La Pac-12 è stata la protagonista del consueto anticipo del giovedì sera di College Football: nella terra dei Mormoni, gli Utah Utes ospitavano la corazzata della South Division, gli USC Trojans.
Queste formazioni erano da molti considerate le favorite divisionali prima della partenza del campionato, ma entrambe, nelle ultime settimane, sono state protagoniste di passi falsi che potrebbero compromettere prematuramente l’esito della stagione: se USC è già ritornata alla vittoria contro California nell’ultimo turno, dopo essere uscita con le ossa rotte dal confronto con la bestia nera Stanford due settimane fa, gli Utes hanno potuto usufruire di una settimana di riposo per elaborare la netta sconfitta patita contro Arizona State.
Due squadre ferite che avrebbero potuto rilanciare, per diversi motivi, il proprio 2012 grazie ad un’affermazione sull’avversario diretto: i Trojans avrebbero riportato in positivo il proprio record di conference, mentre a Utah una vittoria contro i blasonati californiani avrebbe dato un abbrivio diverso alla secondo parte della stagione.
I primi due drive del match causano ai tifosi dei Trojans un terribile dejà vu: Matt Barkley e il centro Khalid Holmes subiscono l’infernale pressione del Rice-Eccles Stadium e si esibiscono in due figuracce consecutive su due snap sbagliati: il primo è preda del defensive end degli Utes Nate Fakahafua che è bravo a strappare letteralmente l’ovale dalle braccia di Barkley che stava cercando disperatamente di rimediare alla frittata, mentre nel secondo caso Holmes dà il via all’azione ma si dimentica di muovere anche il cuoio dell’ovale, che viene facilmente ricoperto dalla stella (in questo caso viene facile dirlo…) della difesa di casa Star Lotulelei.
Sotto 14 a 0 a pochi minuti dall’inizio della partita, USC si trova ad un bivio: mollare e rischiare una ripassata storica o reagire immediatamente e recapitare un messaggio forte alla nazione.
La risposta perviene osservando l’atteggiamento sulla sideline di Southern California dopo l’avvio shock: Barkley, sicuramente ancora memore dei due intercetti consecutivi lanciati contro Stanford che hanno di fatto affossato le possibilità di rimonta dei Trojans, passa in rassegna le truppe come un vero leader e le chiama ad una reazione veemente; Holmes, il centro che fino ad ora ha rappresentato un’eccellenza nella linea offensiva dei rosso-dorati della California del Sud, si scusa con i propri compagni e registra la propria copertura sul pericolosissimo Star Lotulelei, ad oggi da molti indicato come primo prospetto di linea difensiva appetibile per il prossimo draft; coach Lane Kiffin passeggia con molta calma sulla linea di fondo senza tradire nessuna emozione di sconforto, anzi mantenendo quell’espressione di superiorità agli eventi che da molti è sintomo di boria e presunzione.
Il piano di USC è lucido e razionale: usare Silas Redd e rapidi lanci con screen laterali come specchietti per le allodole macinando comunque porzioni di campo importanti per poi colpire sul profondo la suicida scelta del coaching staff di Utah di affrontare in copertura singola il micidiale reparto di ricevitori della compagine californiana.
Barkley dà dimostrazione pratica del perché fosse ritenuto unanimemente il prospetto più talentuoso della nazione prima dell’ultimo periodo di appannamento alimentando a ripetizione i propri playmaker (finirà con ben 23 completi su 30 tentativi), nonostante il quarterback avversario, John Hays, nel secondo quarto spinga generosamente gli Utes avanti 21 a 10.
Trattasi del più classico dei canti del cigno: pian piano il sorriso sornione di coach Whittingham sparisce dal volto di colui nel 2008 ha issato il programma dell’ateneo di Salt Lake City al numero 2 della nazione trionfando nel Sugar Bowl, ghigno oscurato dalle continue penalità che si abbattono su un match nervoso e che sicuramente non danno sollievo alla squadra sfavorita dal pronostico.
Infatti, i ragazzi di downtown Los Angeles rimettono immediatamente in funzione la loro allegra macchina da guerra con una ricezione in end zone da capogiro ad una mano di Randall Telfer su palombella al bacio del solito Barkley, che muove il personale tabellino con il primo dei suoi tre touchdown di giornata. Il compito di mettere in ghiaccio la gara è appannaggio dei soliti Woods (toccato duro su un ritorno da punt che ha fatto pensare al peggio quando il numero 2 sembrava incapace di rialzarsi con le sue stesse gambe) e Lee, di nuovo sugli scudi con 192 yards ricevute e ormai entrato di diritto nel gotha del college football già nel suo anno da sophomore; c’è gloria anche per la sottovalutata difesa di USC, con il cornerback Nickell Robey che riporta in end zone un disperato passaggio di Hays, così come per Utah che nel garbage time regola il definitivo punteggio sul 38 a 28.
Tommy Trojan può finalmente sfogare il suo “Fight On!”, ormai un mantra nel campus californiano.
I Trojans evitano dunque che il ritorno a Salt Lake City dopo 95 anni di assenza coincida con una capitolazione sanguinosa che avrebbe causato i primi processi all’interno di uno spogliatoio che deve fare i conti con una tradizione vincente, soprattutto in una stagione che vedeva gli angeleni essere (generosamente) indicati come prima potenza della nazione nei sondaggi settembrini.
La sbornia di punti finale, agevolata dal ritrovato Barkley e da un attacco stellare, non deve far passare in secondo piano gli errori iniziali che avrebbero potuto compromettere dopo 3 minuti la sfida (chi si ricorda regali così clamorosi da parte dell’Alabama di Nick Saban, tanto per dirne una…).
Il team sembra ancora non presentare quegli automatismi che differenziano una squadra molto talentuosa da una da titolo, sicurezze che aiuterebbero a instillare negli avversari quel timore reverenziale che è proprio oggi di altri team, ma estraneo a USC. C’è da domandarsi fino a quanto coach Kiffin sia soddisfatto da una vittoria di puro talento, ma che è stata deficitaria sotto il profilo del controllo dell’andamento del match.
Sul fronte casalingo, coach Wittingham può essere orgoglioso della prova della sua squadra, non del risultato che la condanna nuovamente. Utah ha cercato di sfruttare l’inerzia d’inizio gara, ma alcune penalità evitabili non hanno permesso che il gap tra le due squadre fosse ancora più favorevole per gli Utes e il risultato di parità di fine primo tempo risuonava per lo meno beffardo nelle teste dei giocatori di casa, sospinti tra l’altro da una calorosissimo pubblico.
Il calendario presenta ora due insidiosi incontri esterni (UCLA e Oregon St.) che difficilmente agevolerà un team che sembra essere in una chiara crisi di fiducia ed entusiasmo.
Laureato in giurisprudenza. Grande appassionato di football americano, segue con insistenza il mondo del college football da cui è rimasto stregato. @nicolo_bo su twitter.