 realizzò 36 gol con 48 assist, rendendosi protagonista anche nei playoff con 11 punti in 17 partite; l’anno successivo stabilì addirittura il record NHL con 96 punti complessivi.
Purtroppo gli infortuni interruppero la carriera di Moore, almeno come membro dei Canadiens, che lo rilasciarono nel 1963; dopo un anno senza giocare fu ingaggiato dai Toronto Maple Leafs con cui disputò appena 38 partite. Dopo un’ulteriore pausa di due stagioni, Dickie Moore chiuse definitivamente la sua carriera nel 1968 con i St. Louis Blues, sconfitti nella finale di Stanley Cup proprio dagli Habs.
Chiudiamo questa carrellata di fuoriclasse con Henri Richard (fratello di Maurice), forse dopo Jean Beliveau, il più amato dagli spettatori del Forum: sebbene gli addetti ai lavori non gli avessero prospettato una carriera da protagonista, Pocket Rocket, alto appena 169 centimetri, seppe smentire anche i più scettici.
Debuttò nel 1955-56, segnando 19 gol e 40 punti, ma già alla terza stagione era il migliore assistman della lega; forse Pocket Rocket, a differenza del fratello, non era una macchina da gol, ma pochi avevano la sua visione di gioco.
Il momento più spettacolare della sua carriera avvenne nelle finali di Stanley Cup del 1966 contro i Detroit Red Wings: la decisiva gara 6 si allungò al supplementare, ma dopo due minuti Richard segnò il gol che regalò l’ennesima coppa ai Canadiens.
La sua carriera con gli Habs fu lunghissima e terminò nel 1975 dopo venti stagioni con la casacca rosso-blu: i suoi numeri finali presentano 358 gol e 688 assist per un totale di 1046 punti, ma soprattutto 1256 presenze (record) con la maglia dei Canadiens.
Tuttavia il primato più importante detenuto da Henri Richard sono le 11 Stanley Cup conquistate: nessun altro giocatore nella storia dell’hockey su ghiaccio ha potuto leggere il proprio nome sul mitico trofeo così tante volte; incredibilmente Pocket Rocket vinse la Coppa in oltre la metà delle stagioni giocate.
Henri Richard, inoltre, ricevette da Jean Beliveau i gradi di capitano quando quest’ultimo si ritirò nel 1971; il compito era sicuramente arduo, ma Pocket Rocket era un giocatore molto rispettato dai compagni.
Qualche anno prima (1964) era avvenuto un importante cambiamento a livello dirigenziale, infatti, David Molson era stato nominato presidente del Club de Hockey Canadien, mentre Sam Pollock era stato incaricato di sostituire il general manager Frank Selke; nel 1968 David, William e Peter Molson acquistarono completamente la franchigia, prima di cederla nel 1971 alla Placements Rondelle Inc., detenuta da Peter e Edward Bronfman.
Canadiens – Gli anni ’70
Dopo il ritiro di Toe Blake nel 1969, il posto di allenatore capo fu assegnato a Claude Ruel, il quale vinse la coppa al primo tentativo, la quarta per Montreal in una striscia di cinque anni: l’unica delusione accadde nel 1967, quando i Canadiens furono sconfitti in sei partite dai Toronto Maple Leafs; quello fu il tredicesimo e ultimo successo per Toronto, che, nella classifica delle Stanley Cup vinte, occupa la seconda posizione.
Durante il periodo delle Original Six (dal 1942-43 al 1966-67), la rivalità tra Toronto e Montreal fu così forte e sentita che tra gli appassionati canadesi si erano create due distinte fazioni: chi sosteneva i Canadiens, chi sosteneva i Maple Leafs; sicuramente non va dimenticata la classica e storica ostilità tra francesi e inglesi.
Nonostante il successo nella Stanley Cup, la carriera di Ruel sulla panchina di Montreal fu molto breve e terminò nella stagione 1970-71, quando dopo 23 partite mediocri fu sollevato dalla dirigenza e sostituito con Al MacNeil; il nuovo tecnico riuscì a condurre i Canadiens ai playoff, dove avrebbero incontrato al primo turno un avversario durissimo: i Boston Bruins di Bobby Orr e Phil Esposito, detentori della Stanley Cup.
La battaglia tra le due compagini fu splendida e si chiuse dopo sette partite appassionanti: importantissima fu la seconda sfida giocata al Boston Garden, in cui i Bruins (vittoriosi in gara 1) presero un vantaggio di 5-1; incredibilmente i Canadiens riuscirono in un’insperata rimonta, aggiudicandosi la partita 7-5.
Dopo quel successo i Canadiens continuarono la loro corsa nella post-season, qualificandosi per la finale, dove li avrebbero attesi i Chicago Black Hawks; la serie fu molto controversa, nonostante la vittoria finale: Henri Richard, infatti, non aveva accettato il suo mancato utilizzo durante il terzo periodo di gara 5 e accusò pesantemente il proprio coach, definendolo il peggiore tecnico che lui avesse mai avuto.
Ovviamente scoppiarono le polemiche, soltanto mitigate dalla vittoria finale dei Canadiens; durante la conferenza stampa al termine di gara 7 Pocket Rocket, autore di due reti decisive, affermò che tutto era stato dimenticato e sperava, addirittura, che MacNeil venisse confermato per la stagione successiva.
Ciononostante la dirigenza decise di sollevare MacNeil dall’incarico e di sostituirlo con Scotty Bowman, che era riuscito a portare i nuovi St. Louis Blues a tre finali di Stanley Cup consecutive nei primi tre anni di esistenza.
(Quando avvenne l’espansione del 1967, le nuove squadre furono inserite nella Western Division, mentre le Original Six nella Eastern, in modo tale che le formazioni debuttanti potessero disputare fin dal primo anno la finale di Stanley Cup).
Scotty Bowman si rivelò una scelta davvero azzeccata e i Canadiens, sotto la guida del nuovo coach, continuarono la loro straordinaria tradizione vincente: in otto anni gli Habs avrebbero alzato cinque Stanley Cup, riuscendo a vincere in tutte le stagioni almeno 45 partite. Bowman era un maestro non solo a livello tecnico e tattico, ma anche dal punto di vista psicologico: mai i suoi giocatori subirono dei cali di concentrazione (normali dopo tanti successi), anzi ogni partita era una sfida da vincere assolutamente.
Il capolavoro di Bowman sono le quattro Stanley Cup consecutive tra il 1976 e il 1979, che fecero rinverdire i fasti di Richard, Beliveau e Plante; i Canadiens (diventati proprietà nel 1978 della Molson Breweries), inoltre, stavano combattendo una sfida a distanza con i New York Yankees per il maggior numero di titoli conquistati: alla fine degli anni ’70 la situazione era di 22 pari.
Tra gli anni ’60 e ’70 la gloriosa divisa dei Canadiens fu indossata da numerosi campioni, che raccolsero degnamente l’eredità delle leggende del passato: gli Habs erano sempre i più forti della NHL e i tifosi del Forum poterono ancora gioire ed esultare; nel 1976-77 Montreal, totalizzando 132 punti in regular season (60 vittorie, 8 sconfitte, 12 pareggi), stabilirono un record ancora imbattuto.
Il primo fuoriclasse che ci viene in mente è senza dubbio Yvan Cournoyer, il Roadrunner (l’avversario di Will Coyote) della NHL; originario di Drumondville, Quebec (quindi il suo nome va pronunciato Curnuaié), iniziò la sua carriera con la maglia dei Montreal Jr. Canadiens a soli diciotto anni, dimostrandosi un’autentica minaccia per i portieri avversari: nel 1963-64 riuscì a realizzare addirittura 111 punti con 63 reti, meritandosi una chiamata da parte degli Habs.
Cournoyer non era molto alto (1.70), ma era dotato di due gambe talmente grosse e muscolose che nel magazzino dei Junior Canadiens non c’erano dei pantaloni adatti alla sua misura; nonostante l’enorme talento diventò membro stabile degli Habs soltanto nel 1965-66, ma da quel momento nessuno gli avrebbe più tolto il posto in squadra.
I primi anni, tuttavia, non furono particolarmente piacevoli (parzialmente mitigati da tre Stanley Cup) per Cournoyer, poiché Coach Toe Blake preferiva utilizzarlo in fase difensiva, senza dargli la possibilità di sfoggiare le sue incredibili doti; quando Ruel subentrò a Blake, le cose cambiarono.
Cournoyer poté esprimere la sua abbagliante velocità e il suo meraviglioso talento, trasformandosi nella più pericolosa ala destra della lega: nel 1968-69 il Roadrunner segnò 43 reti, dimostrandosi molto utile anche in fase difensiva; quello che impressionava maggiormente era il perfetto controllo del puck, pur pattinando ad una velocità notevole.
Ma Cournoyer non era solo veloce, ma anche dotato di un tiro molto potente, che poteva trasformarsi in un’arma pericolosissima per le difese avversarie, in particolare nei power play, di cui era spesso il regista: la stagione migliore fu quella del 1971-72, la prima di Scotty Bowman, in cui segnò 47 reti e 83 punti; quando nel 1975 Henri Richard si ritirò, Cournoyer diventò il Capitano dei Canadiens, ruolo che ricoprì con grande classe e maestria.
Con il passare degli anni, i tifosi si resero purtroppo conto che forse Cournoyer stava perdendo quella velocità che lo aveva contraddistinto negli anni precedenti: in verità un problema alla schiena gli causò fortissimi dolori alla gamba, rendendo necessaria un’operazione chirurgica.
Gli anni successivi furono tutt’altro che esaltanti (nonostante le Stanley Cup conquistate) e Jean Beliveau gli suggerì addirittura di ritirarsi: Yvan inizialmente sembrava poco incline ad accettare i consigli del vecchio Capitano, ma dopo un’ulteriore operazione alla schiena dovette cedere; dopo 16 stagioni ad altissimo livello (e la decima coppa personale), Cournoyer lasciò l’hockey professionistico con 968 partite giocate, 428 gol e 435 assist e solamente 77 minuti di penalità.
Come al solito, la porta era sempre difesa da un giocatore fenomenale, Ken Dryden: dopo aver disputato alcune ottime stagioni nelle leghe minori, fu chiamato nella prima squadra nel 1970-71; sebbene avesse giocato appena sei partite, Dryden poteva considerarsi fortunato, poiché ai rookie (specialmente se portieri) difficilmente veniva dato spazio.
Il coach Al McNeil, invece, rimase molto soddisfatto dalle prestazioni del giovane goalie e decise di promuoverlo titolare nei playoff, dove i Canadiens avrebbero affrontato i possenti Boston Bruins; gli addetti ai lavori rimasero molto perplessi riguardo alla scelta del tecnico, anche perché i Bruins, avendo il fattore campo a favore, disponevano di un chiaro vantaggio: il Boston Garden era uno degli impianti più rumorosi della NHL e aveva sempre messo in crisi gli avversari.
Invece Dryden, che aveva già giocato al Garden a livello universitario, rispose alla grande: Phil Esposito, autore di 76 gol in 78 incontri durante la regular season, fu limitato a sole tre reti in sette gare e tantissime volte i tifosi dei Bruins gridarono “GOL”, prima di vedere il puck respinto dal giovane portiere; Dryden fu molto efficace anche nelle altre serie di playoff e, non a caso, fu premiato con il Conn Smythe Trophy.
Dryden era diventato il portiere titolare dei Canadiens, ma dopo la vittoria della Stanley Cup nel 1973, annunciò a soli 26 anni il proprio ritiro, per lavorare come apprendista presso uno studio legale di Toronto (con uno stipendio di 7.500 dollari l’anno); la stagione successiva fu molto difficile per gli Habs, che pregarono il loro portiere di ritornare.
Dryden accettò l’offerta e i Canadiens tornarono la squadra dominante di qualche anno prima: Montreal, con Ken a difesa della gabbia, vinse quattro Stanley Cup consecutive, ma dopo l’ultimo trionfo, il portiere si ritirò. definitivamente.
Le sue statistiche finali sono impressionanti: sei coppe vinte in otto stagioni, una media gol subiti di 2.24, 46 shutout e un bilancio finale di 258 vittorie, 57 sconfitte e 47 pareggi con una percentuale di vittoria pari a 75,8% (la migliore nella storia della NHL); la sua annata migliore fu il 1976-77, quando in stagione regolare compilò una media di 2.14 con 10 shutout, e nei playoff una media di 1.56 con 4 partite senza subire gol.
Ma la vera star degli anni ’70, il simbolo dei Canadiens, colui che diventò l’idolo dei tifosi fu senza ombra di dubbio The Flower Guy Lafleur, una delle più fantastiche ali destre e uno dei più eccitanti giocatori mai apparsi sul ghiaccio della NHL.
Soprannominato anche le Demon Blond per via dei lunghi capelli biondi, iniziò la propria carriera professionistica nel 1971 con i Montreal Canadiens, i quali lo ottennero grazie ad una serie di scambi con i California Golden Seals. Jean Beliveau notò subito il grande talento del giovane giocatore e per questo gli propose di utilizzare il suo numero 4; Lafleur, tuttavia, rifiutò, preferendo il 10.
Da sempre tifoso degli Habs, il Fiore diventò un beniamino degli spettatori del Forum dopo pochissimo tempo, sebbene molti critici fossero scettici sulle reali abilità di Lafleur; tuttavia nella sua prima stagione segnò subito 29 reti, per poi esplodere nel 1975 quando chiuse l’annata con 53 gol: Lafleur diventò il primo giocatore nella storia dell NHL a realizzare 50 reti (60 nel 1978) e 100 punti in sei stagioni consecutive.
Lafleur era un giocatore spettacolare, dotato di una velocità abbagliante che gli permetteva di volare sul ghiaccio; sicuramente non è stato il miglior hockeista di sempre (dodicesimo nella classifica all-time), ma forse può essere considerato il più eccitante: ogni volta che Guy prendeva possesso del puck saltava i difensori avversari come se fossero semplici birilli, lasciando gli spettatori senza parole.
Nel 1985 a 33 anni Lafleur si ritirò dalla NHL, lasciando gli Habs dopo 14 stagioni magnifiche, coronate da cinque Stanley Cup, due Hart Trophy (MVP), tre Art Ross Trophy (miglior cannoniere); con la maglia degli Habs il Flower giocò 961 partite, segnando 518 gol, con 728 assist (record di squadra) e 1246 punti (altro record).
La dirigenza degli Habs concesse l’ultimo omaggio al Fiore, ritirando la maglia numero 10: soltanto Howie Morenz (7), Maurice (9) e Henri (11) Richard, Jean Beliveau (4), Doug Harvey (2), Jacques Plante (1) hanno potuto ricevere questo grandissimo onore.
In effetti, dopo tre anni d’inattività, Lafleur rientrò sul ghiaccio con la maglia dei New York Rangers, diventando il secondo giocatore dopo Gordie Howe a disputare una partita NHL dopo l’elezione nella Hall of Fame; in seguito rifiutò un contratto milionario con i Los Angeles Kings (e la possibilità di giocare con Wayne Gretzky), per chiudere definitivamente la propria carriera con i Quebec Nordiques.
Un giocatore moderno paragonabile a Lafleur potrebbe essere Pavel Bure, proprio per l’abilità del Russian Rocket di volare sul ghiaccio, saltare la difesa tutto da solo con finte e deke e poi segnare.
Parlando della difesa, aspetto fondamentale del gioco, menzione particolare meritano i Big Three, Serge Savard (soprannominato the Senator per via degli interessi politici), Guy Lapointe e Larry Robinson, che, per oltre 15 anni, crearono davanti ai loro portieri delle barriere praticamente insormontabili; dal 1979-80 Serge Savard diventò ufficialmente Capitano dei Canadiens, ruolo comunque già ricoperto durante i playoff della stagione precedente, a causa dell’infortunio di Cournoyer: la quarta Stanley Cup consecutiva, infatti, fu alzata proprio dal Senator.
Altri giocatori degni di nota sono Steve Shutt, autore di 60 reti e 105 punti nel 1977 (record per un’ala sinistra) e Jacques Lemaire, compagni di linea (la celeberrima Dynasty Line) di Lafleur, e i fratelli Frank e Pete Mahovlich, che, avendo indossato nella loro carriera la maglia di diverse altre squadre, non possono essere considerati bandiere dei Canadiens.