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Metti un giorno a Londra
La pioggia, il freddo, la solita frenesia dei londinesi anche se è un giorno semifestivo: sembrerebbe un sabato come un altro nella Swinging London, ma stavolta c’è qualcosa di diverso. Il giorno prima della sesta partita della sua International Series, la NFL ha dato appuntamento a tutti a Trafalgar Square, uno dei luoghi simbolo di Londra, da cui l’ammiraglio Nelson domina la città dall’alto della colonna.
Impossibile resistere alla tentazione di fare un salto, nonostante il freddo pungente: se il carrozzone della NFL mette in mostra quello che ha, come un tempo si faceva con le Grandi Esposizioni Universali, bisogna essere presenti. Tutto si svolge al centro della piazza, attorno al complesso con i quattro leoni e la colonna che richiama per stile quella Traiana. C’è lo stand dove fare acquisti, il tendone dove si possono ammirare le memorabilia e il palco con i maxischermi, su cui si alternano presentatori, giocatori, vecchie glorie e filmati a tema. Chi vuole cimentarsi con le fasi di gioco può provare a fare un long snap, un lancio, un calcio o un placcaggio, o addirittura può farsi misurare le velocità di braccio nell’apposito stand.
La prima cosa che si nota è che la gran parte della gente accorsa per la Nfl Rally non sa nemmeno come è fatto un pallone da football; sarà pure che il freddo intirizzisce le mani e rende difficile avere sensibilità sulla palla, ma pur assistendo a diversi lanci nessuno riesce a dargli la benché minima spirale. Poco male, del resto non è il livello tecnico che conta, bensì la partecipazione; in qualche modo però la permanenza a Trafalgar Square lascia quasi l’amaro in bocca, ma è solo perché le aspettative erano probabilmente troppo grandi.
La Nfl Rally è una fan area come tutte le altre, non le manca nulla e non ha niente di diverso dalle altre; se si resta delusi, l’errore sta nell’essersi aspettati qualcosa di più. Un’osservazione critica però si può fare al merchandising in vendita, non per i prezzi quanto piuttosto perché tutto il materiale risulta piuttosto anonimo. Le magliette replica sono splendide, ma tutto il resto dell’abbigliamento non spicca per originalità e inventiva.
Ben altra cosa è recarsi a Wembley domenica per la partita…
La Fan Area sotto lo stadio sembra ben più movimentata di quella del giorno prima, ma dopo aver acquistato il programma ufficiale, anziché tergiversare ulteriormente, si sente il bisogno immediato di entrare a Wembley, tempio di un altro tipo di football ma comunque uno dei luoghi simbolo dello sport mondiale. Non è certo il Wembley tradizionale, quello affascinante di una volta, ma nella sua modernità è probabilmente la sede più adeguata per lo spettacolo della NFL.
Il riscaldamento delle due squadre, per chi non è avvezzo al football dal vivo, è piuttosto interessante: la cosa che più mi colpisce è la linea offensiva che si scalda da sé, quasi per cercare da subito l’amalgama e l’affiatamento che saranno necessari per fare appieno il proprio dovere in campo. Il pubblico partecipa accompagnando l’ingresso dei giocatori con boati e fischi di approvazione, poi da un momento all’altro la calma che regnava all’interno dello stadio lascia spazio a dosi e dosi di adrenalina che scorrono a fiumi.
I Train emozionano con Drops of Jupiter e altri due grandi successi della band californiana (Drive By e Hey, Soul Sister), poi è il momento degli inni e dello spettacolo coreografico sugli spalti: le tribune di Wembley si colorano di bianco, rosso e blu a formare due enormi bandiere che si guardano una davanti all’altra. Da una parte la Union Jack, dall’altra Star Spangled Banner: Stati Uniti e Regno Unito si ritrovano curiosamente di nuovo fianco a fianco, quasi come se il tempo delle colonie di Sua Maestà non fosse mai esistito. Pia Toscano, l’artista venuta alla ribalta grazie ad American Idol, esegue l’inno nazionale americano, poi è il turno del mezzosoprano Katherine Jenkins con God Save The Queen: la forza delle due esecuzioni è trascinanti, le emozioni scorrono forti sulla pelle, e seppure si percepisce nettamente che le presenze inglesi sono la stragrande maggioranza all’interno dello stadio, una volta tanto l’America e il football NFL non sembrano poi così lontani.
Amando lo sport da sempre, non poteva non lasciarsi contagiare anche dagli sport americani, finiti poi per diventare l’argomento della sua tesi di Dottorato («Eccezionale quel baseball! L’origine dell’isolazionismo americano negli sport»). Segue ogni giorno quello che succede negli sport made in USA: li guarda, li studia e ne scrive e ne racconta come può.