Paul George, ormai è ufficiale, non è più disposto a restare in Indiana. La sua è una scelta inconsueta, in una NBA che abbonda di giocatori interessati al trasloco per due soli motivi: soldi e titolo NBA. L’ala californiana infatti, ha comunicato a Kevin Pritchard (che dopo l’addio di Larry Bird, è divenuto plenipotenziario della franchigia di Indianapolis) l’intenzione di firmare da free-agent per i Lakers (squadra per cui non ha mai fatto mistero di tifare) nell’estate del 2018.
È uno scenario che non gli garantirebbe più soldi (PG-13 non è stato incluso nei tre quintetti All-NBA, e questo significa che non avrà accesso al super contratto da 200 milioni, ma i Pacers restano comunque l’unica squadra capace di offrirgli un quinquennale) e tantomeno lo avvicinerebbe al Larry O’Brien Trophy, considerato il cartello di “lavori in corso” idealmente affisso ad El Segundo.
Sarebbe solo e solamente una scelta di cuore, un ritorno a casa un po’ diverso rispetto a quello di LeBron James a Cleveland (qui non c’è nessun Kyrie Irving ad attenderlo, almeno per il momento…). Sarebbe davvero una scelta originale, anche perché George (27 anni, sette dei quali trascorsi con la maglia dei Pacers, la sua unica franchigia professionistica) non è un giovincello di primo pelo, e sa che un ritorno ad L.A. (è di Palmdale) innalzerebbe irragionevolmente l’asticella delle aspettative, esponendolo alle critiche degli spietati media angeleni.
Qualche anno fa fu Carmelo Anthony a parlare apertamente dell’intenzione di accasarsi coi suoi amati Knicks, e sappiamo com’è andata a finire, con Melo separato in casa, e Phil Jackson che tenta in tutti i modi di scaricarlo (fin qui senza successo). I New York Knicks si tirarono la zappa sui piedi quando erano ormai sulla buona strada di una ricostruzione ottimamente portata avanti da Donnie Walsh (corsi e ricorsi storici, è stato un importante dirigente dei Pacers), con tanti asset e una squadra finalmente funzionale.
I Knickerbockers avrebbero potuto firmare Melo da free agent in estate, senza sacrificare Wilson Chandler e Danilo Gallinari, ma il proprietario, James Dolan, si fece prendere dalla smania e scambiò mezza squadra per portare Carmelo a Manhattan a febbraio, condannando la franchigia ad (ulteriori) anni di mediocrità.
È un precedente che i Lakers conoscono benissimo e che vorrebbero evitare di ripetere; Rob Pelinka sa bene che la credibilità della nuova dirigenza (formata da lui e da Magic Johnson) uscirebbe rafforzata da un’acquisizione di questo tipo, ma l’ex agente di Kobe Bryant sa anche che Paul George ha un senso solo in un determinato tipo di contesto.
PG-13 è un grande difensore e un attaccante capace di giocate sublimi (23.7 punti di media col 46.1% dal campo), ma non è sempre continuo e non è quel tipo di generatore di gioco che trasforma una franchigia NBA in una contender. In questo senso, converrebbe ai Lakers attendere la scadenza naturale del contratto di George, e ingaggiarlo in addizione (e non in sostituzione) ai propri migliori giocatori, sviluppandoli per un’altra stagione.
È una strategia rischiosa, perché LeBron James e il suo GM, David Griffin (peraltro in scadenza), si sono mossi per portare George sulle sponde del lago Erie, rompendo gli indugi per varare una nuova versione dei Cavs a quattro esterni. Pritchard sta negoziando un possibile accordo con Cleveland (disposta a separarsi da Kevin Love, non, ovviamente, da Kyrie Irving), ma non è chiaro quali vantaggi ne trarrebbe Indiana.
È facile capire perché LBJ voglia l’ex Fresno State alla propria corte: George innalzerebbe il livello difensivo dei Cavs, consentendo di cambiare con molta più efficacia anche contro i Golden State Warriors, al netto di una inferiore pericolosità al tiro e a rimbalzo (ci sarebbe però James a giocare da 4 in pianta stabile), ma che senso ha questa trade per i Pacers?
Non dubitiamo che tante altre franchigie si faranno avanti con delle controproposte, ma questo ci riporta all’interrogativo iniziale: quali sono le intenzioni di Paul George? È davvero risoluto a vestire il giallo-viola nel 2018, costi quel che costi, o potrebbe “accontentarsi” di una squadra ambiziosa come Cleveland o Boston? I Cavs, dal canto loro, sembrano interessati a lui anche a costo di noleggiarlo per una stagione soltanto (queste le parole usate dall’insider Adrian Wojnarowski).
Sembra una situazione destinata a districarsi nei prossimi giorni, essendo strettamente intrecciata coi destini di un draft fattosi improvvisamente molto incerto, con i Celtics non convinti da Fultz (mettiamo un euro su Josh Jackson, ma è una scommessa…) e un fitto mistero sulle intenzioni dei Lakers, detentori della seconda chiamata (stanno cercando di acquisirne un’altra), e attentissimi a coprire le proprie carte.
Può darsi che alla fine i lacustri optino per l’home-boy Lonzo Ball, ma se dovessero chiamare Jackson (oppure addirittura De’Aaron Fox) i piani delle altre franchigie ne sarebbero stravolti, generando un effetto cascata destinato ad aprire la porta a scenari oggi impronosticabili, anche per Paul George.
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
Ciao Francesco, Come stai? Complimenti per l’articolo. Quale pensi che sia il giocatore più adatto per consentire ai Cavaliers di colmare il gap con i Golden State Warriors tra quelli disponibili? Demarcus Cousins, Paul George o Carmelo Anthony?
Ciao..!
La mia impressione è che George sia il “fit” migliore, soprattutto per la difesa. Melo è tanta roba per l’attacco, ma non è un difensore poi tanto superiore a Love, mentre Cousins servirebbe solo ad intasare gli spazi, e in difesa non è poi tanto meglio di Love e Anthony, per cui starei alla larga.
Ciò detto, per Cleveland non si tratta di scegliere dal menu, dovranno fare i conti con l’effettiva disponibilità a trattare di franchigie e giocatori.