Da una decina d’anni a questa parte appassionati di basket e videogiochi hanno trovato un terreno comune. La serie NBA2K, giunta pochi giorni fa all’edizione targata 2017, detiene il monopolio delle simulazioni cestistiche, sia che preferiate i pc o le console di ultima generazione.
Una nota per i profani: dimenticate i videogames dei pomeriggi adolescenziali, quando la mamma vi intimava di posare il joypad e filare a fare i compiti. La simulazione offerta dai giochi odierni è talmente accurata che il virtuale ormai ha poco da invidiare al reale. Se non ci credete, chiedete alle stelle della NBA. Quella di sfidarsi sui parquet in pixel è una moda affermata, tanti si divertono persino a impersonare le versioni grafiche di se stessi in un bizzarro effetto-inception. Wade Baldwin, il rookie dei Memphis Grizzlies, ha finito per essere draftato dalla franchigia con cui si cimentava nel gioco e ha festeggiato impersonando il suo alter-ego. Risultato? 38 punti alla prima partita. In questo caso la computer grafica si discosta un po’ dalle aspettative reali, ma ci sono anche quelli che si lamentano per il punteggio assegnato dagli sviluppatori, una misura del proprio talento che è indispensabile in un programma che si regge su crude cifre. Se siete curiosi: LeBron James guida la comitiva con 96/100, seguono Steph Curry, Kevin Durant, Russell Westbrook e Kawhi Leonard. Corrisponderanno ai valori sul campo? Intanto, qualcuno storce il naso come si trattasse della ESPN. “Non dipende da me. Quest’anno dimostrerò di valere più di 80” ha commentato Kristaps Porzingis, prima di lanciare la frecciata. “Preferisco giocare a FIFA, in ogni caso”. Nemmeno Andrew Wiggins ha preso bene il suo 82, mentre Evan Fournier si accontenta di un modesto 78; quello che non gli va giù è la faccia che gli hanno disegnato.
Insomma, la finestra tra reale e virtuale si va sempre più assottigliando. Perché i due mondi arrivino a sfiorarsi serve ancora un pizzico di fantasia; quella ce la devono mettere i giocatori.
L’NBA CHE NON TI ASPETTI
Tra le sfide che propone NBA2K, la più appassionante è quella di prendere in mano le sorti di una franchigia e guidarla al successo anno dopo anno. Le strategie sono molteplici. C’è chi affronta tutte le 82 partite controller alla mano, passa ore ad imparare le finte e ad affinare la sensibilità dei polpastrelli. C’è chi ha lo spirito del coach nel cuore e studia ogni schema nei minimi dettagli, ne inventa persino di nuovi perché i suoi pupilli diano il massimo. C’è chi preferisce l’aspetto manageriale, trasforma i Pelicans in una contender muovendosi come uno squalo tra le trade, oppure imbastisce un Process alla Sam Hinkie nella speranza di goderne i frutti più avanti – sempre che, nel frattempo, non l’abbiano licenziato.
Finché queste avventure nascevano e morivano nello spazio dei nostri salotti, ci godevamo solo metà del divertimento. Poi, seguendo una tendenza d’oltreoceano – dove coach James Frizzell è diventato una leggenda del web condividendo le sue partite a College Hoops – un gruppo di ragazzi si ritrova sul forum dedicato a NBA2K e inizia a raccontare le proprie avventure videoludiche. Era la dimensione che mancava, quella della narrazione. In breve la discussione si anima e ne nasce un thread che è una vera e propria comunità: 2KTales. Un microcosmo che si arricchisce di tutti quegli elementi estranei al meta-testo del videogioco ma che sono una componente fondamentale del nostro fruire la pallacanestro. Il confronto da bar, il tifo, l’attenzione mediatica. Un universo parallelo popolato da blog che imitano titoli di giornale, approfondimenti, inchieste, profili twitter. Persino i nostri cantastorie preferiti hanno un alter-ego: chiedete di Federico Sbuffa.
TUTTI GLI UOMINI DEL BARBATRUCCO
Barba o Coach Zen (@CoachzenBarba) per gli amici, in onore della sua devozione a Phil Jackson; è lui a gettare la pietra che diventerà, tre anni più tardi, il thread di NBA2KTales. Dati alla mano, è anche l’allenatore più vincente. 17 titoli con i Lakers e uno con gli Spurs in un totale di 43 stagioni suddivise tra le varie edizioni del gioco. Tutte con Kobe Bryant a condividerne i successi, perché il bello di un videogioco è anche questo; puoi vestire i panni del demiurgo e ignorare l’età che avanza. L’ha visto superare il career-high di 81 punti con una prestazione da 84 al Palace of Auburn Hills, l’ha visto collezionare dodici titoli di MVP delle finali, segnarne 52 in un tempo solo contro i Rockets. Ma c’è stato spazio anche per gli unsung heroes nella carriera pluridecennale del Barbatrucco, come quel Luke Walton che risolve una gara 7 alla Quicken Loans Arena con una bomba da dieci metri.
La concorrenza, nel frattempo, non stava a guardare. Anzi c’è pure chi gli contesta il primato: MWP, attivo da dieci anni, in cui si vocifera abbia inanellato 60 stagioni e 40 titoli. Il suo protetto è Brandon Roy ma non riesce a spezzarne la maledizione; in maglia Trail Blazers la vittoria gli è sempre stata negata. In mancanza di screenshot e dati ufficiali, però, la sua storia resta leggenda.
C’è l’eterno secondo Talladega, un pellegrino in giro per la lega dal 2009 senza mai conquistare il Larry O’Brien Trophy. C’è Bisy, “lo Steve Jobs degli allenatori”, uno dei primi a sbarcare su YouTube coi propri racconti. C’è Gensi che macina un successo dietro l’altro incarnando la filosofia blue collar dei Memphis Grizzlies. Circolazione di palla, chi è libero tira, anche se fosse l’ultimo uomo della panchina. È così che E’Twaun Moore sigla il canestro della vittoria in una gara 2 delle Finals.
ATTRAVERSO LO SPECCHIO – DAL VIRTUALE AL REALE
Dicevamo che la simulazione è accurata quando il virtuale imita il reale, al punto da sovrapporsi. Ma cosa succede quando si verifica l’opposto? Non ci è ancora giunta notizia di un allenatore o di un giocatore NBA che abbia preso spunto da una tattica vista nel videogame – anche se crediamo sia solo questione di tempo – ma di sicuro le coincidenze non mancano. Basta pescare nel vasto archivio di NBA2KTales. Nel 2009 coach Barbatrucco tira fuori dal cilindro la difesa one-and-box: quattro difensori a uomo per limitare i tiri da fuori e un jolly a riempire gli spazi vuoti. In termini diversi, è la stessa strategia degli Warriors quando è in campo Andrew Bogut e devono contenere un lungo avversario particolarmente pericoloso. Draymond Green lo prende in consegna e l’australiano si occupa solo nominalmente dell’esterno più innocuo – Tony Allen nella serie dello scorso anno coi Grizzlies, Andre Roberson questo maggio coi Thunder – ma in sostanza si schiera a zona nei pressi del ferro. Anche i Cleveland Cavs hanno adottato una soluzione simile, proprio contro gli Warriors; nel 2015 ignorarono Iguodala ma gli andò male, a giugno hanno battezzato Harrison Barnes per raddoppiare sugli Splash Brothers e hanno fatto bingo.
Oppure Bisy, l’innovatore per eccellenza. Quello che mette in campo, dicono su 2KTales, appare cinque anni più tardi in NBA. Punta tutto su Steph Curry fin dalla sua stagione da rookie e gli costruisce una squadra intorno negli stessi anni in cui faceva la spola tra il campo e il fisioterapista, e tutti dubitavano di lui. Vince un campionato dietro l’altro con lo small ball in un periodo in cui per le contender era d’obbligo schierare due lunghi. Imposta l’attacco sulle triple e raggiunge cifre che verranno eguagliate solo di recente.
Non poteva mancare nemmeno la Hall of Fame, che per adesso ha due soli ospiti. Uno è Alp89, coach che univa il credo popovichiano alla scanzonata follia di Rasheed Wallace. Oggi è ritirato, ma nella community tutti sperano che un giorno tolga la polvere dal joypad e torni a raccontare un’ultima stagione; l’altro è Albys, i cui roster modificati vengono scaricati da tutto il mondo sulla piattaforma ufficiale della 2KSports.
C’è infine una regola non scritta che permea il mondo di 2KTales, la Barbatrucco Moral Law. È quel senso del rispetto che ti invita a non sfruttare i limiti dell’intelligenza artificiale a tuo vantaggio, forzando le franchigie controllate dal computer a trade sbilanciate. Vi dicono niente le basketball reasons che David Stern citò per bloccare il passaggio di Chris Paul ai Lakers?
RITORNO AL FUTURO
Giocando una stagione dietro l’altra l’NBA immaginata dagli sviluppatori finisce per evolversi da sé, secondo algoritmi che, superata una certa soglia, si comportano in modo imprevedibile. Per cinque o sei anni virtuali si possono apprezzare cambi di casacca degni del fantabasket, giovani che salgono la china e campioni in caduta libera, franchigie che emergono dai bassifondi con un’annata memorabile. Il punto critico, sostiene coach Barba, è l’ottavo anno e il problema sono quelli che su 2KTales chiamano “droidi”. Le classi del draft generate dal computer che ogni off-season immettono nel sistema sessanta giocatori di fantasia, modellati combinando caratteristiche di giocatori esistenti. A volte attingono pure dalle squadre del passato, ed ecco che ti ritrovi ali muscolose ma con l’atletismo di un Bob Cousy, gente che tira i liberi in sottomano, tiratori letali con la meccanica a singhiozzo di Bill Cartwright.
Col tempo la generazione di droidi prende pian piano possesso della NBA e il gioco perde il suo tramite più affidabile con la realtà. Manipolando questo aspetto si può anche creare un universo in provetta dove le scelte al draft sono ogni anno più scarse, alla ricerca dello zero assoluto della pallacanestro: è quanto ha fatto Jon Bois su SBNation costruendo un futuro distopico, distante decine di anni. Ma se non ci interessano esperimenti estremi, meglio ricominciare da capo con i roster aggiornati.
NON CHIAMATELI VIDEOGIOCHI
Per alcuni la narrazione videoludica si è già spostata su YouTube. Sulla piattaforma video più diffusa del web il gaming va alla grande. Sembra bizzarra l’idea di guardare un altro che gioca al posto tuo, ma i motivi che spingono un’audience in costante crescita sono molteplici. La componente dell’intrattenimento, soprattutto, e la sensazione di far parte di una community, di un salotto dove si gioca tutti insieme e magari si impara qualcosa da chi è più bravo di te. In Italia i più conosciuti non si limitano a un solo videogame, si sono costruiti un personaggio divertente e compaiono dal vivo a eventi come il recente Romics. MikeShowSha è uno degli youtuber più seguiti in Italia e racconta le partite a NBA2K col suo giocatore, William Wallace. Poi ci sono SweetChin Musig, Taddy93 e AleMiracle che si dividono tra basket, calcio, Formula 1 e titoli tout court quali Dark Souls, Call of Duty e Battlefield.
Il riferimento a quelli che una volta si chiamavano “sparatutto” ci porta dritti alla dimensione agonistica del gaming, dove giochi del genere la fanno da padrone insieme a colossi come FIFA, Street Fighter e Super Smash Bros, ai fenomeni Blizzard come Hearthstone e Overwatch, e infine ai gettonatissimi League of Legends e DOTA, sfide di strategia in tempo reale con tornei da milioni di dollari e autentici professionisti dietro allo schermo. Gordon Hayward, fra gli altri, è un appassionatissimo player e spettatore. Anche chi segue quotidianamente l’NBA ne avrà sentito parlare; ci sono franchigie ed ex-giocatori che investono fior di dollari per assoldare sotto il loro nome i migliori gamer del mondo. Per restare tra i nostri confini, pensate solo che in questi giorni al Lucca Comics&Games è stato allestito un intero villaggio intorno e dentro alla Cattedrale di San Romano dedicato ai cosiddetti eSports. La scena agonistica di NBA2K è ancora un po’ indietro, ma oltreoceano qualcosa si sta muovendo.
Non stupitevi se i videogiochi invaderanno spazi sempre più ampi anche nel vostro modo di godere della pallacanestro. Un esempio? La linea da 3 luminosa proposta dalle reti americane pochi mesi fa, mentre in Giappone sperimentano il primo campo a led. Reale e virtuale, come ci mostrano i ragazzi di 2KTales, possono combinarsi e migliorarsi a vicenda. Noi vi avevamo avvisato.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.
One thought on “NBA2KTALES – CRONACHE DI BASKET IMMAGINATO”