Una volta su due il livello di questa rubrica subisce un drastico calo. Purtroppo per voi oggi è una di quelle volte, perché mentre il sommo vate Andrea Cassini langue sul divano a strafogarsi patatine oggi tocca a me raccontare i principali accadimenti di quest’ultima settimana in NBA. Fortunatamente gli ultimi sette giorni sono stati talmente interessanti che persino Fabio Volo saprebbe ricavarne un pezzo decente, quindi ringrazio sentitamente gli Dei del Basket per l’aiuto e prometto di cercare di non rovinare tutto. Partiamo!

 

LUNEDÌ 03 DICEMBRE – GSW AGAINST THE WORLD

L’NBA è un mondo stupendo nel quale in una noiosissima gara tra i bi-campioni in carica e una delle peggiori squadre della Lega può succedere che:

  1. i fans degli Atlanta Hawks trollino Kevin Durant mentre questi è in lunetta cantandogli “Draymond Hates You
  2. il Durant di cui sopra apprezzi il giusto e sibili ad uno spettatore della prima fila un delicatissimo “Watch the game and shut up
  3. la NBA gradisca ancora meno e il giorno dopo mandi una mail al giocatore con scritto “It’s 25.000$ buddy, thanks” (ok, magari non c’era scritto proprio così ma il succo era quello)

Nella stessa giornata sui Golden State Warriors è arrivato anche il morso del sempre velenoso Kobe Bryant, che si sarà anche ritirato dal basket giocato ma di certo non ha perso il suo spirito battagliero. Bryant ha infatti dichiarato: “I Lakers torneranno campioni prima di quanto molti pensino e rideremo in faccia a tutti questi tifosi dei Golden State Warriors che sono saltati fuori dal nulla”. L’ex superstar gialloviola ripone grandi speranze nel futuro della franchigia angelina, grazie soprattutto all’arrivo in città di Sua Magnificenza LeBron James e ad una free agency 2019 in cui i Lakers andranno a caccia di una/due superstar (Kevin Durant, Kawhi Leonard e Anthony Davis sono i nomi più probabili) con cui andare alla caccia del trono attualmente detenuto dai Dubs.

Che i gialloviola siano la franchigia con più tifosi nell’intero globo terracqueo è abbastanza assodato, forse Kobe ha solo espresso a voce alta il pensiero di tanti altri che criticano i cosiddetti banwagon riders, sempre pronti a salire sul carro della squadra più forte per poi abbandonarlo repentinamente una volta esaurito il ciclo di vittorie. Di certo i Warriors sono oggi la franchigia con più nemici in giro per la NBA e in questo momento di recenti difficoltà sul parquet (l’infortunio di Steph, la lite tra KD e Draymond, una striscia di quattro sconfitte di fila mai vista prima nell’era Kerr) saranno chiamati ad uno scatto di orgoglio per zittire tutte le voci di quelli che li definiscono, secondo me un filino prematuramente, arrivati ormai “alla frutta”.

La faccia sembra dire: Bravi, bravi. Se solo ci fossi in campo ancora io!

 

MARTEDÌ 04 DICEMBRE – BROTHERS IN NBA

Per evitare di essere accusato di spudorata partigianeria eviterò di soffermarmi sull’ennesima prestazione da stropicciare gli occhi messa lì da Luka Doncic nella vittoria dei “miei” Dallas Mavericks contro i Portland Trail Blazers (almeno la tripla in step-back con cui ha chiuso la gara però andatevela a vedere…). Voglio invece raccontarvi la scena da Libro Cuore filmata dalle telecamere al termine della partita tra Chicago Bulls e Indiana Pacers, quando i due fratelli e Justin e Aaron Holiday si sono incontrati in mezzo al campo scambiarsi le rispettive maglie. Mancava il fratello Jrue, di stanza ai New Orleans Pelicans e indubbiamente il più forte esponente della famiglia Holiday, per completare un quadretto che oltre ad essere molto petaloso (cit.) esemplifica una tendenza che negli ultimi anni sta diventando sempre più costante.

Sono infatti molti i casi di due o più fratelli che condividono o hanno condiviso una militanza nella Lega più bella del mondo. Solo per rimanere nell’NBA di oggi abbiamo i Gasol (Marc e Paul), i Plumlee (Mason, Miles e Marshall), Lopez (Brook e Robin), i Grant (Jerami e Jerian, ammazza che fantasia…) gli Antetokounmpo (Giannis e Kostas, più Thanasis che in NBA ci è passato prima di approdare in Europa) gli Zeller (Tyler e Kody), i Morris (Markus e Markieef, che sono pure gemelli), i Curry (Steph e Seth) e appunto i tre fratelli Holiday. Sono parecchi, se contiamo che complessivamente i giocatori in NBA sono complessivamente “soltanto” 450.

Andando ancora più indietro nel tempo possiamo trovarne molti altri, ma qual è il motivo di questa tendenza? Questione di DNA? Indubbiamente una componente genetica deve esserci per forza, ma probabilmente dipende anche da un contesto familiare nel quale il primo dei fratelli fa da modello e quello/quelli dopo di lui cercano di seguirne le orme, sperando poi un giorno di ritrovarsi a battagliare sul palcoscenico più elevato del pianeta. Fratelli fuori e avversari in campo… Non dev’essere facile, ma stimolante sicuramente sì.

https://www.youtube.com/watch?v=QmBfyMo9-z8

Non sono carini?

 

MERCOLEDÌ 05 DICEMBRE – THE TORNADO KID IS BACK

Ok, so bene che nella notte tra mercoledì e giovedì ci sono stati:

  • i 47 punti di Paul George (di cui 25 nell’ultimo quarto) che conditi con la tripla del sorpasso hanno permesso agli Oklahoma City Thunder di completare la rimonta ai danni dei Brooklyn Nets partendo da meno 20 a soli 12 minuti dal termine
  • la 107esima tripla doppia della carriera di Russell Westbrook, che lo ha portato a superare Jason Kidd al secondo posto della classifica All Time della specialità (Magic Johnson è distante ancora XX gare ma a questo ritmo appare decisamente alla portata)
  • lo scontro al vertice della Eastern Conference che ha visto i lanciatissimi Toronto Raptors di un Kawhi Leonard da 36+7+8 portarsi a casa lo scalpo dei Philadelphia 76ers (nonostante un sontuoso Jimmy Butler da 38 punti)
  • la rimonta dei Los Angeles Lakers sui San Antonio Spurs, cominciata quando sul 91-85 per i neroargento LeBron James ha deciso che aveva visto abbastanza e segnando 14 punti consecutivi (dei 42 totali) in un quarto quarto complessivamente disumano (20 punti con 7/8 dal campo e 3/3 da tre punti) ha imposto la sua volontà su compagni e avversari trascinando i suoi alla 15esima vittoria stagionale
  • Giannis Antetokounmpo che mette Blake Griffin sulla parte sbagliata di un poster nella vittoria dei Milwakee Bucks sui Detroit Pistons

Tutto però impallidisce di fronte al ritorno in campo di Joakim Noah, passato da essere un pluri-All Star quando vestiva la canotta dei Chicago Bulls ad una specie di pianta grassa allocata nello spogliatoio dei New York Knicks, che magari non avranno dovuto annaffiarlo ma per il disturbo gli hanno recapitato sul conto corrente 72 milioni di dollari in 4 anni. Che grazie ai soli 1.055 minuti passati in campo (in maniera piuttosto svogliata tra l’altro) dal francese in maglia blu-arancio fa circa 68.246 dollari per minuto giocato, a spanne credo il record mondiale di furto senza scasso.

Jo Jo a giudicare con chi si accompagna nel tempo libero non pare aver particolarmente patito il declino subito dalla sua carriera, ma quando ormai tutti pensavano che si sarebbe ritirato per stordirsi di marijuana in un eremo sulle montagne del Tibet (cosa che probabilmente farà comunque tra qualche anno) eccolo firmare con Memphis, alla ricerca di un corpaccione da inserire nella rotazione lunghi alle spalle di Marc Gasol e Jaren Jackson Junior. Noah nella vittoria dei Grizzlies contro i Clippers ha bagnato il suo esordio scagliando il classico Tornado, un tiro (vabbè “tiro”…) da lui regolarmente brevettato che ha realizzato celebrandolo con il gesto del cowboy che rinfodera le pistole. I malviventi sono dunque avvisati: “The Tornado Kid is back

https://www.youtube.com/watch?v=kh5KX__wB7Y

Nothing but net.

 

GIOVEDÌ 06 DICEMBRE – THE EJECTION OF THE YEAR

Con sole tre partite disputate nella notte non è che ci fosse tutta ‘sta competizione, ma l’eroe del Giovedì è senz’ombra di dubbio Rudy Gobert, espulso dopo meno di tre (TRE) minuti di gioco dalla partita degli Utah Jazz contro gli Houston Rokets. Motivo? Dopo il secondo fallo fischiatogli in pochi secondi dai grigi, ad onor del vero per un vergognoso tuffo carpiato effettuato da James Harden, Gobert ha rifilato uno sberlone ad una fila di bicchieri appoggiati sul tavolo dei segnapunti facendoli volare sul parquet. Il tutto sotto gli occhi proprio di uno degli arbitri, che ha immediatamente indicato l’uscita più vicina al francese ricevendone in cambio alcune paroline che non credo fossero la trascrizione della lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi. La partita è quindi proseguita senza Gobert ed è stata poi vinta dai suoi compagni piuttosto in scioltezza (contro quella che fino a pochi mesi fa era l’antagonista principale ai Warriors e oggi appare una specie di massa informe senza precisa direzione, ma questo è un altro discorso), servendo anche per riportare la franchigia dello stato dei mormoni ad un decoroso record di 13 vinte e 13 perse.

Tale record non è al momento sufficiente per posizionarsi tra le prime otto del Girone dei Dannat.. .ehm, della Western Conference, ma è perlomeno sintomo di un tiepido progresso rispetto al deprimente inizio di questa stagione. I Jazz erano partiti come una delle formazioni più cariche di hype, grazie ad una guida dalla panchina (Quin Snyder, lo scorso anno terzo nella classifica per il Coach of The Year) intelligente e carismatica, ad una combo di lunghi (Favors e appunto Gobert) non particolarmente moderna ma efficace, ad un nucleo di giocatori funzionali al progetto tecnico (Rubio, Ingles, Exum, O’Neale) e soprattutto al rookie delle meraviglie Donovan Mitchell. Ma, come detto, l’inizio di questa stagione non è stato dei migliori anche a causa dei mancati progressi di Mitchell, che è fermo sostanzialmente sulle cifre dello scorso anno seppure per demeriti non del tutto attribuibili a lui (in sostanza è l’unico giocatore del roster in grado di crearsi un tiro da solo e questo ormai le difese avversarie lo hanno capito). La mia idea è che comunque i Jazz torneranno a macinare vittorie per guadagnarsi un posto ai playoff, ma dovranno sbrigarsi perchè la concorrenza non è certo poca.

P.S. Mentre i suoi proseguivano la partita Gobert ha pensato bene di non sprecare la serata e si è fiondato in palestra a pedalare come un pazzo su una cyclette… l’avevo chiamato o no “l’eroe del Giovedì”?

https://www.youtube.com/watch?v=96EAshxRjYg

Tutti torti ad incavolarsi Gobert non li ha!

 

VENERDÌ 07 DICEMBRE – THE ICEMAN

Markkanen è un sette piedi con mano fatata da fuori, che sa mettere palla per terra come una guardia e con piedi da ballerino”

22/06/2017 – “Il talento di Markkanen è qualcosa da far stropicciare gli occhi. Il suo range di tiro unito alla sua abilità di mettere la palla per terra, andando indifferentemente a destra o a sinistra, potrebbero far dimenticare le sue lacune difensive persino ad un sergente di ferro come Tom Thibodeau.”

Di solito non amo glorificare le mie previsioni (non è vero, mi piace tantissimo ma purtroppo non ci prendo quasi mai…) ma per Lauri Markkanen ho avuto un colpo di fulmine quando l’ho visto giocare nel suo anno ad Arizona, tanto da sperare ardentemente di sentire il suo nome accostato alla scelta numero nove dei Dallas Mavericks nel draft del 2017. La storia invece ha preso un percorso diverso, con il finlandese che è stato scelto alla numero sette dai Minnesota Timberwolves e subito girato ai Bulls assieme a Zach Lavine e Kris Dunn in cambio della scelta numero 16 dello stesso draft (poi tramutatasi in Justin Patton, al momento titolare di 4 minuti giocati in carriera a causa di un doppio infortunio ai piedi) e di Jimmy Butler.

Dopo un’ottima prima stagione chiusa ad oltre 15 punti di media, Markkanen ha iniziato il 2018 ai box a causa di un infortunio al gomito ed ha esordito soltanto il primo dicembre scorso nella partita persa dai suoi Bulls contro i Rockets. 10 punti all’esordio ,seguiti subito da un’escursione a quota 21 contro i Pacers e arrivando fino ai 24 (in soli 28 minuti) della partita di ieri contro gli Oklahoma City Thunder. Partita che Lauri ha chiuso con il canestro decisivo realizzato con una splendida penetrazione al ferro a meno di 5 secondi dalla sirena finale. La rapida virata con la quale si è liberato di un ottimo difensore come Paul George non è certo usuale per un giocatore di quelle dimensioni (2,13 cm per 109 kg) e dà l’idea del talento di cui dispone il giocatore finlandese. I Bulls sono al momento in fase di rebuilding ma hanno nucleo giovane decisamente interessante (LaVine, Holiday, Carter, Dunn) e in Markkanen il giocatore franchigia su cui costruire il loro futuro.

https://www.youtube.com/watch?v=spQ6ZuyztSI

Se solo nel draft del 2017 fosse sceso ancora di un paio di posizioni…

 

SABATO 08 DICEMBRE – SPEACHLESS

Io, come scritto sopra, cerco di fare del mio meglio. Però… 102 a 94 per gli Houston Rockets a tre minuti dalla fine. Poi questa roba qua sotto. Guardate e giudicate da soli.

https://www.youtube.com/watch?v=YszAOzbzUC4

11-0 Doncic con schitarrata finale e Rockets a casa con le pive nel sacco. Ma di cosa stiamo parlando esattamente?

 

DOMENICA 09 DICEMBRE – THE FLASH AND THE KING

Nell’ultima notte della settimana NBA si è disputato lo scontro al vertice nella Eastern Conference tra Toronto Raptors e Milwakee Bucks, vinto da questi ultimi per 104 a 99. Di entrambe le squadre ho già parlato in una precedente puntata di 7for7 e da allora non è cambiato molto: Bucks e Raptors sono due formazioni che al momento appaiono tra le favorite per un posto alle Finals 2019, con i canadesi che sfoggiano un Kawhi Leonard in versione cinque-stelle-extra-lusso da far andare di traverso la cena a Gregg Popovich e i cerbiatti del Wisconsin che possono contare su un Giannis Antetokunmpo ormai evoluto al livello di Super Sayan God. Questi due fenomeni sono al momento i primi (unici) due candidati al titolo di MVP stagionale e i probabili dominatori della prossima decade di NBA, quindi avremo sicuramente tempo di riparlarne diffusamente più avanti.

Voglio invece chiudere questa puntata con un consiglio: stanotte allo Staples Center di Los Angeles andrà in scena lo scontro finale tra due dei giocatori più forti della nostra generazione. I grandi amici Dwyane Wade e LeBron James saranno di fronte sul parquet per l’ultima volta (a meno di una decisamente improbabile finale NBA tra le due squadre), poi a fine stagione il numero 3 degli Heat appenderà le scarpe al chiodo e chiuderà una fantastica carriera che comprende tre titoli NBA, un titolo di MVP delle finali, un titolo di capocannoniere, otto quintetti All-NBA, dodici convocazioni all’All Star Game, oltre una sfilza di record impossibili da riportare tutti. Wade ha dichiarato che, assieme a Kobe, LBJ è stato l’avversario che più ha adorato affrontare nel corso dei suoi sedici anni sul parqet.

Quindi fate un favore a voi stessi e stanotte sintonizzate il vostro Game Pass su Lakers vs Heat per godervi questa ultima, straordinaria sfida tra questi due campioni. Non ve ne pentirete…

6 Dicembre 2010, olio su tela.

 

Anche per questo episodio è tutto gente, ci si rilegge su queste pagine tra sette giorni! Jorghes out.

7 thoughts on “7for7 La settimana in NBA (Ep. 2×08)

    • Lo prometto. In ogni caso abbiamo un accordo scritto e controfirmato da un notaio: le settimane piene di cose interessanti e facili da scrivere sono mie, quelle in cui è tutto una noia mortale e bisogna compensare con la qualità della scrittura sono tutte sue… :-D

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