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Dallas si prende il 2-0
USA Reportage: tra le vie di Boston… e New York
Quando una cosa ti scorre nelle vene non puoi ignorarla per sempre.
E dunque pur con il terrore del volo, e delle temperature che non promettevano nulla di buono prima della partenza, protetto dalla mia dolce metà, mi sono spinto oltre l’Oceano Atlantico per toccare il suolo USA, e vedere con i miei stessi occhi la passione (sportiva) che più di ogni altra mi elettrizza notte dopo notte attraverso il suono della retina.
Atterraggio a Boston, la visita ad Harvard, le piccole strade, la Green Line, la Freedom Trial, City Hall, il Prudential Center, il Fenway Park, le statue in onore ai patrioti americani. Difficile non imprimersi nella mente certi ricordi. Difficile altresì fare finta che la Tappa “Boston Garden” fosse la più attesa e palpitante.
I magnetici incroci che danno sul TD Banknorth, la scritta enorme fuori dal palazzetto, il parcheggio, le luci della città che sembrano attratte dalle volte del Garden.
Tre giorni a fissare quella meraviglia, d’altronde il mio albergo era lì vicino, perché non approfittarne?
Poi arriva la partita. Si entra proprio dentro.
L’atmosfera dell’Universo NBA si percepisce dai volti, dalle risate di gioia, dalle scale mobili stracolme di gente. Sembro un bambino a cui hanno appena dato il gelato. Lo Store Celtics, gigantesco cuore che pulsa verde energia, mi attira come un ape al suo fiore. Due, tre, quattro magliette. Felpa, portachiavi, manona, bandierina.
Il portafoglio si apre in continuazione, e se non fosse stato per il pre-partita la questione si sarebbe protratta per diversi minuti.
E’ il momento di salire gli scalini. Troppo bello per essere vero, pare un sogno a colori. I banner appesi in alto, quasi in cielo. I numeri ritirati, i seggiolini giallo abbagliante, il brusio della gente che cerca il proprio posto.
Neanche il tempo di qualche scatto, e già tutto il roster dei Celtics e dei Sixers entra sul parquet per il riscaldamento. Mike & Tommy sono lì, seduti a bordo campo, per fare la loro classica presentazione della partita.
Il Jumbotron si impossessa della scena (e così sarà per tutto il match) con i tifosi Celtics pronti a ballare, cantare ed urlare dal primo al quarantottesimo minuto. Un Jumbotron culto dal quale escono fuori volti inaspettati e l’essenza stessa dell’essere Americano.
Il Fan of the Night è solo il culmine di ciò che vi sto scrivendo, con tale “cicciopalla”, il fan prescelto per l’occasione, che conquista i cuori dei 19.000 presenti. Ma il resto del contesto è ancor più inebriante: Il tifoso che durante la pausa vince 25 mila dollari facendo canestro da metà campo, i Boston Celtics che vincono e convincono 99-82 giocando una buona pallacanestro, fatta di difesa, transizione ed aggressività.
Vedere dal vivo KG, Pierce e Ray Allen non ha prezzo. Rondo è il più impressionante però, per la facilità di palleggio, passaggio e visione del gioco… ma è l’intera situazione ad essere in realtà impressionante; una sorta di Evento che al suo interno contiene altre decine di eventi. Una matriosca cestistica densa di godimento, che parte dal pre-partita e si esaurisce con le interviste di rito nel post-partita. All’uscita ci sono bancarelle indiavolate che inneggiano ai Celtics vincenti.
Entriamo in un pub: l’aria profuma di Verde e Birra. Tutti con indosso la maglietta di Boston. Tutti a bere e a riguardare su ESPN le immagini della W centrata ai danni di Iguodala & co. Ci si sente come a casa propria… ed è dura tornare in albergo, quando faresti tranquillamente mattinata per osannare e rendere giusto merito a quella adrenalina dal vivo che hai cullato per mesi e mesi. Ma è giusto così, il giorno dopo i biglietti aerei recitano NEW YORK, e non si possono perdere ore di sonno… preziose oltre misura.
* * *
New York è assai diversa.
Luccicante, Enorme, Estremamente Culturale, Estremamente popolare nei suoi bassifondi all’estremo opposto del culturale. Per certi versi troppo confusionaria, con meno atmosfere romantiche e più strade o luoghi accattivanti.
Mi riverso subito nel mezzo della Giungla. Come si fa a non amare New York? La città si vede vive lo sport in maniera intensa, ma meno rispetto a Boston, dove Red Sox, Celtics o Bruins la fanno da padroni.
Ciò non toglie che Yankees, Knicks e Rangers popolino in maniera presente ogni angolo di Manhattan, con i cittadini della grande mela che girano fieri e orgogliosi dei propri cappellini che portano in testa, griffati NYC. Vedo diverse partite in TV, respiro con costanza l’attenzione che NY dedica al baseball e al basket.
Mi appassiono e non poco allo storico duello tra Sox e Yankees, che dal 4 al 13 Aprile conterà 2 vittorie ad 1 per la squadra di Boston. Surreale forse è questa la parola più adatta per descrivere New York. Mi spingo oltre.
Mi lascio avvinghiare dagli edifici infiniti di New York, che mi hanno sbattuto in ogni direzione, permettendomi di vedere l’Empire State Building, Wall Street, il Chrysler Building, Rockefeller Plaza, St’Patrick, Central Park, e musei di prima grandezza quali il MoMa o il Guggenheim. Un mondo delle Meraviglie sperduto.
Solamente durante la visita alla Statua della Libertà ho realizzato che non potevo non vedere il Madison Square Garden. Sarebbe stata una pecca inaccettabile; e così il giorno dopo attraverso le colonne d’ercole, e inglobando più energia possibile trasmessami da Time Square mi sono avvicinato alla leggenda e l’ho toccata. Un luogo dove sport e spettacolo vanno a braccetto innamorate, un luogo dove mio padre (musicista) aveva suonato negli anni ’70, un luogo che per certi versi rivaleggia con la sua stessa nomea.
Ora che il viaggio è finito, e che ogni sensazione è imprigionata dentro di me a doppia mandata, se ripenso al lato cestistico di NY ripenso a due cose precise: la partita persa tra le mura amiche contro Chicago, dove i tifosi Knicks hanno fatto un baccano pazzesco; e in particolar modo ripenso ad un gigantesco cartellone con sopra Carmelo Anthony nel quale lo stesso giocatore ringraziava apertamente i suoi nuovi tifosi.
Non so perché vi cito queste due cose nello specifico. Ma visto che nella vita i piccoli particolari sono tutto, ho pensato che queste due istantanee fossero qualcosa da segnalare come “quadri” emotivi sul quale rispecchiare il sentimento che mi spinge verso l’arte, la città, e lo sport in sé.