Identificare un difetto nella gara 1 degli Warriors è come cercare il proverbiale pelo nell’uovo. Anzi, la partita di ieri notte ha racchiuso nei suoi 48 minuti tutti i miglioramenti che Golden State ha sviluppato, senza dare troppo nell’occhio, dall’arrivo di Kevin Durant.
L’anno scorso la rimonta di Cleveland si fondò su una scommessa e scelte tecniche estreme: funzionò, perché il gioco dei Warriors si faceva monodimensionale man mano che gli interpreti perdevano brillantezza.
Quelli del coaching staff sembrano averlo capito, e la parola d’ordine per battere i Cavs è diventata versatilità.
I Dubs sono stati ben lieti di lasciare a Cleveland il predominio nel tiro da tre punti, il fondamentale che li teneva in linea di galleggiamento all’intervallo lungo prima del 11-31 finale, perché nel frattempo totalizzavano 42 punti nel pitturato, sempre nei primi 24 minuti.
Se coach Lue ordina di ignorare Zaza Pachulia, gli uomini di Mike Brown non si fanno intimorire e servono il georgiano con continuità rendendolo protagonista del primo quarto.
Si sono visti alcuni errori sotto canestro e qualche extra-pass di troppo, ma ai fini del bene massimo – muovere la difesa – il risultato non conta. Le scampagnate di Durant – 38 punti alla sirena – sono figlie dello stesso concetto.
L’ex Thunder non si accontenta del tiro da fuori, come ha spesso fatto nei precedenti scontri con LeBron , ma attacca gli spazi concessi dalla difesa al risparmio di King James realizzando la bellezza di sei schiacciate.
Tanti i canestri facili, ancora di più i tiri ben costruiti: sono la migliore delle panacee quando la mano di Klay Thompson proprio non vuole saperne d’intiepidirsi (3-16) e la difesa di Cleveland pone grande attenzione, al solito, nel limitare le conclusioni dalla distanza.
Si arriva al punto in cui JR Smith e Richard Jefferson preferiscono lasciare autostrade in campo aperto o mandare l’avversario in lunetta, piuttosto che concedere uno scarico sul perimetro.
In quest’ottica, il 6-11 di Steph Curry coi piedi dietro l’arco è qualcosa di guadagnato, un tesoro che Steph ammonticchia grazie al talento nel crearsi il proprio tiro dal nulla; quello che l’anno scorso funzionava a singhiozzo, complice l’infortunio al ginocchio.È prevedibile che le maglie della difesa wine & gold si stringano ancora di più intorno a Curry, magari allentandosi intorno al collega Thompson, ma i Warriors non hanno bisogno di 28 punti dal loro leader ogni sera, né di incendiare la retina dalla distanza.
C’è Kevin Durant che fa saltare il banco, un enigma di difficilissima soluzione per il coaching staff dei Cavs. Non dimentichiamo Draymond Green, autore di una partita non priva di macchie – due falli sciocchi e una palla persa a inizio gara, segno di una certa tensione – ma comunque in grado di contribuire silenziosamente e pronto a salire in cattedra qualora la situazione lo richieda.
La forza dei Dubs 2017 sta in questo, nella fluidità con cui sanno adattarsi e imporre comunque la loro volontà sul campo.
Se l’attacco ha posto problemi che richiederanno a coach Lue una spremitura di meningi, la difesa dei Warriors ha impressionato ancora di più. Entrare sotto pelle a LeBron è un’impresa rara.Lui non si è scomposto e senza dubbio medita vendetta, ma quelle 8 palle perse – molte nel primo tempo, che hanno fruttato ai Warriors mortifere ripartenze – meriterebbero di essere analizzate una ad una.
Kevin Durant è stato ottimo in single coverage, aggressivo per sfruttare l’ampia apertura alare in situazioni statiche e sufficientemente educato da lasciare la marcatura ai compagni quando James lo batteva dal palleggio.
L’alternanza coi compagni, specialmente un redivivo Iguodala che quando vede i Cavs guarisce da ogni acciacco, lo ha mantenuto fresco e ha permesso a Draymond Green di giocare la sua solita “zona”, pronto ad aiutare in ogni angolo del campo.
Cleveland è comunque in grado di guadagnare il pitturato quando coinvolge Steph Curry nei pick and roll, vale a dire un’azione sì e l’altra pure, costringendo la difesa a collassare. Ma lì la coppia Brown/Kerr ha disegnato il capolavoro sorprendendo i rivali con una precisa lettura dei pattern preferiti da LeBron, unita alla capacità degli interpreti, che richiede un’altissima concentrazione, di tenere un occhio su James e uno sul proprio uomo.
Lo stesso Green e Thompson sono stati magistrali nel negare gli skip pass sul lato debole sporcando le linee di passaggio – da qui la serata inconcludente dei vari Korver, Williams e Smith, che invece si erano esaltati nelle serie precedenti.
I compagni si occupavano di intasare l’area per evitare scarichi sul movimento di Tristan Thompson, e preferivano concedere la riapertura in punta per Irving o il passaggio in angolo per Love. Il Beach Boy in effetti ha punito, e lo stesso Uncle Drew non ha deluso in 1vs1 nonostante la tenace opposizione di Thompson, ma non è bastato.
A proposito dei due Thompson. Il lungo di Cleveland era stato la testa d’ariete nelle scorse Finals, rallentando l’avvio dell’azione dei Dubs col suo motore perpetuo a rimbalzo e sfoggiando la sua fisicità contro le lineup piccole.Ieri notte è andato lontano dalle sue migliori prestazioni (0 punti, 4 rimbalzi), preso in consegna con tempestivi taglia fuori e isolato il più lontano possibile da canestro. I Dubs si sono potuti permettere una strategia così aggressiva sul canadese approfittando dal raggio d’azione di Kevin Love, più vicino al perimetro, ma non a caso titolare di 20 carambole catturate.
Le palle di perse di Cleveland e la generale incapacità dei Cavs di controllare verso il basso il ritmo della partita ha lasciato i Warriors indisturbati nello schiacciare il piede sull’acceleratore. Un ulteriore grattacapo per Tyronn Lue che, ora che si ritrova il pallino in mano, dovrà pensare a come puntellare i propri quintetti.
Abbiamo ripercorso tutta gara 1 e il pelo nell’uovo ancora non l’abbiamo trovato. Viene in mente che l’esecuzione dell’inno nazionale, a opera del cantante dei Train, scadeva un po’ in confronto all’esibizione dei Metallica durante le Finals 2016. Oppure il balletto dopo la tripla di Steph Curry, non proprio degno di Broadway – ma che magari da oggi andrà forte nei club della Bay Area.Si può fare di meglio anche nell’accoglienza poco cortese nei confronti di Rihanna, che tiferà Cavs ma è pur sempre una presenza gradita quando le telecamere la inquadrano.
Noi scommettiamo che la serie si riaccenderà con nuovi temi tattici e una ritrovata vena agonistica degli avversari, se non già da gara 2 quantomeno nelle partite in Ohio; se tuttavia le parole di Kevin Durant non fossero un bluff – ha affermato che la sua squadra può giocare meglio di quanto mostrato finora – c’è il rischio che avremo altro tempo da dedicare ai dettagli di costume.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.